Il Telegrafo del 24 settembre 1936
Con le Camicie Nere del "Gruppo Diamanti"

Golimà (Regione del Galla-Uollo), settembre
In una fredda sera del febbraio '35, un manipolo di ragazzi, una sparuta schiera di imberbi Giovani Fascisti, indossvano la divisa del Milite. Diciotto anni il più giovane, venti gli anziani, meno di venicinque i pochi vecchi. Indossarono la divisa grigioverde delle fiamme nere dell'arditismo, cinsero la cintura della giberna, lucidarono le baionette, affilarono i pugnali e partirono. In silenzio, come in silenzio avevano risposto all'appello del Duce. Ma un silenzio più significativo di ogni rumorosa manifestazione, un silenzio che racchiudeva in sè il germe della disciplina, insieme a quello della prima rinuncia.
A Siena, questi ragazzi, vannero sin dalle loro contrade per portarsi alla stazione. Dai Pispini, dalle spiagge di Ovile, dalla luminosa Camollia e da tutti i Rioni e le strade si partirono i primi volontari per l'Africa orientale. Cosa era per essi l'Africa lontana e misteriosa? Un enigma.
Cosa sapevano quei giovinetti dell'impresa alla quale erano destinati? Nulla o ben poco. Ma tutti, dal più giovane al più vecchio, dall'umile operaio allo spensierato studente, portavano nell'animo un bagaglio di belle speranze, che non dovevano essere deluse, e nel cuore una ardente fiamma di fede, di volontà e di ardimento, che non doveva mai estinguersi.
Nati, tutti o quasi, nel periodo fulgido della grande guerra redentrice, cresciuti all'ombra del Littorio, fatti uomini, prima di esserlo con l'età, attraverso l'attività svolta in seno alle organizzazioni Giovanili del Regime, soldati fin dall'adolescenza e fascisti fin dall'infanzia, scattarono al primo squillo della Diana di guerra, senza perdersi in considerazioni, senza tentennamenti, offrirono al Duce i loro vent'anni, la loro volontà, il loro desiderio di servire e far grande la Patria.
Oscura e silenziosa, la vecchia stazione, salutò la partenza del manipolo audace. Baci di mamme, di babbi, di fratelli e di fidanzate, lento sventolar di fazzoletti, molti abbracci, qualche singhiozzo, poche lacrime e poi, il treno si mosse e partì cigolando sulle rotaie.
Da due tradotte si sporsero teste e braccia a porgere l'ultimo saluto, mentre il convoglio si perdeva lontano, nella foschia di quel primo mattino invernale. Scomparve nella nebbia il fanale rosso del vagone di coda, ma di lontano, i sù verso Montarioso, giunsero i canti dei giovani, come un giuramento, come una promessa:
Duce! Duce! Chi non saprà morir?
il giuramento chi mai rinnegherà?

E nessuno rinnegò i giuramento. E tutti, i martiri del Tembien e gli scampati alla morte, dimostrarono di saper morire, da italiani, da fascisti, da soldati.
Questo manipolo di ragazzi, che doveva divenire un pugno di eroi, questi primi entusiasti volontari dell'impresa d'Africa, dovevano insieme ai camerati delle altre Legioni, formare il 1.o Gruppo Battaglioni Camicie Nere Eritrea.
Quel Gruppo, divenuto ormai leggendario attraverso gesta epiche, e conosciuto con nome del giovane ed eroico generale fascista, che per mesi e mesi guidò e condusse alla vittoria e alla gloria i giovanissimi volontari del febbraio '35, "Diamanti".
Essi, i legionari, sono ormai per tutti i "Diamanti", in guerra come in pace un solo nome servì a distinguerli dalle altre Camicie nere: "Diamanti".
Diamanti! Sembra che la sorte abbia voluto imporre loro il nome più adatto, perchè questi ragazzi, questi "Diamanti" sono in tutto e per tutto degni di onorare la corona che cinge la fronte della Nuova Italia Imperiale.
Poco, troppo poco forse, si è scritto delle gesta di quattro battaglioni e della compagnia mitraglieri A.P. che costituiscono il 1.o Gruppo CC.NN. d'Eritrea. Ignoti sono in Patria gli episodi di valore, di sacrificio e di fede a cui hanno dato vita i giovanissimi legionari nei diciotto mesi della loro permanenza in Africa Orientale. Sempre affiancato a grandi unità, il gruppo ha operato di concerto con queste e sovente il suo nome è confuso, sino a scomparire quasi del tutto, con quello del Corpo d'Armata o della Divisione, agli ordini dei quali operava. Ma noi, che fummo in Africa con i "Diamanti" nel febbrile periodo della vigilia guerriera e che sempre, durate e dopo le azioni, seguimmo con animo orgoglioso e trepidante le gesta dei fratelli minori, che precedendoci di due mesi nell'arruolamento ci insegnarono la via del dovere, noi, ripeto - i legionari della "23 Marzo" - sappiamo quanto grande sia stata la misura dei pericoli e dei sacrifici, superati da quelli, che a ragione, sono oggi i veterani dell'A.O.
Veterani a vent'anni. E non tutti li hanno ancora, vent'anni. Ma tutti sono già uomini. I diciotto mesi di colonia, i sette di guerra, da essi vissuta e combattuta duramente, han fatto dei giovani fascisti di ieri dei soldati perfetti e dei legionari che nulla hanno da imparare, ma tanto da insegnare.
I combattimenti del dicembre e le due grandi battaglie del Tembien hanno sempre veduto i "Diamanti" in primissima linea. Nelle gloriosamente sanguinose giornate del gennaio, a Mai Ceu ed a Passo Uareiu, i ragazzi dell'ultima leva compirono prodigi di valore. I corpi dei giovanetti si eressero abarriera invalicabile di fronte alle orde etiopiche. Furono martoriate le carni, si compì il glorioso sacrificio di centinaia di adolescenti eroi, ma il nemico non passò. E nel febbraio, alla riconquista di Abbi Addi e nella scalata dell'Uorkamba (Amba d'oro) furono ancora i "Diamanti" a dare il "la" agli attacchi, a sacrificarsi, a vincere, a morire per primi.
Vent'anni, ma tutto un passato di glorie che ingrandisce smisuratamente le figure degli eroi giovanetti, che fa di essi degli uomini pronti sempre, come lo furono, a dimostrare al mondo cosa possa la giovane generazione della sempre più giovane Italia.
Altra volta ebbi occasione di parlare dei camerati, e per esser più precisi, dei Senesi del "Gruppo Diamanti"; fu nell'ottobre scorso, poco dopo l'inizio delle operazioni, durante la rapida avanzata nel Farras-Mai, dopo la non meno rapida conquista dell'Entisciò. La "23 Marzo" era impegnata nell'azione per la conquista del Monte Raio, quando il "Gruppo" operante con noi in seno al Corpo d'Armata Indigeno, fu per alcuni giorni a stretto contatto con le nostre linee.
Potei vedere i ragazzi di Siena ed intrattenermi con loro per pochi minuti. Scrissi dell'incontro ed espressi la certezza che nei "Diamanti", come nella "23 Marzo", la Città di Santa Caterina avrebbe avuto dei figli degni della gloria e delle tradizioni del passato. La certezza non fu mai smentita. E siena può, oggi, aggiungere alla sua gloria quella gratitudine di aver dato alla Patria oltre mille volontari, inquadrati, sempre al loro posto di dovere e di combattimento, nel 1.o Gruppo e nella 1.a divisione CC.NN. Primi nell'ardide nelle grabdi unità e primi ad arruolarsi e partire. Primi ieri nelle azioni di guerra e primi oggi nel profondere le proprie energie per la redenzione dell'impero conquistato.
Li ho veduti giorni or sono, i cari ragazzi, nella selvaggia valle del Golimà. sempre i soliti, sempre la stessa spensieratezza giovanile, sempre e più viva che mai, la fiamma di luce che sprizza dai loro occhi.
Per molte ore siamo stati insieme. Ora sotto una tenda, ora all'ombra di un baobab ed infine, a notte, fra le pietraie bianche del torrente.
Mi si son seduti attorno, i compagni d'arme e di fede, stretti in cerchio ed uniti a me, ed agli altri camerati senesi della "23 Marzo" che erano con noi, dagli stessi pensieri, dagli stessi ricordi, dalle stesse speranze.
Hanno narrate le loro gesta, rievocati gli episodi della guerra e fatti risaltare quelli più salienti, con semplicità, naturalezza, quasi con timore. Ed hanno ascoltato i nostri racconti, le spiegazioni da noi date riguardo questo o quel combattimento, al quale avemmo fortuna si prender parte, e si sono accalorati ed entusiasmati per le nostre imprese, che non furono certo superiori alle loro.
E poi, mentre la notte si faceva sempre più nera e le acque del torrente cantavano una canzone triste e nostalgica, i pensieri di tutti son volati a Siena, a casa, alle mame. Il cerchio si è stretto maggiormente, i cuori hanno palpitato all'unisono e negli occhi di tutti è brillata via la fiamma della speranza di un presto ritorno.
Ed abbiamo pensato, man mano che le ombre divenivano più fitte e la canzone delle acque aumentava di tristezza, ai fratelli che non torneranno più. Uno per uno, i nomi sacri dei Martiri sono venuti alle nostre labbra: Angiolini, Tondi, Esposito, Giachetti, Morgantini, Burroni, Meacci...E giù giù, tutto l'elenco dei Prodi e degli Eroi, che tutto diedero alla Patria, dopo averle tutto offerto.
Come in un tempio le gesta dei Santi, quelle dei nostri Caduti sono state rievocate sulle taglienti roccie del Golimà. E come una prgehiera...quella canzone che sa far piangere è echeggiata solenne sotto il cielo africano:

Mamma non piangere...


Dino Corsi