Il Telegrafo del 30 gennaio 1936
Lettera di un camerata che torna in Patria
Enda Jesus, gennaio
Trascrivo testualmente la lettera inviatami giorni fa dal camerata Camicia Nera Scelta Vittorio Leoncini, alla vigilia dell'imbarco per il suo rimpatrio:
"Asmara, 5-1-36 - XIV - Carissimo Corsi e camerati della "Tenda Rino Daus". Quello che piu' temevo, purtroppo si e' avverato. Cioe' che non mi tenessero in qualche ospedale per curarmi, ma mi mandassero all'Asmara in osservazione. E cosi' infatti e' avvenuto.
"Giunsi ieri all'Asmara, dopo aver percorso oltre 400 chilometri, parte in autoambulanza e parte in camion, e mi presentai all'Ospedale n. 77; di qui mi mandarono al 78, che si trova ad alcuni chilometri dalla citta', in una localita' chiamata Songferet, ove potei finalmente riposare.
"Stamani l'ufficiale medico di sala mi ha fatto una visita semplicissima; ma mentre mi guardava torceva la bocca e mi guardava con insistenza. Dopo mi ha segnato per l'esame radioscopico che si effettuera' a momenti.
"Ho dovuto interrompere la lettera appunto per andare a farmi i raggi. Tornato, ho consumato il pasto, poi s'e' fatto buio e non ho potuto riprendere a scrivere che oggi lunedi' e in questo frattempo e' accaduto quello che piu' temevo, ma che oramai era inevitabile. Infatti, in seguito all'esame dei raggi, stamani stesso sono stato inviato alla Commissione Medica per la riforma e dalla cartella diagnostica, potuta leggere cosi' di sfuggita, ho appreso che ormai era finita e che sarei stato mandato all'Ospedale Militare di Napoli per i provvedimenti medico-legali.
"Domani mattina partiro' per Massaua, dove imbarchera' su una nave ospedale. Cosi' e' finita ingloriosamente la mia campagna d'Africa!
"Quale sia il mio dolore potete immaginarlo voi che conoscete i miei sentimenti. Cosi' questi otto mesi di sacrifici non avranno servito a niente. Tornero' solo e senza nessuna soddisfazione, nemmeno di fronte a me stesso, perche', in coscienza, non posso dire di esser stato utile alla Patria nel modo che io intendevo e volevo. Son venuto a mancare proprio alla vigilia della battaglia, io che non desideravo che questo! E lo desideravo, perche' sapevo che solo nel combattimento avrei potuto distinguermi e rendermi utile, a prezzo magari della mia vita. Ma che mi importava il morire? Sarei morto combattendo per la mia fede. E sarei morto della morte piu' bella.
"Amici, credetelo! Per me e' un dolore e un'amarezza tale che non potro' mai darmene pace.A parte cio' che di me potra' pensare la gente, io non sono soddisfatto di fronte a me stesso.
"Voi, camerati, scrivetemi presto e spesso. Perche' solo voi, con i quali ho diviso per tanti mesi il duro suolo che serviva da letto, il pezzo della pagnotta e il sorso dell'acqua, voi che mi siete stati d'aiuto nei momenti difficili e avete condiviso con me fatiche, disagi e pericoli, solo voi amici potete dirmi quelle parole di conforto e di consolazione, delle quali ho tanto bisogno.
"E l'attacco sull'Amba Alagi vi e' gia' stato? Sembrava dovesse esserci il tre corrente, ma qua pero' non sento dire nulla. Ad ogni modo, sono sicuro che i senesi della "Tenda Rino Daus" si distingueranno su tutti in qualsiasi momento. E se vi trovate a tiro gli abissini, ammazzatene qualcuno anche per me.
"Il mio pugnale vorrei tu potesse tenerlo te, Corsi, oppure il Calamassi, ma purtroppo e' uno solo. Lo terra', dunque, chi avra' piu' occasione di poterlo adoperare.
"Ed ora arrivederci cari amici. Vi auguro ogni fortuna e di tornar presto alle vostre famiglie. Non mi dimenticate, che io non vi dimentichero' mai. Mai mi dimentichero' di voi tutti, di te, caro Dino, e del Calamassi che ha sempre avuto per me attenzioni da fratello. Nella buia esistenza che tornero' a condurre, il mio pensiero sara' sempre con voi e il tempo trascorso insieme sara' uno dei ricordi piu' cari della mia vita.
"Vi saluto caramente tutti, compreso Cippi, e in particolar modo Dino e il Calamassi. A noi!
Vittorio Leoncini"
La lettera non meriterebbe commento, tanto e' chiara, commovente e vera. Ma Vittorio Leoncini, il piu' caro, il piu' bravo, il piu' ardito e il piu' entusiasta camerata nostro, merita che io aggiunga due righe a quelle da lui scritte.
Quando a Sora, negli ultimi giorni della nostra permanenza in Italia, ebbi luogo di narrare, attraverso le colonne del "Telegrafo", il gesto dell'amico Vittorio che, contrariamente al giudizio dei medici, volle e seppe ottenere il certificato di abilita' alle armi e al servizio di colonia e di guerra, non pensavo che il Leoncini avrebbe potuto sopportare le fatiche e i disagi della campagna d'Africa. E lo immaginai sistemato meno peggio presso qualche magazzino o qualche sede di comando.
Invece lui, che piu' di tutti poteva aver ragione di essere adibito a un servizio sedentario, non volle cio'. Da Massua a Qura': da Qura' al Belesa e poi su, su: Zarenai, Hola, Entiscio', Mai Marat, Enda Mariam, Monte Raio, Enda Meschei, Hausien, Dolo, Macalle', Enda Jesus...600 e piu' chilometri sotto il peso della zaino, sotto i raggi del sole africano, che cocente aumentava in lui la volonta', la fede e il desiderio di combattere e la sete di gloria.
Io, che gli sono stato vicino per tanti anni, io che ho condiviso con lui le privazioni e le soddisfazioni di una vita tanto dura, quanto bella, io che insieme ai camerati della "Tenda Rino Daus" so quello che sia costato al Leoncini lo sforzo di volonta' a mezzo del quale e' giunto sin qua e quanti e quali siano stati per emsi e mesi, le sue sofferenze fisiche, superate solo in virtu' di un morale eccezionale, posso dire all'amico Vittorio: Hai fatto cio' che nessun'altro sarebbe stato capace di fare. Hai dato alla Patria la tua giovinezza, il tuo entusiasmo e la tua forza fino all'ultimo. Bravo Vittorio! Come noi che restiamo in linea, piu' di noi tu hai compiuto il tuo dovere e meriatata l'ammirazione e la riconoscenza della Nazione.
E se ne avessi l'autorita', se la volonta', lo spirito di sacrificio, l'abnegazione e l'eroismo oscuro potessero essere premiati, con esiterei a proporre il Leoncini per la masima ricompensa al valore, giacche' il piu' grande valore potra' agognare, ma non superare quello di questo ragazzo che, vincendo dolore e sofferenza, nascondendo a tutti il suo male, facendo, egli debole e gravemente infermo, cio' che i piu' forti e piu' sani possono solo a fatica e, incurante del male e delle sofferenze di questo, sempre tra i primi nelle azioni piu' dure e piu' rischiose, ha dimostrato cosa possono la fede pura e la volonta' di chi sa che quando alla Patria s'e' dato tutto non si e' dato abbastanza.
Vittorio Leoncini e' partito lasciando fra noi un vuoto incolmabile. E' partito con l'amarezza di chi non ha veduto la realizzazione di un sogno. Quel sogno che per lui significava la grande battaglia, il combattimento e, forse, la morte gloriosa sul campo.
E' partito quando i suoi camerati hanno cominciato a vivere pericolosamente e ci ha lasciati sul momento che piu' di ogni altro aveva desiato.
Il suo pugnale e' rimasto nella "tenda". E domani, giacche' domani si va nuovamente avanti, togliera' dal fodero la mia lama e la sostituiro' con quella di Vittorio, con la speranza di non essere indegno di quell'acciaio, che prima della Guerra ha fatto la Rivoluzione, e del camerata Leoncini, che prima di essere volontario fu squadrista e verso' il suo sangue per la causa Nazionale.
Dino Corsi