Il Telegrafo del 24 maggio 1935
Giornate di attesa nell'accampamento di Quaglieri

Dino Corsi, il giovane autore di applaudite commedie senesi, di racconti e novelle sul "Palio" apparse sul nostro giornale, arruolatosi volontario con la Camicie Nere di Siena per l'Africa Orientale ci manda da Sora una vibrante corrispondenza alla quale faranno seguito altre, dall'Italia e dall'Africa che saremo ben lieti di offrire ai nostri lettori.



Sora, maggio
Da venti giorni siamo accampati sulle pendici del monte Quaglieri, sito nella Regione del Liri. Ventitre giorni sono trascorsi dalla nostra partenza da Siena ed è sempre vivo in noi il ricordo di ciò che la nostra città, sempre gentile e prodiga di entusiasmo, ha fatto per i suoi figli che, animati da un puro sentimento di italianità e di fede fascista, lsciarono casa e famiglie per rispondere all'appello del Duce, offrendo la loro forza, la loro giovinezza e la loro vita per la grandezza di quella Grande Madre che è la Patria.
Rivediamo ancora la folla, quella folla senese che sa dare, in ogni circostanza, la dimostrazione del suo entusiasmo e della sua fede, fare ala alle centurie dei legionari, volontari di una grande causa, espressione purissima della nuova Italia.
Le nostre orecchie risuonano dei gridi e dei saluti di tutta la cittadinanza, mentre sulle nostre guancie sembrano ancora affiorare le impronte dei baci fraterni ricevuti, in un amplesso così amorevole che non potremo mai dimenticare, dai Balilla, dai Giovani Fascisti e, più graditi degli altri, dalle Giovani Italiane.
Sotto le tende che ci fanno da asilo, sono stretti in un unico fascio mazzi di garofani ormai appassiti, fazzoletti azzurri e rosso-gialli, ricordo inobliabile di quella manifestazione che Siena, con tutta la grandezza del suo inarrivabile amore, improvvisò alle Camicie nere partenti per il Continente Nero.
Ed a Siena, in questa ansiosa vigilia, vanno i nostri pensieri, mentre tutti i nostri sguardi sono volti all'orizzonte, con la segreta speranza di veder balenare, tra le nubi, il miraggio divino delle cuspidi del Duomo, della Torre del Mangia, delle cento torri senesi e le merlature e le trifore dei palazzi che dicono di un passato di gloria, che narrano le gesta di innumerevoli eroi, dei quali gli odierni legionari sono figli non degeneri.

La vita al campo

Tutto un versante di monte è coperto di tende, dando vita ad una tendopoli immensa quanto è vasto l'entusiasmo e la fede dei militi accampati. entusiasmo e fede che sono in continuo crescendo, giacchè le asperità e le durezze della nuova vita alla quale le Camicie nere si sono volontariamente assoggettate, non fanno che rinfrancare lo spirito e la volontà di tutti i militi qui convenuti.
La vita al campo, per chi sa apprezzare tutte le sfumature, è bella più di ogni altra, particolarmente se si considera come una scuola preparatoria alle fatiche che ci attendono domani oltremare.
Tutti, dal più giovane tra i giovani fascisti al più vecchio degli ex- combattenti - e sono molti i giovanissimi ed innumerevoli i veterani del Piave, del Grappa, del Carso e del Montello - si sono adattati alle esigenze della nuova esistenza. Così, come la trombetta ha preso il posto della noiosissima sveglia o della inconfondibile voce della mamma adorata, la gavetta e la pagnotta hanno sostituito i più o meno modesti o i più o meno lauti pranzi, che le mani delle nostre donne erano use apparecchiarci nella vita borghese. I morbidi leti e le soffici coltri sono stati surrogati da pagliericci e coperte, mentre i teli da tenda hanno preso il posto delle domestiche pareti.
Tutto ciò semnza ombra di rammarico o di rimpianto. Tutti i Militi, consci della bellezza e grandezza del compito loro affidato, sopportano i disagi non lievi di un campo gravoso, perchè consapevoli dell'utilità di questo allenamento ai disagi ed alle fatiche. Allenamento i di cui frutti si potranno vedere un giorno, quando cioè le Divisioni CC.NN. dovranno, prime fra i primi, affrontare tutte le insidie del clima africano e le fatiche di una eventuale guerra.
La vita al campo si inizia alle 5.30 con la sveglia. Volar di coperte, rumore di ferramenta, grida di graduati, qualche "moccolo" in sordina e poi la corsa verso le cucine per la distribuzione del caffè. La razione è sorbitaa in un attimo. Breve sosta per la pulizia e l'assestamento delle camere (perdono!), delle tende, e poi la tromba chiama all'adunata.
Adunata! Adunata! Il campo è in subbuglio. Chi non conoscesse i segreti della vita militare e giungesse in un campo al momento di una adunata, potrebbe pensare di essere capitato in un Ospedale di pazi: uomini che corono in tutte le direzioni, coperte e giacchette che volano all'aria, grida ovunque, confusione apparente. Invece nel breve termine di due o tre minuti, tutto è calmo, e dicei, cento, mille uomini inquadrati danno una evidente prova di prontezza, obbedienza e disciplina.
L'adunata è fatta. Zaino in spalla. I militi, le centurie, i battaglioni, la Legione tutta, sfilano in perfetto ordine per le mulattiere. Scendono a valle per risalire poi a monte, verso le cime ancora candide di neve. E vanno avanti senza ombra di stanchezza, accompagnandosi con tutte le canzoni della Guerra e della Rivoluzione. Se, talvolta, il tempo, sempre incostante in questa Regione, gratica i reparti che operano a valle o a mnte di docce naturali e non gradite, l'entusiasmo dei militi non si fiacca. Più forti salgono verso il cielo i canti della fede, come una sfida agli elementi.
Tornando talvolta dalle esercitazioni sotto veri torrenti d'acqua e tra il lampeggiare dei fulmini, vediamo, lungo le vie delle borgate e dei paesi che attraversiamo, confuse tra la folla che saluta il nostro passaggio, spose e ragazze che, vedendoci curvi sotto il peso dello zaino e grondanti di pioggia, non sanno trattenere le lacrime. Forse sono le madri, le mogli, le fidanzete di altrettanti volontar, e non possono nascondere la loro pena per ciò che credono nmostra sofferenza. e non sanno queste pur tanto brave donne italiane, che i volontari sopportano tutto e se ne "fregano" delle intemperie e delle fatiche. Come domani, seguendo le tradizioni dello squadrismo eroico, se ne fregheranno della morte, se questa sarà necessaria.
E cantando rientriamo all'accampamento. Zaino a terra, via i panni bagnati, gavette alla mano e nuovamente a corsa verso le cucine, chè la tromba ha già fatto sentire l'invitante richiamo: "La zuppa l'è cotta". L'appetito non manca a nessuno. Tutti, giovani e vecchi, ricchi e poveri, si "abbuffano" e divorano la saporosa ed abbondante razione.
Una corsa allo spaccio militare - che nulla manca al campo, nemmeno l'invitante cantina - un quartuccio di quel buono, che, particolarmente per noi senesi, si raddoppia e si triplica, e poi il riposo in tenda.
Alle 15 nuovamente adunata per istruzioni interne...sotto le quercie e gli olmi: alle 17 secondo rancio ed alle 18 (chi ha le scarpe lucide può sortire) libertà fino alle 21. Tre ore di libertà, tre ore da dedicare alle cose più svariate: scrivere alla famiglia, recarsi al vicino paese, andare in cerca di qualche bella fanciulla (da ammirare soltanto, purtroppo!) e cantare!
Il canto (e chi scrive è stonato quanto più si può esserlo) è una delle nostre grandi soddisfazioni.
La canzoni patriottiche e fasciste ci fanno fremere di entusiasmo, di desiderio di lotta e ci portano con il pensiero a quello che un giorno sarà il nostro campo d'azione. I cori popolari ci riportano con la mente alla nostra città; alle case, alle mogli, alle donne adorate.
Ma un nuovo squillo di tromba, lento e suggestivo, fa d'incanto tacere tutti i cuori e in un attimo si fa nel campo un silenzio assoluto, precursore di quel riposo che tutti si sono meritato.

La tenda n. 8 e n. 9

I senesi sono un pò dovunque, per il campo. Ma l'epicentro, diciamo così, dato che ci troviamo in una terra tristemente famosa per i movimenti sismici che i un passato non lontano hanno distrutto interi paesi, dei nati all'ombra del Mangia, che è anche un pò l'epicentro del campo e il punto di ritrovo e di attrazione di quasi tutti i Toscani, sono le tende n. 8 e n. 9. Particolarmente la numero 8, la "tenda premio", è nota in tutta la tendopoli. "Tenda premio" perchè migliore delle altre, si beccò i due scudi di premio messi in campo dal Comando di Legione; attrazione irresistibile per lo spirito e la fede fascista dei suoi occupanti, dati questi che si rivelano in ogni circostanza ed in ogni momento.
Due senesi puro sangue, un "nicchiaiolo" e un "torraiolo" ( per precauzione non parliamo mai di Palio e di Contrade), due colligiani, un poggibonsese (buono anche questo accoppiamento), buonconventini, monteronesi ecc. uniti ad un romagnolo di Forlì, formano una sola famiglia, che, nota oramai con i numeri 8 e 9, che contrassegnano le due tende, è esempio di perfezione, di fede e di disciplina.
E qui convergono tutti i senesi e da qui, piccola colonia senese, si levano seralmente i canti nostri, tutti nostri: i canti di Siena bella e delle campagne senesi.
La Torre del Mangia, il marmoreo Duomo, i più noti monumenti di Siena, le visioni dei paesi che furono un giorno dominio e vanto della Repubblica Senese, adornano, attraverso riproduzioni fotografiche, le pareti di tela delle due tende, e danno ai legionari ivi ospitati la sensazione di essere ancora vicini alla città, al paese, alla famiglia.
Ed un senso di vera nostalgia si diffonde talvolta tra questi figli di Siena, tanto lontani e pure tanto vicini alle città dei sogni. Ma la nostalgia non è rimpianto. L'amore per la terra che ci ha veduto nascere, per i nostri cari e per tutto ciò che la città di S. Caterina sa dare ed insegnare ai suoi figli.
Il rimpianto vero, sincero e sentito da tutti i legionari senesi, come del resto da tutte le Camicie nere volontarie, è quello di essere ancora in Patria, di dover mordere il freno in attesa di una partenza agognata, di dover sognare ancora per un pò l'Africa, la lotta, la vittoria e forse la morte. Perchè i volontari del Duce sono pronti a tutto.
Ma il giorno della partenza si avvicina. E verrà presto. Ed allora diremo addio all'Italia con la stessa fede, entusiasmo e passione come ieri dicemmo addio a Siena nostra.


Dino Corsi