Il Telegrafo del 5 febbraio 1936
Scappata fuori ordinanza a Macallč

Macalle', gennaio
Essendo prossimo il momento di lasciare l'Enda Jesus, sono voluto tornare a Macalle', per conoscere nel miglior modo possibile la capitale del Tigrai Orientale, appena intravista, quando un mese fa giungemmo qui dal Ferces-Mai.
Ma a Macalle' e' proibito recarvisi. Posti di sbarramento vietano il passo ai soldati e ai militi ed impediscono l'ingresso nella cittadella resa gloriosa e passata alla storia merce' le gesta del prode Galliano. Il divieto e' giusto e dovuto a ragioni piu' che plausibili.
Se a tutti - dico a tutti i centomila e passa soldati, che sono accampati piu' qua o piu' la' del centro abitato fosse permesso di entrare e circolare liberamente a Macalle', la vita della cittadina non potrebbe piu' procedere regolarmente, dato l'affollamento che si verrebbe a verificare nelle sue strade e nei suoi locali.
Dunque, a Macalle non si puo' andare. Amenoche' non si faccia uso di uno di quei tanti strattagemmi che il soldato ha sempre di riserva per poterla fare in barba ai regolamenti e alle disposizioni. Ed anche'io ho dovuto usare uno di questi strattagemmi, che riuscito in pieno mi ha data la possibilita' di trascorrere alcune ore tra le piazze e le viuzze delimitate dalla fila di capanne, dalle mole quasi maestosa del Palazzo dell'Imperatore Giovanni e dalle poche costruzioni all'europea che danno un certo non so che d'occidentale all'aspetto della citta' piu' orientale del Tigrai.

L'amico autista
Con il tasca il permesso che mi autorizzava a restare fuori dal campo sino al tramanto, e nel cuore la grande speranza di farla franca, ho sceso la mulattiera e sono giunto nella piana, raggiungendo la camionabile. Ai margini del lungo e polveroso nastro che si snoda verso Macalle', ho atteso pazientemente. Ecco un autocarro. Fo cenno all'autista, ma senza resultato. La macchina prosegue la sua amrcia, accelerando anche e coprendomi di polvere.
Arriva una vettura da turismo; e' scoperta e, da lontano, mi avvedo che non ha viaggiatori. Mi pianto nel mezzo della strada, deciso a non muovermi. L'autista strombetta, strombetta ancora, grida, ma e' costretto a fermarsi. Mi investe subito con parole poco riguardose; io non mi scuoto; lo lascio sfogare e poi, nel modo piu' gentile, gli rivolgo la domanda di prammatica:
- Mi porti a Macalle'?
- Non si puo'. Proibito! - la risposta secca e recisa e' seguita da un movimento di piedi sull'acceleratore. E la macchina si mette nuovamente in corsa. Non posso trattenere un gesto di rabbia e la frase che, spontanea, mi viene alle labbra: A rotta di 'ollo!
Un colpo di freno e l'auto e' nuovamente ferma. L'autista, senza scendere di macchina, si volge e mi grida:
- Com'hai detto? Ridillo!
Ora nasce la lite, penso fra me e me, ma comunque mi fo sotto e ripeto: A rotta di 'llo!
- E poi?, mi domanda ancora l'autista, senza scomporsi.
- E poi, riprendo io, un po' sorpreso dalla calma del mio interlocutore, e poi...sempre a dritto, finche' un mi ritrovi. - Mi attendo un qualche scatto e mi preparo...alla difesa. Ma l'autista, piu' calmo che mai, mi guarda dritto in faccia e, sorridendo, dice:
- Non mi sbaglio. Te se' di Siena. E' vero? Sei senese?
- E di che tinta! Chi te l'ha detto?
- Ci vol poo a capillo. A rotta di 'ollo e sempre a dritto, si dice altre noi del Mangia...
- Sei di Siena anche te?
- O un lo senti! Monta su, spicciati!
- Dunque un e' proibito?
- Un ne parliamo. E' proibito per tutti, anche per gli ufficiali, ma tra senesi, vorrei tu la 'apisse! Tieni. Infila quella tuta ble' cosi' allo sbarramento si fa pulita: passerai per il meccanico.
Infilo la tuta da meccanico - lasciapassare prezioso - e mi siedo al fianco dell'autista. Si parte. Uno, due chilometri a grande velocita' e la corsa rallenta. Nei pressi di Macalle' e' impossibile alle macchine di procedere a piu' di 20-25 all'ora.
Il mio compagno si destreggia tra le colonne interminabili di autocarri e, senza dir parola, mi guarda di tanto in tanto. Anch'io lo osservo e cerco di ricordarmi dove e quando l'ho riveduto. E' di Siena, penso, e a Siena ci conosciamo tutti...improvvisamente, la luce si fa strada nella mia mente. Mi rivedo in Piazza in una burrascosa sera di prova generale e rivedo anche il mio amico. Subito gli domando: Sei dell'Oca?
- Si, del Paperone. E te?
- Del Nicchio.
- Gia', mi pareva...Sei il Corsi, vero?
- Gia'...
- Saresti quello... - Non termina la frase. Siamo giunti al posto di blocco. Un sottufficiale dei carabinieri verifica il lasciapassare dell'autista. Poi mi fissa in volto e chiede: E il suo compagno?
- E' il meccanico.
- Sono il meccanico.
- Va bene: avanti! - Ripartiamo e do un sospirone di sollievo. Questa volta l'ho fatta franca!
Pochi minuti ancora e giungiamo a Macalle'. La macchina si ferma nella piazza prospiciente il Ghebi' di Rast Gusga'. Ringrazio l'utista e lo invito a tenermi un po' di compagnia. L'ocaiolo, sorridente, mi spiattella in faccia questo po' po' di complimento:
- A Siena, t'avrei buttato tanto volentieri in un fosso...
- Grazie.
- Ma qui siamo in Africa e le contrade un c'entrano. T'ho montato volentieri e volentieri t'ho portato fin qui. Ora vo' all'autoparco a lasciare la macchina, poi torno a staremo assieme. Aspettami al mercato: tornero' fra un'ora e passeremo una giornata in allegria.
Mette in moto l'auto e, sul punto di partire, aggiunge, sempre ridendo: Faremo conto che l'O'a e il Nicchio abbiano rifatto le paci.

Macalle' a occhio nudo
E' giorno di mercato. Uno dei due consueti mercati settimanali, che fanno convergere a Macalle' migliaia e migliaia di indigeni provenienti da tutte le regioni del Tigrai.
La vita della cittadina, sempre desta e movimentata, ha oggi un tirmo rapidissimo, travolgente, quasi ubriacante.
File lunghissime di allegri somarelli, di impazienti e vivaci muletti e di malinconici cammelli, passano per le strade dirigendosi verso il luogo del mercato. I conducenti e i cammellieri, seguono o procedono i quadrupedi canticchiando le nenie tanto care a queste genti. Di tanto in tanto si soffermano per dare un'occhiata ai carichi, aggiustano i basti, danno un incitante colpetto di frusta alle bestie e riprendono il cammino accompagnandosi con il rituale ritornello canoro: Mammaie', alaooo! Mammaie', alaooo...
Fermi sulla soglia delle capanne in muratura, i...cittadini assistono alla sfilata delle carovane, salutano i mercanti che passano e si inchinano al passaggio di questo o quel notabile che va al mercato insieme ai suoi servi.
I nostri carabinieri nazionali e indigeni, disciplinano il traffico e tengono sgomberi gli incroci di strade, i soldati della banda di Ras Gusga' - duemila e piu' diavoli neri inquadrati ormai nelle nostre formazioni irregolari e comandati da ufficiali italiani - coadiuvano i nostri militi e fanno sfoggio delle nuove fiammanti divise caki, che alla foggia e poco dissimili di quelle degli ascari, rivestono i loro corpi atletici e dalle forme perfette.
Vanno e vengono questi soldati, a destra e a sinistra, in lungo e in largo, seguiti dagli sguardi delle donne. Sguardi pieni di ammirazione, di affetto, che dicono tutta la dedizione delle femmine nere per questi uomini tanto forti, tanto temuti e tanto belli, vestiti come nuovi all'europea.
Le donne, dico delle donne giovani giacche' le vecchie - e qui le donne sono vecchie a trent'anni - se ne stanno rintanate nelle capanne per quasi tutta la giornata, sono affabilissime con tutti, col forestiero e in special modo con l'italiano.
Dai lineamenti meno marcati e piu' gentili delle tigrine, le ragazze e le spose di Macalle', che risentono a tutto loro vantaggio fisico dell'incrocio delle razze amarica e tigrina, fanno mostra di corpi della linee statuarie, e se non fosse per quel poco simpatico color nero delle loro carni, si potrebbe afermare che sono bellissime. Bellissime, come s'intende noi italiani, usi ad avere sempre sott'occhi le piu' belle donne del mondo.
Malgrado l'affollamento amlgrado l'intenso traffiico, la vita si svolge ordinata per le vie di Macalle'. La disciplina e l'ordine piu' perfetti si notano attraverso mille particolari, che vanno dalla pulizia delle strade e delle piazze al modo regolare con il quale i carovanieri, seguiti dalle teorie dei loro animali da carico, procedono tenendo sempre la destra.
L'interno delle abitazioni e dei locali ove si negozia e si commercia e', se non proprio un esempio di igiene, qualcosa di tanto meglio delle capanne vedute fino ad oggi nei vari centri del Tigrai. Piu' ordine, piu' pulizia e piu' proprieta'. Anche gli abitanti curano molto la persona ed ambiscono non solo ai ninnoli decorativi ed ai vestimenti multicolori, ma anche alla pulizia del corpo.
Le costruzioni in muratura sono numerose a Macalle', ove, oltre al ghebi' dei capi, al castello imperiale e ad un buon numero di palazzine all'europea, abbondano - e sono la quasi totialita' - le capanne costruite in muratura - residenza degli indigeni - a forma cubica, che viste da lontano hanno uno spiccato aspetto di costruzioni novecentesche. E cio' sia detto senza ombra di ironia riguardo gli amanti lo stile nazionale.
Lo stile delle costruzioni, le strade selciate nella massima parte e quell'ondata di modernismo e di civilta' portato fin qua dagli automezzi e dagli aerei che sorvolano costantemente l'abitato, fanno si' che Macalle' si presenti piu' come una cittadina europa che come una citta' orientale, anzi orientalissima, quale veramente e'.
Ma basta spingere la testa al di la' della porta delle abitazioni, basta inoltrarsi un po' tra il dedalo dei vicoli e delle viuzze, che fiancheggiano le arterie principali, per vedere l'Oriente piu' caratteristico e strappare a questo tanti dei suoi piu' gustosi segreti.
Oggi lo spazio mi impedisce di descrivere tanti aspetti della vita intima dei cittaidni di Macalle' ma in una delle mie prossime corrispondenze svelero' ai lettori de "Il Telegrafo" quei piccoli grandi misteri che si celano dietro la porta senza serratura del pelazzo imperiale, al di la' della soglia di una capanna o all'ombra di un cespuglio di fichi d'india, che vela agli sguardi indiscreti l'ingresso di un ghebi' o di un tucul.

Il mercato
La grande piazza ove si svolge il mercato e' affollatissima. Mercanti di tutte le eta' e si potrebbe dire di tutte le razze, dato che i mischiati alle fila dei tigrini sono numerosi amarici, dancali, scioani, eritrei, alcuni armeni, turchi e greci e molti italiani - borghesi giunti subito dopo l'occupazione e gia' in piena attivita' commerciale - affollano il pianoro.
Merci avariate, buttate qua e la' alla rinfusa e ammontinate all'ombra dei sicomeri, merci di tutte le qualita': dai prodotti del suolo, portati dai campi dell'alto piano, alle canestre di frutte esotiche e ai pani di sale giunti fin qui con le carovane dei cammellieri dancali, dai bruni e cornuti zebu' ai belanti capretti, e, giu' giu', fino a tutte le infinite serie di articoli europei, venuti dalla Madre Patria - via Massaua-Asmara - sono oggetto di contrattazioni lunghe, numerose e talolta...violente. Giacche' non e' raro il caso che venditori e acquirente risolvano a pugni, e preferibilmente a bastonate, una insoluta quistione di prezzi.
Stupito, dello stupore che cagiona sempre il nuovo e il pittoresco, mi spingo in questo caravanserraglio di gente e di razze.
L'amico autista mi raggiunge ben presto e mi fa da guida e cicerone. Lui, che conosce meglio di me, cioe' meno peggio di me, la lingua degli indigeni, mi aiuta nelle poche compere che faccio al mercato. Poche, perche' piu' che per comprare, sono qui per vedere.
Un fabbro - uno di quei tanti fabbri che a Macalle' lavorano in quelle e buie e paurose tane, che sembrano ambienti infernali - ha steso per terra una lacera coperta; e sul panno, piu' nero che bianco, tutto...scoperto da fori e strappi, ha parato una infinita' di oggetti e oggettini di metallo bianco, forgiati nella sua tana infernale.
Alcuni di questi oggetti attraggono la mia attenzione; ne domando il prezzo. mostrando al vecchio indigeno una crocetta istriata e due piccoli piattini, non so se portacenere o portagioie.
- Due e cento, mi sento rispondere.
Domando al mio compagno cosa significhino quel due e quel cento e so cosi' che il fabbro ha chiesto 200 lire per degli oggetti che ne varranno si e no venti. Ma e' proprio l'autista che provvede a portare il mercante a piu' miti pretese.
- Arcu', sta' a senti', dice con perfetto tono...fontebrandino, un c'e' mi'a scritto locco qui sopra, sai! Ti si da du' scudi e buona notte sonatori.
- Non potere...Due e cento guattana...
- Dugento cazzotti nel capo ti do'. To', piglia quindici lire e ringrazia Iddio! - Mette in mano all'indigeno tre pezzi da cinque lire, mi fa cenno di prendere gli oggetti contrattati ed esclama: a Dagli retta, so' peggio de' cinesi che stanno a vende le collane all'arco de' Rossi.
Ci tratteniamo ancora un po' al mercato, faccio ancora dei piccoli acquisti, godo e mi beo nell'assistere a tante e tante scenette caratteristiche, ma, giunto ad una certa ora, non posso nascondere al mio compagno che la fame mi spienge a tornare all'accampamento.
Ma l'amico sorride, mi prende a braccetto e mi dice: All'accampamento? A prendere il rancio? Oggi no, oggi vieni con me, andiamo a trattoria.
- A...?
- Trattoria..." E in poche parole mi spiega che subito fuori della citta', un borghese, un toscano, ha improvvisato in una baracca una cucina economica ad uso dei militari dell'autoparco e di quelli di passaggio.
Non rifiuto l'invito. Due salti e siamo a destinazione. Una piccola baracca; due tavoli con tanto di tovaglia ed un odorino casalingo che fa venire l'acquolina in bocca e, quasi quasi, commuove.
Mi metto a tavola. A tavola! Mi par di sognare. Tavola con tovaglia, piatti, bicchieri...Da molti mesi, ormai, la tavola era per me un mito, e le tovaglie, le stoviglie, i bicchieri, tanti pii desideri...
Mangio. Mangiamo...Piatti toscanissimi; e cucinati alla nostrana. E beviamo. "Chianti classico" sta scritto sull'etichetta di un fiasco chianti delle colline senesi, mi dice l'amico. Questa e' proprio roba nostra. Bevi. Alla salute di Siena...
- Alla salute di Siena!
- E del Paperone!
- E del...non se ne potrebbe fare a meno?
- Per educazione no. Pensa che sei mio ospite.
- Gia', ingollo il boccone amaro e brindo: alla salute del Paperone!
- Del Paperone, del Nicchio, e di tutte le contrade! Perche' sono tutte belle e perche' qua in Africa siamo d'una Contrada sola, di Siena! Va bene, Corsi, sei 'ontento 'osi'?
- Contentissimo.
- Allora ribevi.
- Grazie. Mi puo' far male. Devo ritornare al campo.
- Ti ci porto io co' la macchima. Bevi. Bevi oggi perche' domani...
- Domani...?
- Non lo sai? Allora te lo dico io; domani o al piu' tardi dopodomani c'e' lavoro.
- Davvero?
- Garantito. Ho portato io gli ordini stamattina.
- Dunque domani...?
- Domani lo vedrai! E felice te che se lassu'...Bevi e poi si fa una 'antatina.
- Bevo. Ma un canto. Lo sai, e se un lo sai te lo dico. So' stonato.
- Non vol di'. Per canta' questa siamo tutti 'apaci. Sta' a senti' se ti garba:

Accanto al tricolore
sventola una bandiera
che ci commuove il cuore:
bandiera bianco-nera


Dino Corsi