Il Telegrafo del 14 ottobre 1935
Incontro con i camerati dei battaglioni Diamanti
Tigrai, ottobre
Dal giorno del nostro sbarco in terra d'Africa avevamo cominciato a sentir parlare con entusiasmo dei battaglioni CC.NN. formanti il "Gruppo Eritreo del Generale Diamanti". Ovunque, al loro passaggio, le formazioni di Milizia sbarcate nei primi del marzo scorso, avevano suscitato manifestazioni di patriottismo e lasciata una profonda impressione di disciplina, di forza, di fierezza, di vonlonta' e di fede.
Le prime camicie nere che erano al contempo i primi soldati inviati dal Duce in difesa delle nostre Colonie e dei nostri sacrosanti diritti, tutti volontari, quasi tutti giovani e moltissimi giovanissimi delle ultime leve, partiti dall'Italia al primo profilarsi della seria minaccia etiopica, furono e sono, ancora e giustamente, considerati il fior fiore delle truppe operanti sul nostro fronte. Rotti a tutte le fatiche, provati ormai da ben otto mesi di vita coloniale, esperimentati con successo nelle prime azioni di guerra, animati da un entusiasmo e da uno spirito combattivo senza pari, i Battaglioni del Generale Diamanti sono, tra le diecine di migliaia di "fiamme nere" delle Divisioni mobilitate, gli arditissimi. In loro, piu' che in ogni altro reparto della Milizia, rivive la tradizione dei gloriosi reparti di assalto della grande guerra. E si rinnovano, in questi ragazzi dalla fede purissima e dal coraggio leonino, l'ardimento dei primi Arditi, il disprezzo che questi avevano per la morte e lo spirito spiccatamente menefreghista delle gloriose squadre di azione.
I gerarchi apprezzano i militi dei quattro battaglioni eritrei, i compagni della Milizia e dell'Esercito li ammirano e li invidiano, i nemici li temono.
Carni abbronzate e divise stinte dal sole, energici e agili garretti e braccia d'acciaio, lingua tagliente come la lama dei loro pugnali, buoni sempre, ma terribili nella lotta, i "volontari del febbraio" sono in Africa l'insegna vivente della razza nostra e l'espressione purissima della nuova generazione, cresciuta all'ombra del Littorio Romano.
I senesi
Anche qui, come nella "23 Marzo"come nella gia' gloriosa prima di sorgere "Divisione Tevere", anche nei Battaglioni Diamanti, i senesi sono numerosi. Quasi una centuria, composta in prevalenza di giovani fascisti, partiti da Siena nel febbraio. Partirono in silenzio, di notte. Quasi di nascosto. Partirono con nel cuore la sacra fiamma dell'amor patrio, partirono con sulle labbra il nome della mamma e della fidanzata, partirono contenti verso l'avvenire e verso la gloria che non doveva essere lontana.
A loro, che furono i primi a rispodere all'appello del Duce, manco' il saluto di Siena. Quel saluto amorevole, frenetico e commovente che il nostro popolo tributo', in mezzo ad una festa di tricolore e di fiori, ai volontari partiri nell'aprile, manco' a chi piu' di tutti ne era degno. Ma i militi non se ne adombrarono. Compresero che il silenzio era necessario ed in silenzio partirono, forse in cuor loro pensando al ritorno, ad un ritorno in un giorno non troppo lontano, un giorno tutto splendente della limpida luce della vittoria e della conquista.
ricordo e ricordero' sempre l'addio di uno di questi ragazzi. era gia' notte quando venne a trovarmi a casa. Per la prima volta lo vidi in divisa di milite e ne fui sorpreso, dato che lo sapevo ancora giovane fascista. Gliene chiesi la ragione.
- Parto - mi disse. Ed un lampo di gioia e di fierezza brillo' nei suoi occhi. - Vado in Africa, in eritrea...e forse in Abissinia.
- Quando? Quando parti?
- Fra due ore. Al tocco preciso. Dianzi, alle otto, ci hanno vestiti. Da tre ore non sono piu' giovane fascista, sono milite. E volontario per l'Africa Orientale.
- E la tua mamma?
- La mamma non sa. Crede che vada a Roma con il Fascio Giovanile...Pensaci tu, Dino. Tranquillizzala. Lo so di darle un dolore ma bisogna che segua la mia volonta'.
Il Duce ci chiama...
- Parti contento?
- Tanto! - Mi butto' le braccia al collo e fuggi' dopo avermi ripetuto ancora un volta: Pensa a mia mamma! Fa' che non pianga troppo.
Lo vidi allontanarsi su per i Pispini e poi sparire nella notte, Pensai che non avrei piu' potuto rivederlo, ma lo invidiai. E li' per li' mi commossi...come mi sono commosso oggi, quando dopo otto mesi me lo son visto comparire, il caro camerata, davanti alla tenda che mi ospita.
Oggi festeggiavamo la ricorrenza del 28 ottobre. La nostra casa di tela (la nuova tenda dei senesi: un panterino, un nicchiaiolo, due buonconventini, uno staggese e un poggibonsese) era per l'occasione parata a festa: accanto al tricolore della Patria, sventolava la Balzana di Siena e numerosi cartelli con iscrizioni patriottiche ornavano la parte esterna dei teli. Noi, io e i miei...coinquilini, eravamo affancendati intorno ad un fornello improvvisato, tutti intenti alla cottura di due galline, che ci eravamo offerti, tanto per riconoscere la Festa, come si dice a Siena. Perche' non si deve credere che le preoccupazioni della guerra ci distolgano dalle norme del buon vivere. Anche a pochi metri dal nemico si pensa al fuoco della cucina, disposti pero' e sempre pronti a lasciare questo per un fuoco un po' dissimile e molto piu' soddisfacente ed emotivo...Dunque, eravamo tutti presi dalla nostra mansione culinaria, quando mi sento chiamare da una voce nota. Mi alzo', mi volto di scatto e: - Te!?
Non ho aggiunto altro. Un abbraccio ci ha tenuto avvinti per alcuni istanti. Poi la ridda delle domande e delle risposte.
- Sei qui? Da quando?
- Da ora. Siamo in marcia. Eravamo dietro a voi da alcuni giorni. Vi abbiamo raggiunto, prenderemo posizione a vostro fianco.
- E gli altri dove sono?
- Qui vicino. Abbiamo fatto sosta nei pressi del vostro campo. Ma ripartiamo subito. Vieni giu', quei ragazzi ti aspettano, vi aspettano.
Rapidamente, insieme a tanti e tanti camerati, ci dirigiamo verso la valletta dove ha fatto sosta il Gruppo Diamanti. Un brulicare di uomini e di muletti tra il verde della vegetazione, un ronzio confuso di voci...Ma vediamo subito quelli che cerchiamo. Ed essi pure ci vedono. Abbracci, strette di mano e anche qualche lacrima di commozione e di gioia. Credo che anche a dei soldati sia lecito commuoversi nel ritrovare amici cari a 6000 chilometri dalla Patria, dopo otto mesi di separazione e nel mentre il cannone fa sentire la sua voce potente.
Dopo i primi saluti e primi abbracci le conversazioni si intrecciano.
Tutte sullo stessa tema, la Guerra e la Colonia. Loro ci raccontano la vita dei primi giorni d'Africa e dei primi giorni di guerra. Noi pure. E' un seguirsi di narrazioni di fatti e cose serie ed amene, di descizioni, di impressioni e di avventure vissute. Poi, piano piano, quasi automaticamente, i discorsi volgono su Siena. Per una buona mezz'ora non si parla che di Palio (di quei palii che non abbiamo veduti), di contrade, di sport, della mostra dei vini e di tante e tant'altre cose riguardanti la nostra citta'.
Il tempo vola. E la breve sosta del battaglione termina. L'ordine di adunata tronca la discussione. A malincuore ci salutiamo, ma ormai il saluto e' piu' bello perche' in tutti e' la certezza che ben presto ci rivedremo.
I reparti sfilano in ordine perfetto. Passandoci vicino i concittadii ci salutano sancora una volta.
Qualcuno mi grida: Corsi, scrivi che stiamo bene. Scrivi sul giornale che stiamo tutti bene! Le nostre mamme saranno contente!
Si, lo scrivo. Scrivo che state bene fisicamente e moralmente. Che gli otto mesi di Colonia hanno fatto di voi degli uomini che i disagi della guerra non hanno provato e non proveranno i vostri corpi irrobustitisi attraverso la bella vita del soldato. E vorrei che la mia modesta penna fosse tale da poter descrivere tutto cio' che io ho provato rivedendovi cosi' forti, pieni di salute e frementi di entusiasmo. perche' cosi' saprei di far contente le vostre mamme e tutte le mamme italiane che oggi vivino in ansia per i loro figli.
Dino Corsi