Il Telegrafo del 25 settembre 1935
Con i legionari senesi attraverso l'altipiano eritreo

Colonia Eritrea, settembre
Massaua, di notte, così come l'abbiamo veduta noi, nell'attraversarla subito dopo lo sbarco, è una fantasia di bianco e di nero.
Candidi palazzi e villette macchiano di un nitido biancore le tenebre della notte africana, ombre stranamente bianche portano sprazzi nivei nelle tenebre delle strade e dei vicoli che dal centro convergono al porto. Tutti gli abitanti di Massaua, indigeni e nazionali, sia militari che civili hanno nel bianco il colore preferito. E così i lunghi barracani degli indigeni, i manti svolazzanti delle nere e le eleganti ed affilate uniformi degli ascari e dei "dubat" si confondono e, particolarmente la notte, formano tutto un insieme con le rare toelette femminili di foggia europea e con i corti calzoncini e le leggere magliette indossate da tutti indistintamente gli italiani.
Anche le lampade elettriche, particolarmente numerose nei pressi del porto, spandono una luce così chiara, che riflettendosi sul verde delle rare palme, ne attenua il colore e rende anche queste intonate al bianco-nero del'ambiente. Ma con le prime luci dell'alba e con il quasi improvviso sorgere del sole, tutto cambia. E come d'incanto la città assume un aspetto nuovo e tutti i colori dell'iride si frammischiano l'uno all'altro e fanno apparire Massaua come la tavolozza di un pittore.
Della notte da poco dileguatasi rimane però una traccia: i volti, le mani e i piedi degli indigeni, macchie nere su sfondi biancastri, fanno nuovamente pensare alla resa e alla tricolore fantasia della notte.

Prima giornata in terra d'Africa

Abbiamo sostato circa ventiquattro ore nell'accontonamento militare, grande paese di modernissime baracche sorto da alcuni mesi sulle aride sabbie della costa eritrea, a pochi chilometri da Massaua.
Una giornata intera di riposo impiegata nei modi più vari, non ultimo quello di spendere molte ore per dedicarsi alla scoperta del colore locale e, conseguentemente, avvicinare gli indigeni, intrattenersi con essi e di essi tutto voler conoscere, per quell'innato senso di curiosità e di amore del nuovo che spinge gli uomini, particolarmente i giovani, a cercare il mistero e l'emozione anche dove tutto è straordinariamente normale.
E la curiosità di tutti è stata pienamente soddisfatta. E tutti, dopo le prime ore di permanenza in terra africana, avevano già tanto da dire e da raccontare. Qualcuno, poi, spintosi fino al villaggio indigeno, che è situato nei pressi dell'accantonamento, ha fatto sfoggio di ninnoli esotici (made in Italy) acquistati a caro prezzo da indigeni, tanto furbi quanto poco dimostrano di esserlo questi figli di Maometto. Uno, un bravo ragazzo di Buonconvento, se ne è tornato trionfante alla baracca brandendo un affilatissimo coltello da caccia acquistato poco prima. Ha mostrato l'arma ad un suo paesano ripetendoci le parole dette dal venditore: avere fabbricato io, avere ucciso due leoni.
- Capito? - ha aggiunto a mo' di commento - Due leoni c'ha ammazzato quel moro, con questo coltello. E l'ha fatto da se, proprio co' le su' mani. - E si è allontanato per mostrare ad altri la rara africanissima arma. Io non ho voluto disingannarlo dicendogli che in fondo alla zaino avevo un coltello perfettamente simile al suo, acquistato a Siena prima della partenza per sole 10 lire. Lui però ne ha spese venti e si è meritata la piccola soddisfazioncella...
Ma proprio il pomeriggio di quella giornata africana doveva riservare una delusione, forte almeno come quella che proverà il fortunato acquirente del coltello, quando leggerà queste righe.
A sei o sette chilometri dall'accantonamento delle truppe, una piccola oasi, dieci palmizi e pochi cespugli di bambù e fichi d'india, rompe l'uniformità del deserto e macchia di verde il giallastro della sabbia.

Alla ricerca del mistero

Progettata, insieme a due compagni, una visita all'oasi in questione, siamo partiti subito dopo il primo rancio. Moschetto e borraccia a tracolla, abbiamo marciato per due ore circa sulla cocentissima sabbia e, giunti finalmente, sudati e discretamente stanchi, nei pressi di quel verde, meta della nostra ascensione, ci siamo fermati a riprendere fiato.
Uno dei miei camerati...partecipante all'ardita spedizione, facendo tesoro della sua pratica coloniale acquistata nei due anni di permenenza in Libia, ha preso il comando della...colonna e, dopo averci impartito un sacco di raccomandazioni, non ultima quella di caricare il moschetto e tenersi pronti ad ogni sorpresa, si è inoltrato tra il folto del fogliame.
Lentamente, con cautela e circospezione - come se tutte le forze armate del Negus fossero concentrate in quei pochi metri quadrati di terreno - abbiamo seguita la guida. Il silenzio incombeva sull'oasi, ma in noi era ferma la convinzione dell'imminente sorpresa.
Cosa ci attendeva, nessuno dei tre avrebbe potuto dirlo. Forse un leone, forse uno sciacallo, magari una iena. Qualcosa insomma. Mano mano che avanzavamo il fogliame si faceva sempre più folto e la convinzione della sorpresa sempre più forte. Finalmente...Un movimento fra i cespugli ci fa fermare di botto. Qualcosa di vivo si agita dentreo quelle piante di fichi d'india...Il silenzio è rotto dal movimento repentino e simultaneo di tre otturatori. I moschetti sono pronti a far fuoco. Un attimo di attesa e poi l'imprevisto.
Il fogliamo si apre...e un morettino, una piccola e gioiosa statuina color cioccolata, si avvicina a noi e, salutandoci con un sorriso tale da far invidia alla miglior reclame per pasta dentifricia, ci mostra, perfettamente allineate in una rigida cassetta metallica, alcune diecine di bottigliette multicolori e ci fa l'invitante offerta, nel più puro italiano che si sia mai sognato ascoltare: Bibite rinfrescanti, signori. Una lira e cinquanta la bottiglia!
Mortificati, beviamo, paghiamo e torniamo sui nostri passi, senza far motto. E dell'avventura non se ne è più parlato, nemmeno tra noi tre: nemmeno per scherzare.

La marcia

Di buon mattino, una colonna di autocarri ci porta a quella che sarà la prima di una serie di tappe attraverso l'altopiano eritreo.
Percorriamo chilometri e chilometri su strade modernissime, ove cilindratura e bitume permettono di lanciare le macchine a velocità fortissime malgrado la forte pendenza della strada stessa.
Viaggiando in queste regioni attraverso località e villaggi che si ricordano le gesta dei nostri nonni, i forti soldati di ieri che apertisi il varco con le baionette, hanno tracciato con il sangue quel cammino che oggi percorrono le Legioni della Nuova Italia, abbiamo l'agio di ammirare l'opera dei tanti lavoratori italiani - militi dell'Idea Fascista e soldati pure essi, anche se presso di loro il piccone ha le funzioni del moschetto - che in pochi mesi di fatiche hano saputo dare alla nostra colonia primigenia una rete stradale tale da reggere il confronto con quella di qualsiasi altra regione italiana.
Al passaggio degli autocarri, gli operai addetti ai lavori stradali ci salutano sollevando in alto gli strumenti della loro fatica ed inneggiano alla Patria e al Duce. A T... ove giungiamo nel pomeriggio, ci attende la calda e cameratesca accoglienza dei camerati dell'Esercito qui accampati da tempo. Ritroviamo vecchi amici, vecchi compagni d'armi e superiori avuti durante il servizio permanente. Rapido scambiarci di abbracci, di saluti, di impressioni e di notizie. Allegria generale.
Il tempo vola e i tramonti africani sono brevissimi. Bisogna salutare gli amici ed affrettarsi a montare le tende. Fra poco sarà notte. Si dice che qui le iene e gli sciacalli amino spingersi fino agli accampamenti, appena calano le ombre della sera. Dio volesse! Se ciò avvenisse mi sentirei ripagato della delusione subita precedentemente nell'oasi così poco misteriosa.

Dino Corsi