Il Telegrafo del 2 agosto 1936
Dalla capitale eritrea alla tana del leone di Giuda (V parte)


( V )


Uoldia

La regione di Uoldia, che ha per capoluogo il villaggio omonimo, si estende nell'Amhara orientale, tra la catena montuosa che precipita nel bassopiano dancalo e la linea di colline al confine del Lasta, da dove si diparte la impervia e seminesplorata mulattiera per Gondar.
Il villaggio, o meglio il villaggio principale, chè di villaggi la regione è ricchissima, è situato su di una collinetta, al centro di una valle, interrotta qua e là da rialzi del terreno, piccole montagne e corsi d'acqua. Tutta la zona è ricchissima di pascoli e di colture. Il clima è uno dei migliori dell'Africa Orientale e la terra, particolarmente adatta all'agricoltura, è ricca di acque, mentre il sottosuolo, a detta dei competenti, non è privo di minerali. Ma, dato che noi siamo saliti al villaggio con ben altri scopi che gli accertamenti sulle proprietà del suolo e del sottosuolo, sarà bene lasciare ad altri, anche per ragioni di competenza, l'incarico di porre nella giusta luce le ricchezze naturali della Regione.
E' martedì, cioè giorno di mercato. Giungiamo nella vasta piazza degli affari - un pianoro sgombro da ogni sorta di vegetazione - che un'immensa folla già vi si accalca. Dieci o dodicimila persone ed almeno il triplo di capi di bestiame, eccettuati i polli, che saranno da soli almeno cinque volte tanto, su affollano tra le fila di euforbie delimitanti la zona del mercato.
Apparentemente, nella piazza è una confusione indescrivibile, sventolio di sciamma, ondeggiamento, sulle spalle dei "galla", di pelli di capra, grida non sommesse in una infinità di lingue e dieltti, muggiti di zebre, belati di agnelli, chicchirichi di galli, abbaiar di cani, concioni di banditori, rullar di tamburi, soffiar di zufoli, suono di "irte" - i caratteristici strumenti a coda indigeni - canti di menestrelli, manie di danzatrici e, su tutto, agli sciamma, alle pelli caprine, sui mille rumori, le centinaia di ombrellini variopinti dei capi e delle donne di questi. confusione, caos, babilonia...
Ma basta vincere il senso di ripulso che sempre si fa sentire ad un ammassamento di indigeni, basta resistere alla nausea derivata dall'inconfondibile odore di burro fermentato ed olio di caffè, con i quali sono unte le capigliature femminili e parte dei corpi maschili, basta insomma farsi largo a forza di gomiti e spingersi tra la calca per convincersi che la confusione non è tale, il caos non è che ordine e la babilonia, una pura immaginazione.
Senza che il vigile provveda a ciò, i vaccini si raggruppano in un angolo appartato, gli ovini portano i loro belati in apposito recinto, i polli starnazzano nello spazio loro riservato, i mercanti di grani ed oggetti vari stazionano al centro della piazza, mentre i suonatori di "irte" e le seminude danzatrici portano le loro melodie e i loro lascivi sgambettamenti ai margini della piazza.
Stazioniamo a lungo nel mercato, sempre presi dallo spettacolo nuovo che si offre ai nostri occhi.
Entriamo in trattative per l'acquisto di alcuni cestelli di vimini variopinti, ma non riusciamo ad intenderci con il venditore. Ci facciamo dappresso ad una venditrice di uova, ma anche qui i nostri sforzi sono vani. Le uova, al mercato, si vendono soltanto insieme alle galline, non separate. Così, volendo due o tre coppie per la colazione, si dovrebbe acquistare anche un paio di vecchi ed ossuti polli.
Con un agricoltore, venditore di caffè, abbiamo più fortuna.Ma anche qui, per avere un chilo di caffè in natura, siamo costretti ad acquistare una certa quantità di peperoni rossi e...due colossali zucche gialle.
Carichi dell'ingombrante fardello delle cucurbitacee, ci avviciniamo alla zona, diciamo così, spettacolare. Le zucche, offerte in omaggio a quattro danzatrici, ci fanno assistere ad una indiavolata fantasia, con relativa esposizione di gambe, seni e qualcosa di più.
I corpi caffellatte delle fanciulle - la più anziana avrà si e no sedici anni - sembrano doversi troncare da un istante all'altro, tanto si divincolano e si piegano, spinti ed incitati come sono da una melodia di un "irte" inebriante quanto mai.
Seguiamo ammirati le movenze dei quattro corpi femminili, quando alcune grida ci scuotono dal torpore e ci fanno accorrere al di là della linea di euforbie, sino ai margini del villaggio.
Le grida, di terrore e di aiuto, provengono dall'interno di una capanna. Armi alla mano, facciamo per entrare, ma un indigeno, con un gesto supplichevole, ci ferma sulla soglia del tugurio: Non entrare guaitana! Là stare diavolo. Cattivo diavolo ora andare via. Non entrare guaitana!
Più che mai spinti dalla curiosità di conoscere questo diavolo, entriamo quasi a forza nella capanna. Le grida sono taciute, ma vediamo lo stesso la spiegazione del mistero.
Un uomo, colto, a quel che possiamo comprendere, da un attacco epilettico, è stato creduto - questa è la credenza comune tra gli indigeni - preso dal demonio. E per far sì che Satana abbandonasse il corpo dello spiritato, i famigliari hanno legato il poveretto e, di buon accordo con tutte le volontà degne delle migliori cause, si sono dati a percuoterlo furiosamente con nerbi di bue. Picchia e ripicchia, il disgraziato ha perduto i sensi, si è naturalmente, calmato e quindi, a detta dei congiunti, che hanno perciò improvvisato una fantasia di gioia, il diavolo è uscito dal suo corpo.
Compresa l'impossibilità di far capire a gente tanto primitiva la vera causa del male del loro parente, ci allontaniamo dal tucul ed attraversiamo il villaggio per raggiungere le famose grotte di Tafari.
Strada facendo, tra il dedalo delle viuzze e l'intrigo delle capanne, siamo fatti segno agli omaggi della popolazione, che va e viene dal mercato.
- Salam Guaitana!
- Buon giorno taliano! Contraccambiamo i saluti con gesti della mano e continuiamo affrettatamente per la nostra via. Abbiamo fretta di giungere alle grotte, dato che ci siamo soffermati un pò più del previsto al mercato, ma non possiamo, di tanto in tanto, astenerci dal rallentare l'andaturra per mirare le bellezze nere che incrociamo nel nostro cammino.
Ho detto "mirare" e non "ammirare", perchè, per belle, le donne nere non potranno mai destare l'ammirazione dell'italiano, che in fatto è abbastanza esigente, forse in considerazione di ciò che l'attenderà al di là del mare. Ma non posso riconoscere che le donne di Uoldia sono tra le belle e forse le più belle, in senso assoluto, di tutto l'impero etiopico. del resto, non per nulla il Negus e la sua corte venivano qui a trascorrere i loro ozi primaverili...
Ozii che quest'anno sono stati bruscamente interrotti dalla nostra avanzata. Tanto bruscamente, che il signor Tafari dovè fuggirsene dal suo quasi elegante cascinale, costruito tra palmizi ed euforbie, e ripararsi nelle grotte, in quelle grotte che per più mesi furono il rifugio preferito del leone di Giuda.
E nella tana, da dove Ailè Sellassiè emetteva i suoi ruggiti, troppo simili a belati, siamo giunti dopo una buona oretta di marcia, attraverso un terreno montuoso, ancora cosparso di opere di fortificazione, rotto da trinceramenti e livellato qua e là da piazzole per mitragliatrici e cannoncini antiaerei.
Preceduti dalle...guide (l'occhialuto studente universitario, celebrità del "Caffè Greco" ) che in virtù dei suoi...fanali marcia all'avanguardia; l'aristocratico scacchista, nonchè celebre cavallerizzo, notissimo tra le pareti della sala damistica del "bar Mosca", ed un funzionario del Ministero delle Finanze, oggi in camicia nera, romano...d'Arezzo, e per l'occasione con funzioni di retroguardia, data la sua mole, non più...come al giorno dello sbarco in Africa orientale, ma sempre discretamente voluminosa e rassicurante), ci inoltriamo pr il camminamento coperto e raggiungiamo la grotta principale, tana del leone di Giuda.
L'ambiente, scavato con il piccone nella dura roccia, è un vero ricovero di guerra. Privo di ogni conforto, ma sicuro quanto mai. Davanti all'apertura, oggi non più protetta dagli infrascamenti, sono ancora trinceramenti e postazioni per la difesa antiaerea. L'interno, un giorno riccamente addobbato con tappeti e mobili di provenienza europea, è nudo e misero. I topi e i lucertoloni vi dominano incontrastati e, non essendo nostra intenzione disturbare i roditori ed i rettili, degni discendenti del leone che fu, usciamo all'aperto e ci liberiamo così della nausea provocata dal tanfo, caratteristico in tutte le abitazioni indigene, e, naturalmente, anche di quella del signor Tafari, degno in tutto, dal lato igienico, dell'ultimo dei suoi sudditi.
all'aria aperta, seduti su tronchi di albero tagliati, ci accingiamo a consumare la colazione, commentando e discutendo sulle impressioni della giornata. Poi, come sempre avviene quando la comitiva è composta in prevalenza da senesi, la conversazione scivola piano piano su Siena e, occorre dirlo?, sulle contrade e sul Palio.
- Sicchè, chiedo io, ha vinto la Giraffa?
- Già, la Giraffa - mi risponde l'occhialuto studente, e per l'ennesima volta si accinge a narrare le fasi del Palio, così come le conosce attraverso una lettera giunta ieri da Siena e magari un tantino abbellite, ed esagerate dalla fantasia di contradaiolo.
- Ha vinto la Giraffa, e l'Oca s'è purgata...
Le scatolette, già aperte, invitano ad iniziare la colazione, le pagnotte attendono solo i nostri voraci morsi e, non mancando l'appetito, ci accingiamo a dar sotto alle provviste.
Tra un boccone e l'altro, continuando la conversazione mai interrotta, uno dei miei compagni mormora: Peccato non ci sia un giraffino; avrebbe pagato da bere...
- Già, aggiunge un altro, e nemmeno un ocaiuolo per levar l'olio dai fiaschi.
Un'allegra risata fa seguito alla battuta. E si ripercuote, il rumore delle risa, nell'interno delle tana, ritornando a noi smisuratamente ingrandito e straordinariamente ironico, come per dire: altro che Oca! Quello di Tafari, si, che è stato un purgante! E che purgante!


Dino Corsi