Il Telegrafo del 29 febbraio 1936
Amba Aradam fiaccola di eroismo

Fronte Eritreo, quota 2257
L'Amba Aradam e' da ventiquattro ore una fornace ardente. Una gigantesca fiaccola che arde del fuoco dell'artiglieria e di quello sacro di eroismo dei soldati d'Italia, che da oltre un giorno lottano e muoiono su per le pendici di quel massiccio roccioso, che la natura sembra aver piantato a bella posta, la' a nord di Macalle', per cimentare il valore dei legionari di Mussolini.
La battaglia infuria. Ne' le tenebre profonde della prima notte di combattimento, ne' la pioggia, caduta abbondantemente in queste ultime ore, ne' la resistenza accanita di un memico numeroso, agguerrito e bene armato, possono fermare lo slancio dei battaglioni, lanciati ormai alla conquista della posizione, che da sola domina le carovaniere che da Macalle' aprono la via per Amba Alagi, per il lago Ascianghi e, giu' giu', per Dessie' ed Addis Abeba.
Dalle notize, imprecisate e non ufficiali, che a mezzo dei consueti "scarponigramma" ci giungono continuamente dagli altri settori, apprendiamo che l'offensiva e' in pieno sviluppo su tutto il fronte eritreo, che ovunque si combatte, che a destra, a sinistra e al centro si vince.
Sul settore di Macalle' opera il III Corpo d'Armata Nazionale, "Sila" e "3 Gennaio" sono in linea, unitamente all'eroico battaglione della R.Guardia di Finanza ed agli armati della banda di Ras Gusga'. La "23 Marzo" non e' sul fronte di combattimento. In armi sulle posizioni conquistate il 20, 21, 22 e 23 gennaio, i legionari della divisione primogenita mordono il freno e, una volta tanto, stanno la', insofferenti alla disciplina che li costringe al necessario ma non troppo desiderato, per dei volontari, compito di truppa di rincalzo.
L'Amba, che assume a momenti l'aspetto di paesaggio dantesco, sempre battuta dalle nostre artiglierie e dagli stormi dei nostri apparecchi che fanno alzare colonne di fumo e di fuoco salla potente fortezza naturale dei nostri avversari, si mostra completa e nitida alle camicie nere della "23 Marzo". E tutti guardano al campo dell'azione e fremono. "La' si combatte, la' si muore. La' si vince. La' e' il nostro posto". Questa e' l'opinione generale; opinione che e' un desiderio ardente, espressione della volonta' piu' ferrea e dello spirito piu' eroico.
In tutti aleggia pero' la speranza. Essere di rincalzo non vuol dire farla da spettatori. Vuol dire, anzi, star pronti ad ogni ordine, perche' - questo ce lo dicono i nostri comandanti - essere di rincalzo significa forse intervenire nella battaglia al momento decisivo, gettarsi con tutto l'ardore nella mischia, assolvere il compito piu' arduo, piu' sanguinoso, piu' glorioso.
Questo ce lo dicono i nostri comandanti: noi approviammo, comprendiamo e speriamo...

I neri guerrieri di Macalle'
In linea, a fianco dei reggimenti della "Sila", delle legioni della "3 Gennaio", sono gli uomini della banda di Ras Gusga', i neri guerrieri di Macalle'.
Tra i pochi privilegiati, che dalla "23 Marzo" furono inviati in zona di operazione ad integrare i servizi di quella banda irregolare, ho veduti questi baldi soldati ed ho vissuto con loro per alcune ore.
Divise caki - la "nostra" divisa-, copricapo di ordinanza - la "nostra" bustina da riposo -, piedi calzati e con l'equipaggiamento completo - mantellina, tascapane, borraccia, ecc. - i guerrieri di Ras Gusga' si differenziano da noi solo nel colore delle carni - che gia' e' tanto - e nell'armamento - che non e' poco.
Le loro armi, modernissimi fucili a ripetizione di marca belga, sono quelle che pochi mesi or sono il Negus invio' al suo amatissimo genero, affinche' servissero ad arrestare l'avanzata degli italiani. Come si vede, il Negus le indovina proprio tutte! Ma nessuna meraviglia su cio': i fucili di Ras Gusga' non sono le prime e non saranno le ultime armi, che ordinate in fretta dal Negus a Londra e a Bruxelles, serviranno solo a vincere l'assurda resistenza di Aile' Sellassie', tradito, piu' che dal suo popolo, dai suoi carissimi amici europei.
Alla prima prova del fuoco, gli audaci figli del Tigrai Orientale, hanno data l'esatta misura del loro valore. Inquadrati da ufficiali superiori italiani, sono guidati e portati al combattimento dai rispettivi "capi". Per ore e ore, sotto un fuoco intenso di mitraglia e fucileria, hanno tenuto una posizione e quando si poteva logicamente pensare che fossero stanchi e provati, uno squillo, lanciato dal corno di guerra del "capo", li ha fatti scattere, volare con impeto irresistibile alla baionetta, fugare il nemico ed occupare un ciglione o una punta dell'amba.
E' bello veder combattere questi nostri nuovi soldati, questi uomini che con il loro sangue scrivono espressioni di riconoscenza a quella Nazione che li ha liberati dal servaggio, dalla miseria e dall'incivilta'. L'Italia e' ormai la loro Patria, il Re e' il loro "grande abuna", il Duce e' tutto per essi. Quel tutto che per gli abissini avvicina un uomo a Dio e, quasi, lo confronta a Questo.
Per l'Italia, per il Re e per il Duce, i guerrieri di Macalle' ganno sollecitato l'onore di combattere e combattono. Combattenti, muoiono per una Patria tanto nuova quanto amata, tanto gloriosa quanto lontana.
E muoiono da prodi, da eroi, da "italiani". Durante uno dei tanti attacchi, un vecchio guerriero cade colpito al petto da una "dum dum". La ferita e' mortale, ma comunque due portaferiti nazionali fanno per adagiarlo nella barella; il ferito - comprendendo che ogni soccorso e' inutile - rifiuta l'assistenza e, piu' a gesti che a parole, prega che gli sia dato il fucile, caduto un po' piu' lontano da lui. Avuta l'arma, se la stringe al petto e, accennando con la mano libera ad un reggimento della "Sila" che avanza con bandiera in testa, esclama, rivolto ad uno dei portaferiti: - Guaitana (signore), pandiera taliana...bella pandiera taliana! -
E muore, con negli occhi la visione di quel Tricolore, che forse un giorno - quand'era ancora bambino - vide sventolare sul forte Galliano, di quella bandiera che per tanti anni ha atteso - e non invano - che tornasse a garrire vittoriosa sulle sue terre, benedette da Dio e redente oggi dai figli di Roma.

Di rincalzo...
Siamo di rincalzo. Ovvero, lo siamo stati...Dieci minuti fa un porta-ordini e' giunto al nostro campo ed ha portato la bella notizia; la "23 Marzo" lascia il vecchio fronte e si porta in linea, sull'Amba Aradam. Ho tralasciato di scrivere e sono corso fuori dalle tende con i miei compagni. L'ordine - tanto atteso, tanto sospirato - e' giunto a porre fine al nostro nervosismo.
- Si va in linea.
- Si combatte!
- La "23 Marzo" prendera' l'Amba Aradam alla baionetta.
- Le legioni pianteranno i labari sul picco piu' alto.
- Vinceremo!
- Si parte subito! Disfare le tende! Prelevare i viveri e le munizioni: tra mezz'ora adunata della compagnia. Fare presto! Muoversi! Non dormire!
La voce del centurione ha posto fine alle esclamazioni e ai commenti. I militi sono corsi alle tende. In due minuti il campo che fu non e' piu'. Le tende sono scomparse come per incanto; e come per incanto gli uomini si sono schierati in perfetto ordine al di la' dei trinceramenti.
Rintanato dentro un autoricovero del Comando, termino di scrivere affrettatamente queste note. L'autista che gentilmente mi ospita provvedera' a portarle alla posta. Il mio plotone e' pronto per la partenza. Non posso dilungarmi nello scrivere, rischio di prendere un poderoso "cicchetto".
Calano le prime ombre della sera e con queste cadono le prime goccie di quella pioggia ormai solita, quanto noiosa. Ma l'oscurita' e il maltempo non impressionano: la luce di eroismo che sprigiona dall'Amba Aradam ci rischiarera' la via da percorrere e il fuoco di domani asciughera' la pioggia di questa sera.

...suona l'ora di battaglia
sara' gia' la fiamma nera
che terribile si scaglia"


Dino Corsi