Il Telegrafo del 14 febbraio 1936
Riposo dopo la battaglia
Piano di Gabat Calamino', gennaio
Mai il riposo fu meritato e assaporato come questo che ha seguito le tre giornate di furioso combattimento; e mai le ore trascorse sotto le tende sono parse cosi' belle quanto quelle di questi ultimi giorni. La battaglia, con tutte le sue emozioni e le sue soddisfazioni, e' ormai un ricordo, un grande e bel ricordo nella memoria di chi, per tante ore, ha vissuto pericolosamente e del vivere pericolosamente ne ha gustato tutta l'impareggiabile bellezza.
Ma i ricordi hanno il pregio di poter essere rievocati; il passato puo' essere rivissuto con il pensiero e con l'anima e le fasi della battaglia, gli episodi piu' salienti del combattimento, balzano agli occhi delle camicie nere e allietano le giornate di riposo.
Una nube di dolore rattrista pero' queste ore tanto belle e fa brillare talvolta due lacrime negli occhi dei militi, a quegli occhi tanto maschi e tanto fieri che non hanno pianto e non piangeranno mai di fronte alla morte e di fronte al pericolo, ma rideranno sempre, con il loro sorriso fatto di lampi di gloria e di orgoglio ogni volta si rinnovera' il pericolo e si dovra' combattere. E' il ricordo dei camerati caduti eroicamente sul campo che rattrista un po' e fa pensare con dolore non tanto agli scomparsi - morti della "bella morte" - quanto alle famiglie dei Nuovi Martiri. I nostri pensieri, in questi momenti di gioia guerriera e di virile dolore va a quelle mamme, a quelle spose e a tutti quei bambini che hanno fatta alla Grande Madre la suprema offerta dei figli, degli sposi e dei padri.
E vorremmo, noi i fratelli dei caduti, essere vicini a tante donne doloranti e a tanti fanciulli piangenti per poter con la nostra fede, con il nostro paterno amore, e con il rievocare le memorie degli eroi, portare un po' di bene e un po' di pace in quei cari straziati e glorificati dal piu' nobile dei doveri.
"Presente!"
Tra i Legionari, i caduti sono e saranno sempre presenti. Mai il loro ricordo verra' meno nelle nostri menti e mai potremo dimenticare i camerati che tutto hanno dato alla Patria.
Li rivediamo uno ad uno i nostri compagni d'armi. E rivediamo i loro corpi, sanguinanti e straziati dai micidiali e - questo non potremo mai scordarlo - europeissimi "dum-dum", stesi sulle barelle e coperti da drappi tricolori e dai fasci di fiori africani, strappati, questi ultimi, da quelle roccie, che santificate dal sangue dei caduti, hanno dato per Essi i primi gentili segni della pieta' umana.
E rivediamo - e rivedo con la commozione piu' grande - tutti gli oggetti personali - una serie di sacre reliquie - che dalle tasche delle divise sono uscite fuori per essere consegnate alle famiglie.
Ninnoli, carte e fotografie. Ritratti che fanno piangere, che fanno stringere il cuore. Che fanno pensare ad affetti lontani e dolori tabto vicini.
Rivediamo il casco di uno di questi "nostri morti". Sul copricapo e' una scritta: "Mamma, tornero' per te..." E le parole, scritte con un comune lapis copiativo, sono qua e la' coperte di vermiglio...
Ma non si piangem anche se le lacrime sgorgano spontanee dagli occhi. Non si deve piangere!
I martiri si vendicano, non si compiangono. I caduti, gli eroi, non sono morti; sono presenti. Presenti, per dire al mondo la grandezza della nostra fede e la santita' dei nostri diritti; presenti, per dire all'Italia che i suoi figli sono e sanno essere degni della Grande Madre; presenti, per insegnare a noi soldati quali sono i nostri doveri, per farci comprendere quanto piccoli siano i sacrifici da noi superati, quanta poca la nostra gloria e il nostro merito di fronte al sacrificio supremo, una Gloria immortale e al merito inestimabile di chi, per un ideale di patria grandezza e di fede purissima, ha dato giovinezza, sangue e vita alla Patria, al Re e al Duce.
Senesi: buon sangue
Mentre le legioni combattevano, i reparti del genio zappatori operavano il grande miracolo di aprire in soli tre giorni una ventina di chilometri di ampia e ben messa strada camionabile. Cosi' appena terminata la battaglia, si e' avuta la bella sorpresa di veder giungere fin sotto la linea del fuoco colonne di autocarri e di autocarrette.
Gli autisti, i piu' oscuri eppure tra i piu' solidi forgiatori di vittoria, sono venuti su da Macalle' mentre la mischia divampava ancora ed hanno avuto anch'essi il loro battesimo del fuoco.
Questi nostri camerati degli autoreparti, sono giunti fino a noi, portando un carico di ogni ben di Dio: dalle munizioni alle pagnotte, dai viveri di conforto alla pasta. Siamo corsi incontro alle colonne, dando il via ad una filastrocca di domande. E le domande no sono rimaste senza risposta, giacche' gli autisti militari, contrariamente ai loro borghesi colleghi "da piazza", hanno la grande dote di essere gentili, affabili e cortesi con tutti. Anche con gli scocciatori.
Domande e risposte, si sono incrociate tutte sullo stesso tono:
- C'e' il pane?
- SI, pane. Come legumi, pasta, riso.
- Il vino?
- SI. Il vino, cognac e poi marmellata.
- La posta?
- Posta, pacchi e cartoline in franchigia.
- Sicche' non manca niente?
- Niente. C'e' tutto!
Generalmente i brevi dialoghi avvenivano fra paesani e tra concittadini. Noi di Siena, che abbiamo la fortuna di avere una infinita' di senesi all'autoreparto, siamo corsi verso le macchine dei conducenti, accolti con gioia dai senesi autisti.
- O Cecco, che ci hai portato?
- Tutto. Tutto quello del Governo...e qualcosina fuori odrinanza.
Ed ecco venir fuori, dalle cassette, dai piu' introvabili nascondigli delle macchine, pacchi di sigarette, fiaschi di vino, bottiglie di liquori, cioccolata, scatole di carne, di frutta, di ortaggi conservati. E gli autisti, contenti della nostra contentezza, ci porgevano quella grazia di Dio sorridendo ed esclamando:
- Fate le parti fra voi senesi.
- Quanto 'osta? Quanto ti devo da'?
- Niente. Avete combattuto...Faremo i 'onti a Siena.
- Un si permette...Dicci il prezzo.
- Ho deto niente, Dio bonino! O che siete di pietra? Fra senesi un ci si guarda...E quando torno in su', guardo di porta' dell'altra roba..
- Le vo' i soldi?
- Un voglio niente, te l'ho ridetto...Siamo o un siamo tutti senesi?
- E di che tinta!
- Allora basta: voi fate le fucilate e pensate all'abissini, io pensero' allo "sgranamento"...
E dopo aver scaricato gli autocarri, dopo le promesse, i ringraziamenti, i saluti e gli abbracci, gli autisti senesi ripartono, contenti di essere stati utili ai compagni e ripromettendosi di esserlo maggiormente in avvenire.
I senesi sono fatti cosi'. Tutti cosi': un cuore piu' grande della nostra Piazza e piu' teneri della panna montata. E' commovente quel sentimento di amore fraterno che lega tutti i figli del Mangia. E' commovente, bello e talvolta eroico. Eroico, perche' dov'e' amore, dov'e' bonta', non puoì non esserci l'eroismo.
Durante l'azione e precisamente dopo le prime ore di fuoco, una telefonata dell'osservatorio avanzato fece noto al Comando di Divisione che le batterie da 65-17 avevano iniziato i tiri e con l'azione dei cannoni era fiancheggiata da quella delle mitragliatrici pesanti, in dotazione presso ciascuna batteria.
Al Comando, tra gli altri, c'era un senese. Un ragazzone biondo, intelligente, notissimo a Siena per il suo passato di squadrista e di...studente scapestrato e mai diplomato. Il nostro amico era al Comando da pochi giorni, una quindicina si e no. Da Sora a Napoli, da Massua a Qura', dal belesa a Entiscio' e dal Ferres-Mai a Macalle', dall'aprile ai primi di gennaio insomma, il suo posto era stato in batteria e precisamente alla mitraglia. Una mitraglia che non era una delle tante, giacche' aveva avuto l'onore del battesimo, al suo primo giungere in Africa. Fu battezzata in una sera di baldoria con una bottiglia di "Chianti vecchio" e le fu imposto il nome di Balzana. "Balzana" perche' i quattro serventi erano tutti senesi puro sangue, senesi di Siena e, facili agli amori, adoravano la chiacchierina "Fiat 1914".
Dunque il mitragliere...imboscato (imboscato per modo di dire, giacche' in Africa e particolarmente in zona di operazioni non ci sono imboscati), apprese, a mezzo del telefono, che le batterie facevano fuoco , le mitraglie sparavano e la sua arma cantava...Provo' un certo senso di nostalgia e, dopo breve riflessione, si decise:
- Signor Maggiore, desidererei tornare in batteria...
- In batteria? In questo momento! E perche'?
- Perche'...perche' sparano.
- Non stai forse bene qui?
- Troppo bene, Signor Maggiore.
- Non sei forse quasi al sicuro?
- Troppo al sicuro.
- E allora?
- Allora...so' di Siena!
- Come?
- So' di Siena. Lassu', accanto alla mitraglia, ci sono tre senesi. E l'arma si chiama Balzana...
- Ebbene?
- Ebbene...la "Balzana" e' in pericolo, i miei compagni combattono e il mio posto e' accanto ai senesi.
- Vuoi proprio combattere quindi?
- Me ne vado, Signor Maggiore. Mi scusi, ma noi senesi siamo fatti cosi'. Se la scampo, ritorno, glielo prometto.
E preso il fardello, lascio' la tenda del Comando e corse in batteria. Arrivo' ansante e trafelato al posto di combattimento, mentre i mitraglieri, curvi sull'armasparavano a fuoco accelerato. Si chino' pure lui dietro il riparo di pietre ammucchiate e grido' per coprire il rumore dei colpi:
- Ragazzi, fatemi posto. Ci so' anch'io.
- Te?...O te che ci fai?
- Che ci fo? Che ci fo?...Vai piu' costa' te lo fo vede' - e dato uno spintone al compagno, torno' al suo posto di tiratore e mise a segno i primi colpi esclamando: "Il sangue un e' acqua, cari amici. E quando siamo di Siena, ci s'ha troppo il vino bono, noi, per ave' l'acqua nelle vene!"
E per tre giorni se ne stette accanto alla sua, alla nostra Balzana. Il combattimento e' finito, ma al Comando non l'hanno ancora riveduto. Perche' e' di Siena e rimane coi senesi, dato che in aria c'e' sempre odor di polvere.
Di fati simili o almeno uguali nel significato, se ne potrebbero raccontare, se non proprio a centinaia, almeno a diecine buone. E, tra i tanti, eccone uno:
Due di quei fratelli brucaioli, che partirono volontari nello scorso aprile, e precisamente il mezzano e il minore, erano in linea con la 202.a Legione: la piu' impegnata tra le legioni della "23 Marzo". Calmi e tranquilli, i due fratelli sparavano un colpo dietro l'altro, preoccupati solo di non sprecare i proiettili e cogliere nel segno il piu' possibile. Una scarica di fucileria investe la ridotta, ora i due ragazzi sono appiattiti e tre o quattro "dum-dum" scoppiano a pochi centimetri da loro.
Il minore dei due, che e' alla prova del fuoco, perche' solo da pochi giorni - e cio' dopo tante insistenze - ha potuto raggiungere il fratello, che e' al battaglione da piu' mesi, e' un po' impressionato dagli scoppi vicini e non tenta nemmeno di nascondere il suo...diciamo pure orgasmo. Il fratello vede, comprende e, tra un colpo e l'altro, borbotta:
- O nino un te la fa' addosso. Ricordati che sei di Siena...e del Bruco. Faglielo vede' a que' musi neri; fa' conto siano i fiorentini a Montaperti o quelli che i nostri nonni buttonno di sotto dal Comune.
Il ragazzo - e' proprio tanto ragazzo e tanto giovane - si scuote, riprende la calma e, caricato nuovamente il moschetto, riprende a sparare, mormorando: "Te lo fo' vede', te lo fo', se so' di Siena e del Bruo..." E per tante e tante ore, insieme al fratello, fa fronte agli abissini e ne stende a terra un buon numero, incurante dei "dum-dum" e di tutte le cento qualita' dei proiettili abissini.
Sotto la tenda
Dopo tre giorni, le tende hanno nuovamente ospitate le camicie nere. Prima per il riposo dei corpi, poi per il riposo degli spiriti.
Dopo la lunga e profonda dormita, dopo che le membra avevano gustato il piacere dello stendersi e distendersi ed il corpo aveva gia' assaporato un tanto meritato riposo, il milite ha sfruttato le ore di calma a tutto vantaggio delle sue piccole cose. Piccole, ma tanto grandi cose.
Tra il bottone da attaccare alla giacchetta e la camicia da rammendare, tra il moschetto da pulire e lucidare e un paio di pezze da lavare, tra le scarpe da raffozzonare un po' alla meglio e una toppa da mettere ai pantaloni, tra l'una e l'altra di queste piccole, ma per il soldato tanto grandi e, talvolta, difficili cose, lo scrivere a casa e' stata la piu' grande soddisfazione e preoccupazione.
E nello stesso giorno e forse nella stessa ora, migliaia e migliaia di mani, piu' o meno esperte nello scrivere, ma tutte guidate dal cuore, hanno cosi' iniziate migliaia e migliaia di lettere:
"Carissima mamma...Dopo tre giorni di battaglia sono contento di poterti scrivere che ho fatto il mio dovere e che sono sano e salvo..." E qui tanti avranno forse interrotto la scrittura per pensare con commozione a tutte quelle sante donne italiane che non riceveranno mai piu' la lettera dei figli, che, fino a ieri scrivevano anch'Essi: Carissima mamma...
Dino Corsi