Il Telegrafo del 6 maggio 1936
Sosta nel cuore della regione del Lasta
Al confine tra il Tigrai e l'Amhara, la regione del Lasta, delimitata dai corsi del basso Tacazze' e del Samre', sta come un cuneo piantato in cavita' al centro di quello che e' attualmente il fronte nord della nostra armata operante in A.O.
Distese immense di arida sabbia, colline verdeggianti, della piu' svariata vegetazione e popolate da tribu' indigene, riunite in tanti piccoli villaggi; ambe quasi insormontabili, che dal piano si alzano solenni e maestose verso il cielo; torrenti di acqua sorgiva, correnti in gole sotterranee ed in caverne oscure e paurose, per poi sboccare ed espandersi allegramente aui pianori sabbiosi o giu' per fertili colline; pascoli immensi, popolati in prevalenza di capre e da mandrie di zebu'; clima torrido di giorno e temperato alla notte; queste sono le caratteristiche della regione che ospita oggi i legionari della "23 Marzo" e che vede da un mese la laboriosa attivita' delle Camicie nere, impegnate alla costruzione di opere di pace e di guerra.
Da Bet-Mariam a Socota' corrono quasi centocinquanta chilometri, tracciati ieri da primitivi sentieri e mulattiere e attraversati oggi da una camionabile ampia, pianeggiante, dal fondo ottimo e valida per il passaggio di ogni mezzo di trasporto: dalla aerodinamica vettura da turismo al potente autocarro "34".
Reduci dalle vittoriose imprese nel Tembien, le legioni, effettuando la marcia parallelamente alle colonne puntanti su Gondar e sul lago Ascianghi, raggiunsero senza colpo ferire tutti gli obbiettivi loro assegnati e portarono il tricolore d'Italia fin nel cuore del Lasta; a Socota', nella capitale di quella regione, che tagliata fuori dalle principali vie di comunicazione, si presenta come una delle piu' selvaggie del Tigrai e dell'Amhara.
Le popolazioni, festanti per l'arrivo degli italiani - arrivo che ha aperto in queste misere genti, rese simili a bestie dai soprusi, dalle vessazioni e dalle angherie dei ras, un'era di bene e di liberta' - salutarono con feste, con fantasie di gioia, con canti e suoni dai caratteristici strumenti in pelle di zebu', formanti tutta la batteria orchestrale di questi indigeni, il giungere dei militi della Prima Divisione, dei fanti e degli artiglieri della "Sila", e di tutti i vari reparti del 3.o Corpo d'Armata.
E subito le popolazioni, che non si erano opposte alla nostra avanzata, diedero la prova della loro comprensione e della loro riconoscenza, aderendo all'invito dell'autorita' militare e consegnando le armi possedute e mettendosi a completa disposizione dei Comandi le truppe operanti. Poi, a schiere, a centurie, tutti gli indigenti hanno alternativamente affollati gli ospedali da campo avanzati e si sono sottoposti lietamente alla vaccinazione. Uomini di tutte le eta', donne e bambini sono scesi sin dai villaggi piu' lontani per correre appresso alle candide tende Roma della Croce Rossa, ove instancabili, gli ufficiali medici, gli assistenti e gli infermieri imprimevano sulle loro carni ed iniettavano nel loro sangue i primi segni della civilta' e del bene.
E sono scesi anche dai villaggi piu' lontani, da quegli agglomerati di tucul sparsi tra il fogliamo di intricate boscaglie o piantati in vetta ad un roccione dalle pareti dolomitiche, ove non erano ancora giunte le nostre truppe.
Sono venuti nei nostri campi a file interminabili, sventolando gli sciamma piu' o meno candidi e preceduti dal capo villaggio, caracollante sul suo muletto bardato a festa, vestito degli abiti da cerimonia e recante cestelli di limoni, di frutta esotica, di uova e di ogni altra qualita' di generi commestibili, da offrire agli italiani piu' come segno di riconoscenza che di sottomissione.
E sono corsi agli ospedaletti da campo. Ed hanno cercato, ansiosi, gli "abuna" in camice bianco. I pastori - umane linee telegrafiche di queste genti - avevano gia' detto loro che gli italiani sapevano e potevano guarire il male, sapevano vincere e prevenire tutti i mali che qua minano e decimano la razza.
E, fiduciosi di quella fiducia che e' il primo grande ed incancellabile segno della vittoria degli uomini civili sui barbari, sono scesi fino a noi, ci sono corsi appresso ed hanno implorato, non invano, quella luce e quel bene, da tanto attesi e troppo negati loro.
Mentre gli alti Comandi da una parte e gli ufficiali medici dll'altra, operavano la prima bonifica degli spiriti e dei corpi, le Camicie Nere ed i fanti, scaglionati su centocinquanta chilometri di mulattiere, imprimevano sul terreno i primi segni della romanita'. Strade, pozzi, impianti idraulici, fortini, ridotte e infine, il grandioso forte costruito in sole due settimane dai militi della 202.a legione a Socota', hanno cambiato fisionomia alla regione e, alla distanza di un sol mese, tutta la zona compresa tra Bet-Mariam e Socota' e' divenuta, dalla plaga selvaggia e impraticabile quale era, una immensa e bene organizzata provincia di quello che sara' il nuovo impero romano.
Mentre le colonne operanti negli altri settori combattevano vittoriosamente, il 3.o Corpo d'Armata - i vincitori del Gabat, dell'Amba Aradam e del Tembien - occupava pacificamente queste terre e, anziche' con il sangue santo dei caduti, le redimeva con le opere di bene e con il sudore dei figli d'Italia, di quei legionari instancabili che dopo aver forgiato la Vittoria, seguono l'esempio degli antichi romani e, con il ferro e l'acciaio degli strumenti del lavoro, abbelliscono questa Vittoria, la perfezionano e la rendono completa, efficace, redditizia. Dopo il moschetto, il piccone...
Pasqua in "ridotta"
Qua ci ha trovati la Pasqua. e la festa della Resurrezione e' venuta a salutare la reale resurrezione di un popolo che da Roma ha avuto il dono divino della civilta'. La solennita' cristiana ci ha trovati intenti nelle opere di bene. E questo e' sembrato un segno della volonta' dell'Onnipotente.
In ridotta, tra quattro muriccioli di pietra a secco rotti qua e la' da vigili feritore, abbiamo trascorso la giornata pasquale. Le truppe - tutte a riposo quel giorno - Hanno abbandonato i campi trincerati solo per la Messa, celebrata con la consueta semplicita' nei pressi dei Comandi di Corpo d'Armata, di Divisione,, di Reggimento e di Legione. Poi sono tornate agli accampamenti e, in famiglia si puo' dire, hanno trascorse le ore lietamente.
I soliti fornelli improvvisati, i soliti cuochi, i soliti "mangiarini", le solite scenette e gli stessi episodi del Natale e Capodanno. E pari allegria, giocondita' e spensieratezza delle due giornate di festa trascorse ad Enda Jesus. Soltanto negli occhi, lucenti di gioia, nei gesti e nelle parole, qualcosa di nuovo, qualcosa di bello: la sicurezza della Vittoria certa e prossima. La visione delle famiglie sempre piu' vicine nell'attesa, il pensiero della Patria, non piu' lontana, ma tanto vicina nei giorni che verranno.
L'uovo pasquale si e' schiuso e ha lasciato intravedere ai legionari la via da percorrere: via lunga ancora, ancora faticosa., forse non priva di ostacoli, ma diritta, sicura e conducente alla meta finale con sicurezza. Tutte le strade conducono a Roma. E noi, attraverso l'uovo pasquale, abbiamo veduto che giungeranno nella Citta' Eterna passando per Addis Abeba.
A Dessie' vi e' ... l'autostrada che porta alla capitale; il nemico e' in rotta; quindi...Ma se, putacaso, l'autostrada fosse un mito e il Negus avesse ancora qualche armata da far battere, la nostra sicurezza di giungere a Roma attraverso Addis Abeba non verrebbe meno. Perche' nell'Entiscio', nel Farras-Mai, nel Tembien, nell'Enderta' e nel Lasta abbiamo dimostrato che le strade le facciamo da noi, prima con il pugnale, poi con il piccone. E riguardo alle armate imperiali, le inviamo per informazioni sul nostro conto a Ras Cassa, Seyum (da Mulughieta', se mai, le invieremo in seguito) e a tutte le schiere di...rassettini che, in piu' occasioni, abiamo rassettato a dovere.
"Complementi"
Dopo Pasqua subito, sono giunti i complementi ai reparti. Forse fresche, venute ad integrare i quadri delle Divisioni, dopo le inevitabili perdite che la guerra ha cagionato nei ranghi.
Camicie nere di tutte le Regioni e citta' d'Italia. Rappresentanti di ogni classe sociale. Gente di ogni eta', volontari tutti, partiti con la volonta' di combattere, animati dalla nostra passione, ardenti del nostro entusiasmo.
I senesi, tra le schiere dei complementi come tra quelle della "23 Marzo", della "Tevere", e del "Gruppo Diamanti" sono numerosi e confermano l'indiscusso primato che la Provincia di Siena si e' brillantemente aggiudicato offrendo alla Patria, al Re e al Duce un numero di volontari superiore a quello di tutte le altre province d'Italia.
Un po' ovunque, nelle cinque divisioni di camicie nere operanti sul fronte eritreo, sono andati i nostri concittadini. Alla "23 Marzo" ne son venuti un centinaio e, tra questi, i primi sono giunti all'auto reparto giorni fa.
Una visita di concittadini e comprovinciali venuti a rinforzare le nostre fila, era necessaria, obbligatoria e desiderata. Percio', appresa la notizia - portata nelle ridotte da un camerata salmierista del gruppo cammelli - siamo andati in cerca della "cappella". Il parco automobilistico dista pochi chilometri dalle nostre posizioni e cosi', dopo appena un'ora di marcia, siamo giunti alla - caserma dei coscritti.
Li abbiamo trovati distesi dentro un autofurgoncino, seminudi, che' il caldo era opprimente, e sdraiati piu' o meno comodamente nell'interno della macchina, erano immersi in un sereno sonno: il pisolino del dopo pranzo.
Due grida, quattro scossoni, occhi che si aprono, bocche che si spalancano dalla meraviglia, braccia che si tendono ed escalamazioni di gioia e sorpresa. Ci troviamo stretti in un forte abbraccio. Per alcuni momenti formiamo un gruppo solo, un cuore solo, un'anima sola. Poi le lingue si sciolgono, le domande si incrociano, le risposte si susseguono.
Rivivo l'ora gia' vissuta nell'ormai lontano ottobre, quando nel Farras-Mai incontrammo per la prima volta i camerati dei battaglioni Diamanti. Soltanto, oggi, siamo noi i "vecchi", quelli che tutto sanno, che conoscono l'Africa, che han fatta la guerra.
Come sempre, com'e' logico, dopo le prime espansioni, dopo gli inevitabili racconti delle nostre imprese e delle nostre avventure, passiamo al contrattacco e portiamo il discorso su Siena, sui senesi, sulle senesi, su tutto di Siena, insomma.
I nostri ospiti si fanno in quattro per accontentarci. Rispondono a tutte le domande, procurano di essere chiari, fanno sforzi di memoria per soddisfare alle nostre interrogazioni e ci danno l'illusione di essere tra le nostre belle mura, all'ombra del Mangia o, magari seduti sopra una panchina alla Lizza...
Un mese fa - soltanto un mese fa! - erano a Siena, a Siena, proprio a Siena! Hanno veduti, solo d trenta giorni, i comuni amici, le nostre famiglie, le nostre madri. ci portano...freschi, quasi al naturale, i baci delle mamme, delle nostre care mamme, che or'e' un mese, si strinsero al seno, forse piangendo, quei figli della Grande Madre che partivano per raggiungere i loro ragazzi lontani.
Le ore volano e giunge il momento di dividerci. Un ultimo saluto e partiamo. I nostri camerati ci accompagnano ai margini dell'autoparco, poi, lentamente, riprendiamo la via verso le ridotte, che appena si distinguono lassu' nella collina, coi loro muriccioli seminascosti dalle basse siepi di mimose.
Portiamo con noi il ricordo delle ore trascorse in compagnia dei camerati senesi. Un ricordo che non si cancellera' troppo lentamente dalle nostre memorie, perche', oltre alla fresca ondata di affetti famigliari e di spirito senese, essa ha portato in noi un nuovo motivo di orgoglio, derivato dall'aver veduto il nostro esempio seguito da tanta bella giovinezza italica.
E ricorderemo sempre i nostri cari camerati, amici di ieri, compagni di fede, ed oggi a noi uniti nella lotta per il trionfo dell'Idea Fascista e per l'espansione dell'Italia nel mondo.
"Complementi", sta scritto sulle "basse" di passaggio presenti ai Reparti. Legionari, diciamo noi, che li abbiamo veduti qua, al posto del dovere, vestiti dei nostri stessi panni, pervasi della nostra stessa passione ed ardenti di quella fiamma che arde in noi.
Legionario d'Africa, anche se i loro corpi sono "in carne", anche se le loro faccie non sono bruciate dal sole e le loro divise portano ancora le tracce del magazzino vestiario. Tra un mese saranno come noi, come tutti. E tra un mese avranno anche essi dato il loro contributo alla vittoria finale. Ed i loro corpi saranno allora piu' asciutti, le loro faccie avranno gia' la maschia tinta bronzea, i loro abiti saranno stinti e logori ed anche essi, anche i "complementi" avranno gia' provata la soddisfazione impagabile ed innegabile di servire la Patria in armi.
Quella soddisfazione intima e cosciente, che e' il piu' bel premio alle nostre fatiche, alle nostre privazioni e alle nostre vittorie.
Dino Corsi