Il conflitto italo-etiopico del 1935-1936 rappresentò il primo impiego su larga scala di reparti della Milizia volontaria per la sicurez-za nazionale: la valenza politica attribuita dal regime al conflitto favorì indubbiamente il consenso anche a favore di un arruolamento massiccio nelle formazioni di camicie nere impiegate su entram-bi i fronti dell'Africa Orientale, insieme a grandi unità del Regio esercito. Il numero dei volontari fu particolarmente elevato, tale da sug-gerire la costituzione di reparti divisionali della Milizia per la cam-pagna etiopica, specificatamente istituiti dal Regio decreto n. 2199 del 14 novembre 1935, il quale stabiliva inoltre, con effetto a decorrere dal 5 febbraio precedente, che l'arruolamento delle Camicie Nere nelle unità e reparti di cui ai precedenti articoli inviati o da inviarsi nelle Colonie italiane dell'Africa Orientale importa l'arruolamento del Regio esercito (1).
Anche in provincia di Siena lo sforzo propagandistico vide a fianco delle strutture del Partito, della Milizia e delle organizzazioni dopolavoristiche, lo stesso Gruppo Universitario Fascista con una massiccia serie di appuntamenti ed iniziative per intensificare gli arruolamenti di volontari: la mobilitazione si svolse in un clima di grande partecipazione, che coinvolse in primo luogo molti giovani, cresciuti nell'immediatezza della conquista del potere da parte del fascismo e già intimamente coinvolti sin dall'adolescenza nel percorso formativo che il regime aveva creato.
L'avventura nella lontana terra d'Africa rappresentava un disegno ineluttabile della propria esistenza, una sorta di prova da affrontare per suggellare la completezza del proprio percorso di soldati politici. Per le classi più anziane, per i reduci della Grande Guerra e della marcia su Roma, il conflitto etiopico rappresentò la continuazione di un impegno assunto venti anni prima nelle trincee, confermato poi nei giorni della mobilitazione e della conquista del potere da parte del fascismo e suggellato infine dall'arruolamento volontario nei reparti in partenza per l'Africa Orientale; per i giovani appena usciti dalle organizzazioni del regime e per i più anziani reduci della Grande Guerra si trattò di un primo riscon-tro della coesione generazionale che il regime aveva auspicato e favorito nel corso degli anni di vita della Milizia, ma che necessita-va di una verifica sul campo; conferme che giungevano dalle lettere inviate alle famiglie, ad amici o ai vari circoli rionali della Provincia e che quotidiani e giornali copiosamente pubblicavano per suggellare (2).
La 97.a Legione, pur non direttamente mobilitata con il proprio battaglione, ebbe circa 15 ufficiali e 900 militi assegnati alle divisioni CC.NN. 23 Marzo, 28 Ottobre, 3 Gennaio, 21 Aprile, Tevere ed al gruppo battaglioni Diamanti. A quest'ultimo reparto appartenevano i primi volontari che lasciarono Siena fin dal febbra-io 1935 per raggiungere l'Eritrea, ove erano destinati a completare il programma di istruzione ed addestramento. I giovani dei battaglioni Diamanti, nelle cui fila i provenienti dalle fila della legione assommavano ad una centuria, erano l'esempio concreto della capacità del regime di mobilitare con successo una generazione, cresciuta ed addestrata secondo i dettami della propaganda e del modello fascista.
Essi rappresentarono nell'immaginario collettivo il compendio delle virtù guerriere dei reparti della prima Guerra Mondiale e dell'ardimento delle squadre d'azione.
Al primo gruppo di volontari seguirono il 26 ed il 27 aprile 1935 altre partenze; 500 militi, suddivisi in tre scaglioni, lasciarono Siena per essere dapprima radunati presso il centro di mobilitazione di Firenze della Divisione CC.NN. 23 Marzo e infine inviati per l'adde-stramento nei campi di istruzioni in Italia in attesa del trasferimento in Africa Orientale.
Al di là della retorica e della propaganda della cronaca, appariva evidente il clima di consenso per una guerra che il fascismo aveva voluto ed ideologicamente connotato; la partenza del terzo scaglione di volontari con destinazione i campi di addestramento della zona di Sora si svolse in un clima di partecipazione popolare, confortata dalla presenza di reparti e di rappresentanti delle altre forze armate, e che vide la completa mobilitazione delle organizzazioni del regime, in un vero e proprio rito di autocelebrazione per il fascismo (3).
L'adesione della popolazione e dell'opinione pubblica della Provincia alla guerra così fortemente connotata dal fascismo non venne mai meno durante i mesi della campagna in Africa Orientale, nella quale i volontari senesi si distinsero nelle operazioni, pagando un proprio tributo di sangue, in particolare modo durante la sanguinosa battaglia di Passo Uarieu, ove quattro di loro caddero in combattimento. Al termine del conflitto, il contingente della provincia vide l'assegnazione di 3 Medaglie d'Argento al Valor Militare alla memoria, 3 Medaglie di Bronzo al Valor Militare alla memoria, 1 Medaglie di Bronzo al Valor Militare e 1 Croce di Guerra al Valor Militare e lamentò 17 caduti: i Capo Squadra Aldo Burroni, Aristide Simonetti e Paolo Tondi; i Vice Capo Squadra Roberto Leoncini, Arturo Macinai e Angelo Sacchetti; le Camicie Nere Luigi Angiolini, Aristide Esposito, Settimio Franci, Danilo Giachetti, Vittorio Leoncini, Guglielmo Magherini, Oreste Marzocchi, Virgilio Meacci, Alfredo Morgantini, Guido Mori e Fedro Venturi.
Nel corso della guerra in Etiopia e successivamente di quella in Spagna, la Legione registrò una serie di rilevanti mutamenti, sia per il comando, che 15 dicembre 1935 venne assunto dal Seniore Nicola De Rienzo in sostituzione del Console Ferdinando Ciani, che aveva ricoperto l'incarico fin dal 1928, destinato al comando della 90.a Legione di Pisa, sia per le attività di istruzione, addestramento e di competizione sportiva, che non vennero interrotte dalla campagna militare.
Appena insediatosi, nel gennaio 1936 il Console Di Rienzo dette subito impulso ad una serie di iniziative per rafforzare il ritmo di addestramento ed esercitazioni dei reparti, mentre due nuovi scaglioni di nuovi volontari lasciavano Siena per i porti africani. La programmazione di un calendario di riunioni con i comandanti di coorte e con tutti gli ufficiali dei reparti dipendenti dette modo al comandante di impartire precise e dettagliate istruzioni per sollecitare un sempre maggiore ritmo all'attività addestrativa dei reparti, che proseguì per tutta l'estate e l'autuno del 1936.
Il primo bilancio dell'attività della Legione sotto il comando del Console Di Rienzo venne effettuato nel rapporto finale tenutosi presso il comando il 27 ottobre 1936: oltre 150 ufficiali dei reparti dipendenti vennero convocati in occasione della commemorazione dei 14 legionari caduti in Africa Orientale.
Pur in presenza di circa mille militi ancora impegnati nella campagna etiopica, anche l'attività sportiva non subì interruzioni: atleti della Legione parteciparono infatti a competizioni motoclistiche, come la gara di regolarità Carlo Parenti a Firenze, organizzata dal XX Gruppo Legioni M.V.S.N. con le camicie nere Soldi, Crociani e Bruttini, ed alla gara ciclistica a staffetta riservata alle rappresen-tanze delle centurie della Milizia il 24 maggio 1936 su di un percorso di quasi 200 chilometri a Siena.
Terminate le operazioni militari in Etiopia, il cui territorio appena conquistato non aveva permesso una completa occupazione e ancor meno un suo totale controllo, sia per la sua vastità della superficie, sia per la presenza ancora siginificativa di aree in aperta ribellioni verso la presenza italiana, buona parte dei legionari fecero ritorno a Siena, tornando a disposizione della Legione.
L'attività di addestramento ed istruzione riprese fin dalla primavera il proprio ritmo scandito dal Console De Rienzo, assecondando il disegno di una integrale e progressiva mobilitazione di tutto il Paese che il Gran Consiglio del Fascismo aveva deliberato nel marzo 1937: la realizzazione di un piano di ulteriore incremento delle Forze Armate e l'integrata mobilitazione di tutte le forze attive dai 18 ai 55 anni, con richiami periodici delle classi mobilitate.
Il 6 marzo 1937 il Comandante del 17° gruppo battaglioni CC.NN., Console Enrico Altina, ispezionava il 97° battaglione e la centuria motociclistica presso il campo sportivo del Rastrello, in occasione delle sue consuete esercitazioni domenicali. Persino le manifestazioni sportive furono occasione per ispezionare e passare in rassegna i reparti della Legione, come nel caso della visita del Console Generale Amalfitano, comandante la VII Zona della M.V.S.N. il 12 luglio 1937, durante lo svolgimento, presso la pista del campo sportivo del Rastrello, di una gimcana motociclistica tra i militi, tra i quali si distinguevano le camicie nere Giuseppe Giannettoni, Ezio Soldi, Brunetto Risaliti e Savino Sam-pieri, il vice caposquadra Amato Bruttini, l'aspirante Aldo Salvadori e il capo manipolo Germano Campini della centuria motociclistica.
La visita del Console Amalfitano fece da prologo alla destinazione del 97° battaglione per il suo primo impiego operativo; nell'estate 1937 la legione aveva in forza 320 ufficiali (compresi quadri, riserva e G.I.L.) e circa 2500 tra graduati e camicie nere, inquadrati, secondo quanto disposto dal nuovo ordinamento della M.V.S.N., su di un battaglione combattente con sede in Siena e formato da militi arruolati fino al trentasettesimo anno di età, una coorte complementi, un battaglione territoriale e la relativa coorte complementi, ed una compagnia mitraglieri (4).
Dopo aver partecipato dal 9 al 19 agosto alle programmate esercitazioni estive presso San Marcello Pistoiese in collaborazione con i reparti della divisione "Gavinana" dell'esercito, il 97° battaglione CC.NN. "Valanga" venne mobilitato il 1 settembre 1937; dopo essere stato passato in rassegna dal Capo di Stato Maggiore della Milizia generale Russo l'8 settembre, i reparti vennero trasferiti nell'area di Montalcino per un periodo di addestramento di preparazione per i compiti di contrasto alla guerriglia abissina nelle regioni appena annesse all'Italia.
Ultimato il periodo di addestramento, il 4 ottobre 1937 il battaglione riceveva a Montalcino la fiamma di combattimento, offerta dalla Federazione dei Fasci di Combattimento e recante il motto "Marciando mi rafforzo" (5), presso lo stadio Soccorso Saloni nel corso di una austera cerimonia, alla presenza della totalità delle Autorità civili e militari della Provincia, prima di partire alla volta di Napoli.
I 426 mobilitati tra graduati e truppa appartenevano alle classi di leva comprese tra quella del 1902 (due militi) e quella del 1919 (un milite), principalmente concentrati nella classe 1912 (81 mobilitati), in quella classe 1910 (61 mobilitati) ed in quella 1914 (50 mobilitati).
Provenienti in modo pressochè uniforme dall'intero territorio provinciale, vi era una marcata preponderanza di militi appartenenti alla classi sociali meno elevate, con oltre il 71% di coloni e mezzadri, e il 14% di meccanici e operai. Pochissimi gli studenti, appena il 3%, e gli impiegati, il 2%, concentrati quasi totalmente nei ruoli dei sottufficiali e graduati di truppa.
Si trattava in ogni caso di militi che, già conoscenti o amici di lunga data, espressioni della società e delle differenze di età e di condizione sociale, si trovavano accomunati da un sentimento comune di appartenza.
Al comando del Seniore Giuseppe Mariotti e di 21 ufficiali, il battaglione si trasferì dapprima a Napoli, ove si imbarcò il 6 ottobre sulla motonave Sardegna (6). Per la maggior parte dei militi si trattava della prima esperienza, non solo operativa, ma di un trasferimento così radicale dalla propria terra; un coacervo di trepidazione, entusiasmo ed emozioni che traspaiono fin dalle prime stringate cronache che giunsero a Siena.
La rotta verso ovest fece inizialmente ritenere che la destinazione, tenuta riservata alla truppa, fossero le coste spagnole, verso le quali si dirigevano le motonavi con i legionari italiani inviati nella guerra civile; il giorno successivo l'approdo al porto di Cagliari per l'imbarco di un reparto di camicie nere sarde, in un'atmosfera di entusiasmo e di commossa partecipazione, chiarì nei legionari la vera destinazione.
La navigazione con rotta verso Suez ed il mar Rosso, avvenne nella più completa tranquillità; la vita a bordo, allietata da un clima di serena attesa, lasciava spazio ad iniziative di intrattenimento e svago. Oltre agli immancabili concerti ed esibizioni canore, venne pubblicato a bordo il numero unico del 97° battaglione; il giornale, dal titolo "La valanga".
A bordo lo scambio di impressioni, gli aneddoti sulla recente campagna, le raccomandazioni ed i consigli da parte di coloro che, reduci dalla recente conquista coloniale, istruivano i meno esperti e rafforzavano una coesione che un reparto di camicie nere custodiva come propria peculiarità.
Prima di lasciare il Mediterraneo per proseguire la navigazione lungo il canale di Suez, il Seniore Mariotti telegrafava a Siena:
"Dalla nave Sardegna legionari Valanga Siena e Provincia la-sciando Mediterraneo verso gloriosa destinazione Impero rassicu-rano famiglie tutte. Stato di salute ottima morale altissimo volontà ferrea. Tireremo dritto - Vinceremo.
Baci saluti a tutti cari. Al Duce alalà".
Sbarcato a Massaua il 15 ottobre, il reparto venne trasferito a mezzo di colonne autocarrate il giorno stesso a Campo Sembel, nei pressi dell'Asmara, vigilia del trasferimento a tappe serrate che in pochi giorni avrebbe portato il battaglione alla destinazione di Gondar a disposizione del Governatorato dell’Amara. Per la quasi totalità dei militi si trattava del primo incontro con il continente africano, un primo assaggio della nuova dimensione e dell'ambiente con il quale si sarebbero cimentati.
Giunto il 21 ottobre nell'area di Gondar, il battaglione prese posizione ad una distanza di circa 5 km dalla città, lungo la cintura difensiva meridionale, costituita da una serie di fortini in pietra e terra battuta realizzati nei mesi seguenti l'occupazione (7); già il giorno successivo il battaglione riceveva la visita ed il saluto del governatore della regione Amhara, generale Pirzio Biroli, alle cui dipendenze era assegnato il reparto.
Il Governo dell'Amhara-Goggiam aveva alle proprie dipendenze una serie di reparti di camicie nere destinati alle scorte per i convogli che quotidianamente facevano la spola tra l'area di Gondar e le località più distanti; dalla relativamente vicina penisola di Gorgorà sul Lago Tana, fino ad Ifaq ed ancora oltre fino a Bahar-Dar, centro nevralgico posto tra il Nilo Azzurro e la sponda meridionale del lago, da cui transitava la principale arteria di collegamemento dal nord in direzione Dessiè e Addis Abeba. La situazione dell'area, da un punto di vista militare priva di minaccie concrete e per questo dissimile da quella di intere regioni che nel corso dell'estate 1937 erano state teatro di una rivolta armata capace di infiammare la ribellione, nel corso della seconda metà dell'anno assistette ad un progressivo aumento di fenomeni di brigantaggio e, in sporadici casi, di gruppi di armati renitenti alla sottomissione ed alla consegna delle armi, specialmente nelle aree periferiche orientali del Beghemeder e del Lasta.
Data la scarsa consistenza dei gruppi armati, l'operato dei reparti a disposizione del governo Amhara finì per configurarsi sempre più come mera attività di controguerriglia e repressione; i cicli operativi di grande polizia coloniale furono determinati da una serie di regi decreti dal 1938 al 1940 che ne fissavano le zone militari di competenza e la durata ai fini dei benefici e delle concessioni ai militari che ne presero parte, anche allo scopo di poter meglio valutare onorificienze, pensioni o avanzamenti di grado.
Al primo ciclo di polizia coloniale, stabilito dal R. decreto n. 627 del 10 maggio 1938 per il Territorio del Governo Amara - zona militare Goggiam dal 1 giugno 1937 al 15 dicembre 1937 (8), ed al secondo, stabilito dal R. decreto n. 1991 del 28 novembre 1938 per il Territorio del Governo Amara - zone militari Goggiam e Beghe Meder dal 16 dicembre 1937 al 30 giugno 1938 (9), prese parte il 97° battaglione, disimpegnando anzitutto compiti di scorte armate ai convogli che collegavano i presidi periferici e provvedendo alla sistemazione ed al completamento della cintura difensiva dell'area di Gondar.
La distribuzione dei presidi all'interno delle regioni etiopiche, come quelle del vasto territorio del Goggiam, rappresentò un dilemma per i comandi italiani, facendo emergere una sostanziale differenza di indirizzo strategio; il governatore Pirzio Biroli riteneva controproducente lo smantellamento, paventato da Graziani, dei presidi, persino di quelli più piccoli ed isolati per costituire colonne mobili più consistenti. Una scelta ritenuta errata da Biroli, poichè "l'abbandono di questi significherebbe peggiorare situazione a nostro riguardo, incoraggiando vieppiù nuclei ribelli che imbaldan-ziscono facilmente anche da effimeri successi", facendo quindi mancare una rete capillare che rappresentava un punto di riferi-mento per la popolazione indigena, disarmata e ancora sensibile alle offerte o alle minaccie dei gruppi ribelli.
La sostituzione di Rodolfo Graziani con il generale Ugo Cavallero alla carica di comandante delle forze armate in Africa Orientale nel gennaio 1938 risolse la questione sul dislocamento dei presidi; venne confermata la strategia del mantenimento dei presidi, anche di quelli più periferici, che nei primi mesi dell'anno vennero persino rafforzati. Le tre compagnie del battaglione si alternarono quindi nel presidio alla cintura difensiva del capoluogo del Goggiam e nel servizio di scorta armata alle colonne che, partendo dall'area di Gondar, si irradiavano lungo le camionabili.
Le foto scattate dai legionari nel corso delle scorte e le colorate didascalie riportano i volti ricoperti di polvere dopo un servizio che poteva comportare la durata tra i quattro giorni, per le destinazioni più vicine, fino a dieci, quando le colonne si spingevano oltre Bahar-Dar e all'approdo meridionale del Lago Tana, in direzione di Debra Tabor; 1.a compagnia, con i propri plotoni, esordiva agli ordini del capo manipolo Cesare Pepi dal 29 dicembre al 3 genna-io, con destinazione Ifag, servizio ripetuto dal 9 al 14 gennaio verso Bahar-Dar sotto il comando del capo manipolo Bruno Minucci e poi dal 18 al 21 gennaio in direzione Gorgorà (10).
Per l'intera permanenza del reparto nell'area di Gondar, quasi totalmente pacificata e già oggetto del trasferimento dei primi coloni dalla madrepatria, non vi furono episodi di pericolo; le rare occasioni di intervento di contrasto a occasionali episodi, vennero affidate alle bande regolari indigene, come quella dello Scirè Abi-Ado, che condivise con il 97° Battaglione il presidio dell'area meridionale del capoluogo. Ciò nonostante a Siena si erano diffuse false notizie di scontri a fuoco con persino alcuni caduti (11).
Le attività di scorta ai convogli di rifornimento si alternavano, nel corso delle settimane, alla sistemazione dei fortini lungo la difesa perimetrale di Gondar, e durante i lavori di rafforzamento della cintura della città, il battaglione ebbe modo di rendere a suo modo omaggio alla memoria di un camerata nel primo anniversario della morte. La figura di Vittorio Leoncini, volontario nella divisione 23 Marzo, arruolato nonostante il parere contrario dei medici e deceduto a Siena per una malattia che si era aggravata nel corso della campagna del 1935, rappresentò, assieme all'icona martirologica fascista di Rino Daus, una presenza costante nella agiografia del fascismo senese e della stessa legione (12).
Analogamente a quanto avvenuto per gli altri fortini della cintura di Gondar, intitolati a figure come Giovanni Berta, Antonio Palmieri, Rino Daus, alla memoria di Vittorio Leoncini venne battezzato una delle fortificazioni della linea difensiva meridionale della città. Nel corso di una breve e solenne cerimonia, la costruzione ricevette il nome del caduto, assumendo al tempo stesso un alone di sacralità e di simbolismo dell'opera celebrativa, voluto dagli uomini che con Vittorio Leoncini avevano trascorso gli anni dell'appartenenza nelle fila della legione e da coloro che in massima parte avevano condiviso le vicende della campagna in Africa Orientale (13).
Pur avendo l'opportunità di beneficiare della relativa tranquillità della regione, i militi disimpegnarono i compiti ed i servizi assegnati con disciplina e dedizione; anche nelle lettere inviate dai militi non venivano trascurate le parole d'ordine più caratteristiche ed il richiamo al proprio dovere.
I rapporti con Siena e con la propria contrada di appartenenza non vennero mai meno nel corso dei venti mesi di servizio, e l'arrivo di una lettera da parte delle famiglie e dagli amici della contrada stessa rinverdiva la nostalgia per le proprie case e per il proprio rione.
Frequenti furono, in prossimità delle festività che il battaglione trascorse di servizio in Africa, gli arrivi di pacchi dono da parte dei seggi delle contrade, come i graditi regali natalizi del Priore della Nobile Contrada del Nicchio al capo manipolo Cesare Pepi e alla camicia nera Decio Chini, e quelli della Contrada Capitana dell'On-da al comandante della 2.a compagnia Valentini, al capo squadra Vittorio Conti, al vice capo squadra Delfo Turillazzi e alla camicia nera Guido Cicali.
In una corrispondenza inviata al seggio della Contrada della Chiocciola, il caposquadra Marchetti; il vice caposquadra Catac-chio, le camicie nere Rinaldi, Corbi, Cortigiani, Pacenti, Grandi, Mecattini, Fineschi e Morrocchi, tutti militi appartenenti a quella contrada, salutavano il Priore e tutto il Seggio (14).
Non mancarono inoltre occasioni di svago, nei limiti concessi dalla disponibilità e dal disimpegno dei servizi ordinari. Nel febbraio 1938 venne persino inaugurata la Coppa Federale di calcio tra rappresentative dei reparti operanti nell'area, della locale Federazione fascista e delle principali imprese di lavori della regione dell'Amara (14).
Come la permanenza del battaglione nell'area di Gondar, anche le imprese sportive vennero interrotte da un improvviso ordine di trasferimento per la regione orientale della valle del Belesa; nelle prime settimane del 1938, avvantaggiandosi dei mesi che mancavano all'inizio della stagione delle grandi piogge, che avrebbero reso difficoltosi i movimenti di truppe, il comando italiano dette inizio ad una serie di operazioni militari allo scopo di sferrare un colpo decisivo nei confronti delle aree in cui erano ancora segnalati gruppi di ribelli.
Risolta la questione della permanenza o dello smantellamento della rete di piccoli e grandi presidi che si irradiavano nelle regioni più periferiche con la scelta di privilegiarne il mantenimento, e facendo perno proprio sulla presenza di una serie di presidi mobili dotati di scorte per alcuni mesi ed una migliorata rete di collega-menti stradali, il generale Cavallero ordinò che colonne mobili di reparti coloniali si inoltrassero all'interno del Beghemeder per bonificare la strada tra Uoldia e Dessiè.
Il presidio del settore orientale del Goggiam venne quindi rapi-damente rafforzato, con il dispiegamento di reparti nazionali ed indigeni: il 12 aprile alla II.a e alla III.a compagnia del battaglione venne dato ordine di trasferimento nella zona dell'Amba Ciara, località posta su di un altopiano isolato ad oltre 3.000 metri di altitudine, con compiti di presidio assieme alle bande regolari del Beghemeder. Distante circa 50 chilometri da Gondar e situato al centro di un'area poco popolata, ma non completamente pacificata, il centro del Belesa poteva vantare una certa importanza strategica, perchè prossimo alle direttrici stradali tra il cuore del Goggiam e Dessiè.
Per il trasferimento delle due compagnie, operato a scaglioni su autocolonne solo per i primi chilometri, furono necessari alcuni giorni, a causa della necessità di completarlo senza l'ausilio degli autocarri.
Il breve viaggio terminò alla fine della pista camionabile, ove, dopo una breve sosta notturna,i reparti fecero la conoscenza di un paesaggio ed una visione profondamente diversa rispetto all'esperienza gondarina, un territorio prevalentemente selvaggio e profondamente mutato. Le incerte voci sull'attività dei ribelli, l'isolamento pressochè completo della località, apparivano come il primo vero incontro con l'avventura africana (15).
Sulle ambe della valle del Belesa il 97° battaglione avrebbe tra-scorso il periodo pasquale, con uno spirito profondamente diverso da quello del precedente Natale passato nei pressi di Gondar. Differente per la nostalgia che già affiorava nei reparti, diverso per un vago senso di smarrimento, determinato da una dislocazione così isolata e remota (16).
Il mattino di Pasqua fu l'inaspettato arrivo della posta a rompere l'isolamento della guarnigione, grazie ad un improvvisato collegamento aereo e nel pomeriggio, nella pista fuori dalle mura della Residenza, ebbe luogo un improvvisato Palio, rimasto alle cronache per la peculiarità del luogo, al termine di una rievocazione per quanto possibile puntuale, con l'estrazione delle contrade partecipanti, l'assegnazione e persino la parvenza di un corteo storico.
Ovviamente non riconosciuto ufficialmente, il cosiddetto "Palio d'Etiopia", corso su piccoli muli indigeni al posto dei tradizionali cavalli, vide la vittoria della Contrada dell'Oca al termine di una corsa avvincente, capace di rievocare per qualche istante l'atmo-sfera autentica della Festa (17).
Da giugno a settembre, in concomitanza con la stagione delle piogge, l'intera regione dell'Amara si trovava sistematicamente sottoposta al peggioramente delle condizioni atmosferiche ed alle sue conseguenze; le piste diventano in breve tempo impraticabili ed aggravavano la difficoltà dei collegamenti, non solo per il rifornimento dei presidi più remoti, ma persino per le principali camionabili che attraversavano la regione.
La colossale opera di potenziamento della scarsa rete stradale esistente e la realizzazione di nuovi tracciati, iniziata già durante i primi mesi di occupazione, aveva consentito di collegare i principali centri dell'Etiopia settentrionale, tuttavia molti piccoli centri si trovavano ancora prive di sicure vie di comunicazione.
L'intera rete stradale del territorio appena conquistato, da poco rafforzata e che principalmente era ancora rappresentata da piste in terra battuta, nel Goggiam era quasi unicamente costituita da vecchie carovaniere che si snodavano lungo il fondo valle; i fre-quenti guadi di corsi d'acqua si rivelavano del tutto inoffensivi nel corso dei mesi più aridi, ma rendevano pressochè impossibili gli spostamenti nel corso del periodo estivo.
Proprio in concomitanza con l'inizio della stafione delle piogge, il battaglione terminò la breve permanenza nel Belesa e il presidio di Amba Ciara, con l'ordine di trasferimento verso la sponda meridionale del Lago Tana. La zona di Bahar-Dar era stata, nei mesi del servizio di scorta armata alle colonne di rifornimento, una destinazione abituale della quotidiana attività; posta alla confluenza della sorgente del Nilo Azzurro, rappresentava un centro nevralgico lungo le direttrici che conducevano a sud, in direzione di Debra Markos.
Nel corso dei primi mesi del 1938 l'area a sud del Tana aveva assistito ad una preoccupante recrudescenza di episodi di ribellio-ne, gruppi armati erano stati segnalati lungo le piste che si dirigevano verso Enjabara e Addis Abeba e attorno ai presidi più isolati; allo scopo di riprendere l'assoluto controllo della zona e proteggere le principali linee di comunicazione, il Governo dell'Amara, che disponeva, oltre ad alcune migliaia di camicie nere, di circa diecimila uomini, principalmente inquadrati in reparti indigenti, ordinò una serie di operazioni militari che si conclusero positivamente a maggio.
Ricevuto l'ordine di iniziare il trasferimento ed ottenuto il cambio, il 5 giugno la 2.a compagnia, al comando del Seniore Valentini si muoveva in marcia da Amba Ciara, seguita il giorno successivo dal plotone comando e dalla 1.a compagnia, al comando del Capo manipolo Cesare Pepi, per ricongiungersi con la terza, partita da Gondar alcuni giorni prima, lungo la camionabile presso Ifag.
Fin dalle prime ore di marcia il battaglione venne colto dalle prime piogge torrenziali, che resero dapprima difficoltoso il proseguimento fino ad impedirlo del tutto.
Le piogge torrenziali avevano infatti reso in poche ore del tutto impraticabili le piste, confuse in una distesa uniforme di fango, mentre il guado dei numerosi torrenti della zona era divenuto impossibile, a causa dell'ingrossamento dei torrenti e per la furia delle acque che avevano strappato via le passerelle.
Per cinque giorni il reparto si trovò completamente isolato; privo di ordini a causa dell'assenza di collegamenti ed incapace sia di procedere verso Bahar-Dar, sia per tornare indietro verso Ifag (18).
Alla difficoltà della situazione, si aggiunse ben presto una ben più assillante preoccupazione; confidando nella brevità di in un viaggio che, in condizioni di clima asciutto avrebbe impiegato al massimo la durata di un giorno, il reparto si trovò ad affrontare il problema dei rifornimenti; fin dal secondo giorno i viveri iniziarono a scarseggiare, fino al loro completo esaurimento assieme alle scorte d'acqua (19). Il comandante, a piedi, in compagnia di un ufficiale, e pochi militi, parte per Gondar a piedi, sotto l'acqua e in mezzo al fango; il Seniore Mariotti sarebbe stato di ritorno dopo quasi un giorno di cammino, con un nuovo ordine di trasferimento per il reparto, ma soprattutto con una improvvisata autocolonna di rifornimenti per i militi, provati dalla fatica e dalla sete.
La destinazione di Bahar-Dar era confermata, ma sarebbe stata raggiunta attraverso il Lago Tana con un convoglio di motozattere. Il battaglione, uscito finalmente dal fango della pianura di Ifag, si diresse in marcia verso nord, ripercorrendo la pista che conduceva a Gondar fino ad Azozò. Dopo una breve sosta presso il campo di aviazione della località per ricomporre l'autocolonna, si avviò il trasferimento verso la penisola di Gorgorà, sulla sponda settentrio-nale del Lago Tana.
Anche Gorgorà era località già nota al battaglione, ed in particolare ai plotoni che nei mesi precedenti avevano disimpegnato i servizi di scorta armata; punto di snodo per le colonne di rifornimento che erano dirette verso i centri periferici del Goggiam occidentale fino al confine con il Sudan, la città, ancora poco sviluppata, si estendeva lungo una penisola sulla sponda settentrionale del Tana.
Per i militi, ancora provati dall'esperienza appena trascorsa nel-la valle di Ifag, la tappa di Gorgorà rappresentò un'occasione per ritemprarsi ed un inatteso diversivo al trasferimento programmato verso Bahar-Dar; un panorama completamente differente da quello dell'Amba Ciara, ed una destinazione che, dopo il forzato isolamento dei mesi precedenti, offriva di nuovo il contatto con la civiltà.
Per completare il pur breve tragitto si rese necessario un giorno intero, durante il quale al battaglione non venne risparmiato qualche piccolo contrattempo, ma venne affrontato con uno stato d'animo tanto differente da quello che lo aveva portato alle ambe del Beghemeder (20).
L'arrivo del battaglione a Gorgorà alla sera del 12 giugno avvenne in concomitanza con la presenza di Attilio Teruzzi nella piccola città sul Tana, programmata per il giorno successivo, per l'inaugurazione del Faro Mussolini sulla vetta dominante la penisola. La visita del ministro, proveniente da Gondar, rappresentò per i militi una felice coincidenza ed una occasione di appagamento per gli sforzi compiuti nei nove mesi precedenti. Le montagne che si ergevano sopra Gorgorà erano stata occu-pate nell'aprile 1936 dalla colonna celere comandata da Achille Starace, che aveva voluto piantare personalmente la bandiera italiana sul picco più alto, ribattezzandolo ossequiosamente «Vetta Mussolini», analogamente a quanto era accaduto ad altri toponimi celebrativi della campagna in Africa Orientale.
Sulle alture prospicienti la riva del lago, a cura della Federazione fascista dell'Amara, venne eretto il Faro della Vittoria, ribattezzato anch'esso Faro Mussolini, a celebrazione della conquista da parte della colonna celere Starace; l'imponente monumento in materiale calcareo a forma di fascio littorio che dominava la riva settentrionale del Tana venne solennemente inaugurato nel corso della sua visita da Teruzzi, che presenziò anche al varo di alcune motobarche della flottiglia adibita al trasporto truppe attraverso il lago.
La permanenza forzata presso Gorgorà in attesa del trasferi-mento verso la sponda meridionale del lago fu per i militi l'occasione di approfittare di alcune settimane di inaspettato riposo e, nell'immediato, l'opportunità di essere passati in rassegna dal ministro.
Il 20 giugno ebbero inizio le operazioni di imbarco dei reparti che avrebbero attraversato le acque del Tana in direzione della sponda meridionale. Prima a muoversi fu la 2.a compagnia del Seniore Valentini, imbarcata sulle appena varate motozattere "S.Nicola" e "Tana" e sulle altre appartenenti alla flottiglia del lago, seguita il giorno 23 dalla 1.a compagnia; il trasferimento dell'intero battaglione, avvenuto a scaglioni, venne completato il 27, quando sbarcarono a Bahar-Dar la 3.a, il plotone comando ed il resto del reparto.
I tre viaggi per coprire i settanta chilometri di distanza tra le due rive del Lago Tana si svolsero senza alcun problema e durante le sette ore di traversata lo spirito dei militi fu rivolto esclusivamente all'attesa e alla curiosità per la destinazione che li avrebbe ospitati per i successivi mesi di servizio; anche l'area di Bahar-Dar, meta di numerose scorte armate nel corso del primo periodo di permanen-za in Africa Orientale, era località nota ai reparti, di cui avevano tuttavia conosciuto solo le piste polverose che vi giungevano da settentrione, provenienti da Gondar ed Ifag (21).
La zona di Bahar-Dar e dei presidi periferici di Mescentì, Zeghiè e Selselimà avrebbero rappresentato per il 97° battaglione il teatro operativo dei successivi dieci mesi, nel corso dei quali il reparto disimpegnò il servizio per il terzo e quarto ciclo di polizia coloniale, stabiliti rispettivamente dal R. decreto n. 1370/1939 per il Territorio del Governo Amara - zona militare Goggiam dal 1 giugno 1938 al 31 dicembre 1938 , e dal R. decreto n. 478/1940 per il Territorio del Governo Amara - zona militare Goggiam - fiume Nilo dal 1 gennaio 1939 al 30 giugno 1939 (22).
Bahar-Dar e il Goggiam meridionale, perno della diret-trice lungo il Lago Tana in direzione sud, per Debra Marcos e Addis Abeba, era stato teatro nelle settimane precedenti la stagione delle piogge di una intensa attività di controguerriglia da parte del governo italiano che aveva permesso la quasi completa pacificazione della regione; erano stati costituiti nuovi presidi, come quelli di Buriè e Dembecciam, da affiancare a quelli esistenti, tutti provvisti di viveri e scorte per mesi, e con alcune colonne mobili dislocate nella zona centrale.
In un quadro di relativa tranquillità, le tre compagnie del battaglione senese vennero dislocate a presidio della regione, avvicen-dando nel disimpegno del servizio le camicie nere della 173° legione Salso di Caltanissetta.
Mentre la 1.a compagnia rimaneva ordinata a presidiare il forte di Bahar-Dar assieme alla locale banda irregolare indigena forte di 400 armati, il comando di battaglione, con la 2.a e la 3.a compagnia vennero destinati al campo di Mescentì, a circa 15 chilometri da Bahar-Dar, lungo la camionabile per Enjabara e Debra Marcos; il 29 giugno, appena due giorni dopo l'approdo al porto meridionale sul Tana, i reparti si misero in marcia attraverso l'interno del Goggiam meridionale, una regione ancora profondamente selvaggia, nella quale la penetrazione italiana era stata marginale, e che si differenziava profondamente dal paesag-gio delle ambe sassose con le quali avevano condiviso i mesi precedenti di servizio (23).
La destinazione di Mescentì e l'interno della sponda meridionale del Lago Tana erano infatti sconosciuti alle camicie nere, che non li avevano mai raggiunti durante i servizi di scorta armata; dopo le vicissitudini delle ultime settimane che aveva messo alla prova la coesione del reparto, i militi erano ansiosi di conoscere il luogo cui erano destinati di servizio per il proseguo delle operazioni. Presso il campo di Mescentì, agglomerato di baracche poste attorno ai tre fortini destinati al presidio ed attraversato dalla camionabile che collegava il Tana con Debra Marcos, si sistemarono il comando del battaglione e le due compagnie là destinate, attendendo, come la 1.a compagnia rimasta di presidio presso il porto di Bahar-Dar, la fine della stagione delle piogge e con essa la rinnovata percorribilità delle piste. Solo con il giungere del mese di ottobre e la fine delle condizioni atmosferiche avverse, al battaglione sarebbe stato richiesto di dividere i propri reparti per posizionarli nei vari presidi della regione e disimpegnare i propri compiti.
Analogamente a buona parte del territorio etiopico, la provincia di Bahar-Dar era particolarmente esposta al rischio della malaria endemica; già nel corso delle operazioni di conquista del 1936 alcune zone limitrofe erano state duramente colpite, e sulla scorta di questa esperienza era stata posta una particolare attenzione alla profilassi antimalarica. Gli ufficiali medici, inoltre, oltre alle mansioni ordinarie, erano chiamati a vigilare sugli accampamenti e sul loro livello di pulizia e a controllare i viveri e le acque.
Malgrado una tale attività di prevenzione, si verificarono nume-rosi episodi di contrazione della malattia, in special modo tra i militi appartenenti alla 1.a compagnia di stanza a Bahar-Dar (24).
Nel periodo tra giugno e novembre 1938, i casi di malaria accer-tata furono diciotto: due nel mese di giugno ed in quello di agosto, uno a luglio, quattro a settembre ed ottobre, due infine a novembre ; 10 militi furono ricoverati nell'ospedale da campo n. 641 di Bahar-Dar e 8 nell'ospedale militare di Gondar. Per 11 di loro venne deciso il rimpatrio dal territorio abissino, mentre cinque militi furono sopraffatti dalla malattia e trovarono la morte in Africa Orientale.
Per quanto dolorosa potesse essere in generale la perdita di un soldato, nel caso dei reparti della Milizia tale sentimento risultava ingigantito dai legami di conoscenza e molto spesso di amicizia che legavano gli appartenenti ad una medesima unità; provenienti da piccole comunità o da zone geografiche contigue, spesso condividendo il periodo adolescenziale all'interno delle organizzazioni giovanili del partito, il legame che si instaurava tra i militi e tra questi e gli stessi ufficiali travalicava sovente la semplice appartenenza ad un comune reparto. Come già era avvenuto per la scom-arsa di Vittorio Leoncini, come sarebbe occorso nel corso della seconda guerra mondiale per i caduti nei territori ex jugoslavi, graduati e sottufficiali, truppa e comandanti si trovavano solidarmente accomunati di fronte ai sacrifici ed ai pericoli. La coesione all'interno di un singolo plotone, di una medesima compagnia e di conseguenza dello stesso battaglione, si dimostrò durante le operazioni in Africa Orientale e si sarebbe confermata negli anni successivi in Croazia ed in Dalmazia particolarmente forte (25).
Terminata la stagione delle piogge, riorganizzati i reparti provati dalle avversità del clima e reso possibile l'utilizzo delle piste e dei movimenti di uomini e materiali, la 2.a compagnia, al comando del centurione Guglielmo Valentini, ricevette l'ordine di trasferimento per prendere posizione presso le alture di Selselimà, località posta a ridosso del fiume Nilo, già noto ai militi per essere uno dei più remoti punti di arrivo dei servizi di scorta armata, ove i militi della 2.a compagnia avrebbero trascorso gli ultimi mesi di permanenza in Africa Orientale prima del rimpatrio.
Dai guadi di Selselimà alcune unità della 2.a compagnia vennero destinate dopo alcune settimane al presidio della penisola di Zeghiè, affacciata sulla sponda del Tana a circa venticinque chilo-metri da Bahar-Dar come presidio dell'approdo meridionale del lago e disimpegnarono il servizio di presidio in quella isolata località fino alla fine della permanenza in Africa Orientale.
Alla fine del 1938 il battaglione, frazionato in una serie di presidi sparsi lungo un'area di oltre venti chilometri per lato, si trovava a dover affrontare sempre più impellenti difficoltà, dovute al logoramento dei reparti per la lunga permanenza ed alla progressiva riduzione dei ranghi; i rimpatri per malattia o per cause di servizio avevano ridotto le tre compagnie a circa il 60% dei propri effettivi rispetto al loro arrivo in Africa Orientale. Nel solo secondo semestre del 1938 ben 62 legionari vennero perduti in forza dal battaglione, senza che dall'Italia venissero inviati rincalzi attingendo dalla coorte complementi.
Il morale degli uomini, pur sempre saldo in virtù dell'impegno di un servizio volontario e frutto della connotazione ideologica data dal regime alle operazioni in Africa Orientale, era tuttavia messo alla prova dalla prolungata lontananza dalle proprie case e dalle perdite dei camerati, subite a causa delle malattie e dei rimpatri.
Non era scomparso l'entusiasmo per un servizio che veniva intimamente concepito come una prova di dedizione alla Patria ed ancor prima al fascismo, e nelle lettere inviate a Siena e nelle corrispondenze non mancavano conferme dello spirito di dedizione nell'assolvimento del proprio dovere; anche il prolungarsi del servizio oltre il preventivato periodo di dodici mesi era stato accolto dai reparti con ammirevole abnegazione, a testimonianza dello spirito di fraternità che, al di là della retorica dei resoconti, aleggiava in un battaglione di camicie nere, a fianco della dedizione con la quale i militi stavano assolvendo al proprio dovere, traspariva comunque la nostalgia per i camerati che non erano più a condividere gli sforzi, la fatica e i momenti di lieto riposo.
L'inizio del 1939 sancì infatti il cambio al vertice del reparto in Africa Orientale: poche settimane dopo che si era insediato a Siena il nuovo comandante della Legione, il Primo Seniore Carlo Federigo degli Oddi, il 2 febbraio ebbe luogo, presso il comando di battaglione a Bahar-Dar, il passaggio di consegne tra il Seniore Giuseppe Mariotti, indimenticato protagonista della marcia a piedi per ore sotto il diluvio nella pianura di Ifag per trovare viveri e rifornimenti ai propri uomini rimasti isolati, ed il Seniore Guglielmo Valentini, già comandante della 2.a compagnia (26).
Anche la strategia da parte del comando italiano stava per regi-strare delle importanti modifiche; giunto al terzo anno dalla conqui-sta dell'Etiopia, lo sforzo prodotto per la penetrazione nel territorio e la pacificazione delle zone più periferiche e quindi meno sottoposte al controllo del governo stava per ridursi progressivamente. Il bilancio statale non permetteva il mantenimento di un apparato militare e logistico quale era stato quello impiegato negli anni precedenti e i primi provvedimenti della riorganizzazione e del perseguimento della riduzione dei costi coinvolsero il numero dei reparti disponibili e la struttura stessa della rete dei presidi statici.
Nella sola regione dell'Amhara, per esempio, erano stati censiti ben 93 presidi giudicati praticamente abbandonati e per questo del tutto privi di alcuna funzione, se non quella di contribuire al dispendio di uomini e materiali ; venivano in tal modo ripresi i caratteri della strategia propugnata da Rodolfo Graziani alla fine del 1937 e che era stata sconfessata con la sua sostituzione ad inizio dell'anno successivo. Sarebbero stati privilegiati i presidi mobili, meno onerosi in termini di uomini e in grado di contribuire più efficacemente in caso di necessità, con la conseguente e progressiva riduzione dei presidi statici, concentrati unicamente lungo le grandi direttrici di comunicazione; anche il 97° battaglione, che contribuiva alla rete presidiaria dell'Amhara, sarebbe stato presto coinvolto nella riorganizzazione del territorio della regione.
All'inizio del 1939 un nuovo lutto aveva colpito il reparto, con la scomparsa avvenuta il 17 gennaio nei pressi di Enda Sellomiè del capo manipolo Luigi Burroni, deceduto in un incidente stradale mentre si stava recando al porto di Massaua per una licenza dopo 15 mesi di ininterrotto servizio (27). Sarebbe stato l'ottavo caduto del 97° battaglione nel corso della sua permanenza in Africa Orientale, che si univa ai caduti per malaria a Bahar-Dar, il vice capomanipolo Luigi Crezzini, deceduto appena una settimana prima, il vice Capo squadra Attilio Mugnai, le camicie nere Bruno Cingottini, Quintilio Satini e Ferdinando Neri, ed alle camicie nere Gino Marchetti, deceduto a Gondar e Lorenzo Midollini ad Addi Arcai.
L'attività delle tre compagnie, con ancora 336 graduati e militi in forza ai reparti, era regolata dall'alternarsi del disimpegno dei servizi presso i presidi e dei momenti di relativo riposo.
Il ricordo dei camerati caduti e di quelli rimpatriati, la sempre presente nostalgia per Siena e per le famiglie lontane si mescolava con la memoria degli avvenimenti, dei sacrifici e delle vicissitudini che si erano susseguiti in un anno e mezzo trascorso in Africa; un periodo che per i militi provenienti dalle classi più giovani aveva rappresentato la prima esperienza lontano dalla casa e dal proprio ambiente e che aveva segnato una stagione di vita. Molti dei legionari impegnati in Africa Orientale sarebbero partiti nuovamente volontari con il 97° battaglione nel corso della Seconda guerra mondiale, i più anziani sarebbero stati mobilitati con la 297.a coorte territoriale nei primi mesi del conflitto; in tutti sarebbero rimaste le impressioni del periodo trascorso in Africa.
Un'occasione di appagamento per il morale e di riconoscimento dei sacrifici e degli sforzi sostenuti nei mesi precedenti fu il giungere di un messaggio del generale Ugo Cavallero, comandante delle forze armate in Africa Orientale, destinato al battaglione e fatto recapitare presso il comando a Mescentì. La mattina del 4 febbraio 1939 un trimotore sorvolò la piazzaforte di Mescenti, ove era posto il Comando di Battaglione, lasciando cadere un astuccio metallico; gli ordini di servizio, recapitati assieme al gradito saluto del generale Cavallero, anticipavano la nuova dislocazione dei reparti a ridosso dell'area di Bahar-Dar.
In previsione della imminente applicazione della strategia di disimpegno dalla rete presidiaria come era stata fino a quel momento concepita e mantenuta, con la conseguente concentrazione dei reparti presso i principali assi di comunicazione, il campo trincerato di Mescentì stava per essere abbandonato dalla 3.a compagnia e dal comando di battaglione.
Il nuovo dispiegamento dei reparti occupò la seconda metà del mese di marzo, al termine del quale il 97° Battaglione, anche per la ridotta disponibilità di plotoni, venne concentrato nel triangolo tra Bahar-Dar, Selselimà e Zeghiè.
A Bahar-Dar, ove già operava da mesi la 2.a compagnia, la più duramente colpita dalle perdite di organico, vennero dislocate la 1.a compagnia proveniente da Selselimà, il comando di battaglione ed alcuni plotoni della 3.a come rinforzo. Il resto della terza, dato il cambio presso il ponte sul Nilo a Selselimà, venne posizionato a presidio dei guadi lungo il fiume, mentre nella poco estesa penisola di Zeghiè prese posto la provata 2.a compagnia, riunita in tutti i suoi plotoni superstiti (28).
Il 26 marzo 1939 il battaglione si trovò quasi interamente riunito per la prima volta dopo molti mesi durante i quali i servizi e i presidi lo avevano distribuito lungo tutto il Goggiam meridionale; nei campi trincerati di Bahar-Dar e di Selselimà venne infatti trasmesso attraverso la radio il discorso di Mussolini in occasione del ventennale della fondazione dei Fasci di combattimento.
In Europa i segnali di un rapido precipitare della situazione e di un avvicinamento al conflitto apparivano evidenti; appena due settimane prima era avvenuta l'annessione della Cecoslovacchia da parte del Reich, e pesanti richieste erano state rivolte alla Polonia per risolvere l'annosa questione del territorio di Danzica.
Di fronte alla posizione dei governi di Londra e Parigi, le parole pronunciate da Mussolini sancirono in modo definitivo un'insanabile frattura con la Francia, confermando la scelta in modo inequivoco la volontà di schierarsi a fianco della Germania.
L'animo dei legionari, oramai proiettato verso l'imminente ritorno in Patria, aveva accolto con entusiasmo l'ordine di trasferimento per l'imminente rimpatrio; ad inizio di maggio giunse finalmente ai reparti l'ordine di partenza.
All'alba dell'8 maggio le compagnie, radunate presso la base di Bahar-Dar, si apprestarono a salutare il Goggiam meridionale; alla vigilia della partenza, si era svolto l'ultimo saluto alle spoglie dei camerati che riposavano presso il cimitero nazionale della città.
Solo alcuni ufficiali e alcuni militi addetti ai servizi del comando di battaglione rimasero a completare il passaggio di consegne con i reparti che si sarebbero avvicendati al presidio dell'area (29).
Il trasferimento in autocarro fu particolarmente celere e si svolse senza rallentamenti; a mezzogiorno le colonne transitavano da Ifaq e già nel tardo pomeriggio avevavo raggiunto e superato Azozò per sostare nei pressi di Gondar. Dopo mesi di permanenza nei remoti presidi dell'interno del Goggiam, la sosta presso la capitale dell'Amara rappresentò un apprezzato ritorno ad una dimensione più nazionale e meno selvaggia.
Il pomeriggio del 9 maggio, nel corso della cerimonia di celebrazione dell'anniversario della proclamazione dell'Impero, il battaglione sfilava in armi presso il campo sportivo della città per poi essere passato in rassegna dal generale Ermellini, comandante la piazza militare, e rivolgere l'ultimo saluto a Gondar prima di rientrare al campo per l'ultima sosta in attesa di riprendere il trasferimento.
Il mattino successivo le autocolonne riprendono rapidamente la marcia, raggiungendo Dabareh, Addi Arcai, e il fiume Tacazzè, fino a Debinguimà, ove presso il cimitero dei carri armati riposava il corpo del capo manipolo Luigi Burroni, ebbe luogo una commossa cerimonia (30).
Le ultime tappe del trasferimento verso il territorio eritreo vennero superate rapidamente; raggiunte Axum, Dare Taclè ed Asmara, ove i militi procedettero al versamento delle armi, nel pomeriggio del 12 maggio il battaglione prese posto presso il centro di concentramento per le truppe rimpatrianti di Nefasit, in attesa dell'arrivo di altri due reparti di camicie nere per procedere al trasferimento definitivo verso il porto di Massaua.
Durante la permanenza presso il campo contumaciale che precedeva l'imbarco, dopo aver provveduto alle operazioni igieniche previste, con rasatura completa, bagno caldo e, nel contempo, lavatura a vapore e sterilizzazione di tutti i capi di vestiario, i militi completarono il prescritto periodo contumaciale ed il 17 maggio 1939, dopo un breve tragitto in treno in direzione del porto di Massaua, i 289 legionari che ancora componevano il battaglione vennero imbarcati sulla motonave Ogaden per il viaggio di ritorno verso l'Italia.
Sbarcato a Napoli il giorno 25, accolto dal comandante della 97.a legione giunto ad accoglierlo, il battaglione fece ritorno a Siena con un treno speciale la mattina del 27 maggio, alla presen-za di tutte le autorità civile e militari della provincia e da una folla festante di parenti ed amici (31).
Dopo essere stati passati in rassegna presso il piazzale della stazione ferroviaria dal generale Francisci, comandante l'VIII Zona CC.NN. e dal generale Pallotta, Comandante dell XVII Gruppo Battaglioni CC.NN, convenuti per accogliere il reparto assieme al prefetto, al Federale, alle rappresentanze delle associazioni rionali e giovanili del regime e delle Associazioni Combattentistiche e d'Arma, i militi sfilarono in colonna di marcia per le vie di Siena per completare il programma delle cerimonie.
Il battaglione, tra gli applausi della cittadinanza, si diresse dapprima alla volta del monumento ai caduti della Grande Guerra ove venne deposta una corona d'alloro e successivamente alla cripta della basilica di S. Domenico, presso il sacrario dei caduti del fascismo senese. Una terza corona di alloro venne infine deposta presso il comando della 97.a legione, in piazza del Duomo, nel sacrario della legione stessa (32).
Dopo essersi schierati all'interno del cortile del palazzo del Governo, i militi ricevettero il saluto ed il ringraziamento del prefetto della provincia, prima di essere posti in libertà e liberi di riabbracciare i propri cari che si erano assiepati in attesa nel piazzale esterno; il 16 luglio 1939 i legionari venivano formalmente smobilitati.
Nel corso di venti mesi di permanenza in Africa per le operazio-ni di polizia coloniale, il battaglione aveva mobilitato complessiva-mente 27 ufficiali, 62 sottufficiali e 439 graduati e militi. Due ufficiali e quattro legionari erano deceduti durante il servizio e 106 erano stati perduti in forza e rimpatriati per malattia o per gravi motivi personali.