Dotata di un apparato normativo e regolamentare che ne stabiliva il funzionamento e ne regolava la struttura, la Milizia aveva appena intrapreso il percorso di piena realizzazione della propria identità e di piena rispondenza al disegno del regime fascista. In un generale quadro di incertezza, la legione senese non rappresentava un’eccezione, evidenziando una organizzazione e una struttura ancora in buona parte da completare; le defezioni avvenute nei mesi precedenti, determinate dal rifiuto nei confronti del nuovo ordinamento della Milizia ed una eterogenea penetrazione nel territorio provinciale, rappresentavano ancora un ostacolo al perseguimento di realizzare una struttura articolata e diffusa.
La II Coorte della Val d'Elsa, che rappresentava un elemento rilevante della struttura provinciale, era uscita scossa dalle vicende del "Selvaggio", la X centuria della Valdichiana era ancora nel 1926 in corso di organizzazione, nell'area amiatina solo i locali reparti di Sarteano e Piancastagnaio risultavano operativi; solo nel dicembre 1925 si costituiva infine una prima centuria mitraglieri, strutturata sui tre manipoli di Siena, Due Ponti e Taverne.
Anche la Provincia di Siena stava assistendo alla istituzione ed alla lenta strutturazione delle Milizie speciali, destinate nel disegno costitutivo a completare le funzioni e l'impiego della M.V.S.N. in specifici compiti di polizia amministrativa e giudiziaria. Nel 1924 era stata costituita la Milizia Ferroviaria (1), con compiti di polizia ferroviaria in attività di sorveglianza amministrativa e controllo, e nel successivo anno come diretta emanazione da essa la Milizia Postelegrafonica (2), con funzioni di controllo e scorta ai carri ferroviari e ai furgoni che trasportavano valori bollati.
Ancora nel 1924 veniva costituita la Milizia Portuaria (3), destinata a compiti di polizia marittima e portuale, ovviamente non operativa nella Provincia di Siena, nel 1926 infine la Milizia Forestale (4), dipendente operativamente dal Ministero dell'Agricoltura e delle Foreste, con compiti di difesa e tutela del patrimonio forestale e di controllo sulla caccia, pesca e custodia del bene demaniale, e per ultima nel 1928 la Milizia Stradale (5), con funzioni di controllo, gestione e manutenzione delle strade.
Posti momentaneamente da parte i mai sopiti malumori nei confronti delle altre forze armate dello stato, la Milizia si trovava, a distanza di oltre due anni dalla propria costituzione, ancora profondamente attraversata da sentimenti di insicurezza in una piena e completa realizzazione dei propri scopi e nel perseguimento dei propri obiettivi; al dissenso aperto che era emerso nei mesi precedenti nei confronti del processo di normalizzazione e che si era risolto con la defezione degli elementi meno disposti a condividerne le finalità, si era sostituito un silenzioso senso di preoccupazione per il destino della Milizia.
Da più parti veniva reclamato come necessario un cambiamento nella struttura di comando e un diretto intervento di Mussolini, che potesse favorire un rasserenamento del morale degli appartenenti alla Milizia. Il Fascismo non poteva permettere che ciò che rappresentava l'espressione più diretta dello squadrismo ed allo stesso tempo la prova della sua capacità di inquadrarne e normalizzarne il movimento in una struttura gerarchica e disciplinata, potesse perdere ogni coesione e smantellarsi, o ridursi a mera comparsa dell'apparato del regime. Il 6 ottobre 1926 veniva pubblicato su Il Popolo senese un articolo dell'on. Melchiori che descriveva efficacemente il clima del momento (6), anticipando di una settimana la svolta decisa da Mussolini di assumere la carica di Comandante generale della Milizia, in sostituzione del generale Ferrante Gonzaga.
In Provincia di Siena li sforzi del comando della Legione furono da subito rivolti a perseguire una molteplicità di obiettivi, necessari allo scopo di consolidare l'organizzazione sia al proprio interno che all'esterno: ricercare una legittimazione da parte delle forze armate della Milizia come soggetto con pari grado e con uguale dignità, penetrare nel territorio provinciale e nel suo tessuto sociale in modo capillare ed allo stesso tempo assicurare e mantenere per gli appartenti la massima coesione e la piena consapevolezza del proprio ruolo e della propria funzione.
La prima opportunità di mettere in pratica un tale articolato ed ambizioso programma venne concessa dai compiti di provvedere alla istruzione premilitare per il Regio esercito, già assegnati alla Milizia dal nuovo ordinamento contenuto nel R.D. 1292 del 1924 e che non erano state completamente perfezionate; l’istituzione dell’Avanguardia Giovanile Fascista a fianco della M.V.S.N. e con il medesimo inquadramento fino alla suddivisione in legioni, pur a fronte dei richiami e delle disposizioni da parte del Comando Generale, non aveva ancora evidenziato sostanziali progressi . Le potenzialità che tale compito implicava si sarebbero finalmente concretizzate con la costituzione dell'Opera Nazionale Balilla e degli Avanguardisti a mezzo della Legge n. 2247 del 3 aprile 1926 (7).
Entrambe le istituzioni erano poste sotto la diretta dipendenza dell'O.N.B., e per mezzo di queste il regime si proponeva di curare l'istruzione premilitare, ginnico sportiva, spirituale, culturale, professionale tecnica e religiosa, dimostrando un grande interesse verso l'indottrinamento delle giovani leve che sarebbero diventate le colonne portanti dell'ideologia fascista degli anni successivi. Sia a livello centrale che a livello periferico l'organo amministrati-vo dell'O.N.B. prevedeva la presenza di un membro della M.V.S.N., con un presidente scelto tra gli ufficiali di grado non inferiore a quello di console generale per il Consiglio Centrale, ed il Console comandante della Legione per ciascun Comitato provinciale.
L'istituzione degli Avanguardisti, cui appartenevano i giovani dai 14 ai 18 anni, era infatti destinata a curare l'addestramento e la preparazione dei giovani alla vita militare; ai giovani che avessero fatto parte per l'intero quadriennio al corpo degli avanguardisti ed avessero partecipato con esito positivo ai corsi di istruzione premilitare venivano inoltre estesi i benefici ai fini della prestazione del servizio militare. Emerse in questo ambito la figura del Centurione Galliano Bruschelli, vero e proprio punto di riferimento per l’istruzione premilitare; responsabile dei corsi premilitari fin dal 1926, venne assegnato come ufficiale in s.p.e. presso il Comando della Legione dal 16 ottobre 1927, rappresentando per oltre un lustro l’infaticabile organizzatore dell’intera attività premilitare in tutto il territorio provinciale.
Il compito di portare gli avanguardisti ad un grado d'istruzione militare che consentisse loro d'inquadrarsi successivamente nelle formazioni operative della Milizia concedeva a questa l'opportunità di agire anche nei centri più periferici, ampliandone ulteriormente la capacità di coinvolgere un maggior numero di cittadini (8).
Se per i primi corsi premilitari estivi istituiti nel 1926 il comando della legione aveva identificato in 11 località della provincia i centri di addestramento, con sedi a Siena (comando della 97.a Legione), Poggibonsi (comando della II Coorte), San Gimignano (comando del locale manipolo), Colle val d'Elsa (comando della 5.a centuria), Rapolano (comando della 14.a centuria), Sinalunga (comando della 15.a centuria), Montepulciano (comando della 10.a centuria), Valiano (comando del locale manipolo), Abbadia San Salvatore (comando dell'8.a centuria), Piancastagnaio (comando della III Coorte), Castellina in Chianti (comando della 6.a centuria) , per quelli invernali del 1927-1928, della durata di 6 mesi, con esercita-zioni previste in ogni mattina dei giorni festivi, il numero di tali località era già salito a 31, quasi uniformemente distribuiti sul territorio, per giungere alle 44 dei corsi estivi 1929.
Come immediata e desiderata conseguenza, anche il numero degli avanguardisti che parteciparono ai corsi si incrementò espo-nenzialmente, passando dai 259 iscritti del primo corso svolto nel 1926, quando 98 furono gli avanguardisti iscritti a Colle di Val d'Elsa, addestrati dal Capo Manipolo Nello Susini, e con istruttori i Capo squadra Giuseppe Polloni, Rodolfo Meoni ed Enzo Viviani, 40 a Poggibonsi, con istruttori i centurioni Giannelli e Ferrari ed il capo Manipolo Guido Corsi, 40 anche a Chiusdino, agli ordini dell'istruttore Capo Manipolo Marino Martignani, ai 1459 del 1927, fino agli oltre 1600 iscritti del 1929.
Il triennio 1927-1929 fu testimone di una intensissima attività; nell'estate 1927 veniva formata ed inquadrata a Siena la 259.a Legione dell'A.G.F. La Lupa, al comando del Centurione Alberto Varano e pochi mesi dopo la 260.a Legione A.G.F. di Montepulciano, assieme alle due Legioni dell'O.N.B., la 262.a Legione A.G.F. Vittorio Veneto di Colle di Val d'Elsa, al comando del Capo Manipolo Quinto Conforti e la 259.a Rino Daus di Siena, al comando dei Capo Manipolo Agilulfo Damiani e Goffredo Carboni.
A luglio ebbero inizio le prime vere e proprie attività istruttorie, con lezioni di tiro per avanguardisti con carabina Flobert presso il poligono di Piazza d'Armi, cui fecero seguito il 15 e 16 agosto le prime gare provinciali di tiro: si distinsero gli avanguardisti Alfredo Minucci della coorte di Torrenieri, i fratelli Martino e Argante Tafi della coorte dello Stellino; si piazzava al settimo posto, con una valida prova, l'avanguardista Silvio Gigli. Analoga intensità venne indirizzata da parte del comando delle Legione allo scopo di fornire i primi strumenti di addestramento militare ai militi: alcuni centri della provincia, tra i più attivi, assistettero al proliferare di iniziative che perseguivano la finalità di assicurare agli appartenenti un'adeguata istruzione e di penetrare capillarmente il territorio provinciale.
Nel maggio 1926 vennero organizzati, in collaborazione con la Società di Tiro a Segno Nazionale a Colle di Val d'Elsa, i corsi di tiro ai reparti della V centuria; il 1 marzo 1927, terminati i lavori al poligono di tiro di Montepulciano, il capo manipolo della X centuria locale, Enrico Caldini, inaugura i corsi di tiro per i legionari e per il manipolo dei premilitari, al comando del capo squadra Emilio Giovagnoli.
Anche nei centri più piccoli si organizzano sedute di esercizi e istruzioni militari: sia per gli iscritti ai corsi premilitari, come nel marzo 1927 a Buonconvento, con 80 giovani, tutti coloni ed operai della zona, che per gli appartenenti alla Milizia, come nel giugno 1927 presso il manipolo di Radicondoli, organizzati dal Decurione Policarpo Baldi, le istruzioni di tattica militare nel settembre 1927 del manipolo di Castelnuovo dell'Abate, guidate dai capo squadra Cei e Fanetti, e quella del manipolo di Bettolle, agli ordini del Centurione Dell'Artino, del Decuriore Vitrucci e dei capi squadra Zurli e Baccheschi.
La necessità di provvedere a molteplici obiettivi e l'impellente esigenza di consolidare un apparato ancora bisognoso di una organizzazione in grado di superare le inevitabili difficoltà iniziali, servirono da stimolo per la frenetica attività che il comando svolse nei primi anni dalla costituzione della legione. Malgrado lo sforzo profuso dalla propaganda per garantire un'immagine di completa efficienza dei reparti, il quadro appariva tuttavia ancora lontano dal progetto immaginato e perseguito dal regime.
In un articolo di Francesco Paoloni per Il Popolo senese dell'8 ottobre 1926, pur se non venivano sottaciute le difficoltà e le esigenze per permetterle di mantenere questo ruolo e perseguire queste funzioni, la Milizia, coerentemente alle direttive della propaganda, veniva proposta nella sua immagine più esteriore e più aderente al disegno del regime (9).
Nei confronti della non risolta questione dei rapporti con le altre forze armate, elemento di contrasto e malumore nel corso dei primi anni di vita della Milizia, venne ricercata una rapida soluzione: il 14 marzo 1926 tra le colline di Malamerenda, lungo la strada consolare Cassia, ebbero luogo i primi esperimenti di manovre combinate per reparti della Milizia e del Regio Esercito con la partecipazione di unità dell' 87° reggimento fanteria e di tre centurie della 97.a Legione. Al di là della consueta retorica della cronaca, l'occasione sembrava aver favorito, se non un'atmosfera di reale cameratismo, almeno un'opportunità di positiva collaborazione, con la presenza rassicurante di ufficiali dell'esercito e dei Reali Carabinieri (10).
L'esperimento, ripetuto il 17 agosto successivo nella zona di Costalpino dagli effettivi della I centuria senese, della centuria universitaria e da quella mitraglieri, al comando del Seniore Gino Tozzi, e che si svolse nell'occasione senza la partecipazione congiunta di reparti dell'esercito, rappresentò un'altra occasione per celebrare la prova di disciplina e di fervore offerta dalle camicie nere senesi.
In collaborazione con l'Unione Nazionale Ufficiali in congedo, dal 9 all'11 ottobre 1927 si svolgeva presso il Poligono di Piazza d'Armi a Siena, la prima gara provinciale di tiro a segno per ufficiali della Milizia e del Regio Esercito, nella quale si distinguevano il Centurione Ermanno Mansueti, ed i Capo Manipolo Marino Martignani e Luigi Martini.
A fianco dell'istruzione premilitare, un ulteriore strumento di penetrazione nelle più svariate fascie della popolazione fu rappresentato dall'opportunità concesso dalle attività sportive di coinvolgere, organizzare e dirigere la gioventù. L'ordinamento della Milizia non prevedeva espressamente la costituzione di reparti sportivi organici, tuttavia, seguendo l'attenzione mostrata dal Regime nei confronti delle esercitazioni sportive, questa curò particolarmente l'addestramento fisico dei suoi appartenenti.Divenne ben presto consuetudine che presso ciascun Comando di Raggruppamento, di Gruppo e di Legione vi fosse un ufficiale che si occupava di coordinare e promuovere le attività che concernessero l'educazione fisica e sportiva; tali ufficiali, basandosi sulle direttive impartite dall'ufficio esistente presso il Comando Generale, provvedevano all'addestramento fisico dei gregari e selezionano gli elementi delegati a rappresentare i reparti nelle varie gare locali e nazionali, che con il passare degli anni vennero sempre più diffusamente organizzate.
L'attività sportiva venne considerata strumento di primaria importanza anche per la preparazione premilitare e militare, in conside-razione delle sue capacità di favorire uno sviluppo fisico e caratteriale dei soldati; attraverso il potenziamento atletico, il corretto apprendimento dei movimenti di guerra, della tenacia e della volontà, l'educazione fisica dell'esercito si connotava in un certo senso di vero e proprio carattere sportivo. In una visione ancora più ampia di mobilitazione collettiva, incoraggiando lo sport il fascismo mirava a creare la passione nella massa e non già a creare lo sviluppo esclusivo dei campioni; l'educazione fisica e l'attività sportiva rappresentavano quindi un dovere civico, che ogni buon cittadino avrebbe dovuto praticare, rendendosi parte integrante di un processo che incoraggiava e favoriva, come fine ultimo, quello della preparazione del cittadino soldato.
Le linee direttive dello sport nella Milizia furono indirizzate a com-pletare la preparazione sportiva delle organizzazioni giovanili con gare di gruppo a carattere militare, ed agire in maniera capillare in modo da arrivare sino nei più piccoli paesi e nei centri meno sviluppati anche allo scopo di determinare una forza di attrazione nei confronti dei giovani. Il programma dei corsi della M.V.S.N. comprese esercizi di ginnastica ed agilità, esercitazioni al tiro a segno, marcia, corsa, salto, scalate, lanci, pesi, pugilato, giochi e gare di gruppo. L'educazione militare si basò sugli stessi esercizi, con l'intento di perfezionare il grado di preparazione raggiunto dai giovani.
Nel corso degli anni l'attività sportiva della Milizia divenne progressivamente più intensa, trasformandosi dall'attività sporadica e per certi aspetti pioneristica propria della metà degli anni venti ad una disciplina e tradizione consolidata, fino all'organizzazione di campionati nazionali e territoriali. Notevole attenzione fu riservata alle discipline più tradizionali, quali podismo e al pugilato, considerati essenziali per garantire "sviluppo fisico, elasticità muscolare, saldezza morale necessarie nei casi di difesa personale o di attacco", sia all'atletica leggera ed al nuoto, sport considerati minori in quanto non godevano di particolare popolarità, specialmente nei corso dei primi anni del regime. Un altro disciplina tenuta in particolare considerazione dalla Milizia fu ovviamente il ciclismo, sport molto popolare e che rappresentava una specialità anche in campo militare.
Il panorama sportivo di Siena e della provincia si presentava particolarmente eterogeneo; nel territorio coesistevano gloriose associazioni sportive, attive fin dal secolo precedente, e nuovi sodalizi che si erano costituiti nell'immediato dopoguerra, sia su base studentesca che come emanazione di associazioni di categoria. Su di esse, in continua competizione tra sè, primeggiavano la S.S. Robur e l'Associazione Ginnastica Senese, adesso Polisportiva Mens Sana, sia per numero di associati che per risultati sportivi ottenuti; all'interno di un un tale scenario, la sforzo profuso dal regime spaziò dalla ricerca di una collaborazione con le associazioni esistenti, al perseguimento di una strategia di penetrazione all'interno degli organi direttivi di queste, per giungere in breve tempo al raggiungimento di un esercizio di un controllo più serrato e della direzione sull'intera attività sportiva senese.
Una delle prime manifestazioni con le quali la Milizia si confrontò fu la rassegna delle gare di scherma riservata agli appartenenti alle Legioni della VIII Zona toscana per l'assegnazione della Coppa Venanzio Ceccarini, organizzata dal 29 giugno al 1 luglio 1926 dal Comando della 97.a Legione in collaborazione con l'Accademia d'Armi di Siena , fondata due anni prima dal Maestro Enrico Barbera, figura che guiderà negli anni successivi gli Ufficiali della Legione nella disciplina. Se tale evento rappresentò una manifestazione sportiva esclusivamente interna ai reparti della Milizia, fin dalla prima fase di avvicinamento al mondo dell'associazionismo sportivo il fascismo senese seppe intraprendere una feconda politica di collaborazione, con la partecipazione ad una serie di una attività e di raduni organizzati dalle associazioni sportive della provincia.
Le manifestazioni sportive, al pari di quelle commemorative e di onoranze, erano state oggetto del provvedimento contenuto nel R.D. n. 1486 del 6 agosto 1926 (11), con il quale veniva resa necessaria un'autorizzazione preventiva da parte del Prefetto e di una specifica commissione provinciale, tra i cui membri era indicato il segretario della Federazione provinciale fascista, da richiedere almeno un mese prima della data prevista. Un secondo passo del processo di fascistizzazione della vita sociale, dopo l'inquadramento delle organizzazioni giovanili entro le strutture del regime, era compiuto; i sodalizi sportivi dovevano essere regolarmente iscritti all'O.N.D., condizione necessaria per poter organizzare raduni ed eventi sportivi, e lo stesso eterogeneo panorama sportivo e dilettantistico della provincia stava per entrare sotto il diretto controllo della struttura del regime fascista.
Il regime comprese e mise in atto, sia a livello centrale che a livello periferico, la politica secondo la quale lo sport potesse rappresentare un formidabile strumento per la costruzione del consenso, attraverso un modello sportivo indirizzato a perseguire il controllo delle masse e la diversificazione dell'attività sportiva non già sulla base del libero associazionismo, bensì determinato dalle necessità politiche e ideologiche. Già il 25 febbraio 1927 era comparso sull'organo della Federa-zione fascista senese un significativo articolo dal titolo «Per l'unità sportiva», il quale, richiamando l'attenzione sull'importanza dell'attività sportiva, esponeva chiaramente quelli che erano gli intendi-menti del regime nei confronti del variegato scenario dell'associazionismo sportivo senese.
Non veniva paventato lo scioglimento delle associazioni e dei sodalizi entro un unico soggetto provinciale, tuttavia era chiaro l'auspicio e in un certo senso l'anticipazione di una forma di direzione di gestione e progressivo controllo da esercitare sulle società sportive e sulle loro attività (12).
In pochi mesi l'Ente Sportivo Provinciale Senese fu istituito, con l'immediata adesione di numerose associazioni, tra le quali la S.S. Robur, l'Associazone Ginnastica Senese, l'Accademia d'Armi, il Moto club e la Società Ippica senese. Le società sportive vennero quindi poste sotto il controllo più o meno evidente del partito e dei suoi rappresentanti, all'interno di una strategia che non prevedesse più competizione, ma come emanazioni degli organismi politici che specializzassero specifiche attività sportive, secondo la direzione indicata dal regime.
Scorrendo l'elenco delle prime società sportive associate all'Ente provinciale ed i loro presidenti, appare evidente il grado di controllo da parte delle strutture del regime ed in taluni casi direttamente dalla stessa Milizia: se lo stesso Ente provinciale era fin dalla sua costituzione presieduto dall'on. Baiocchi, segretario provinciale della Federazione fascista senese, già nel luglio 1927 si procedeva alla nomina del nuovo consiglio direttivo della S.S. Robur, ratificata dalla segreteria federale. Vice presidente veniva nominato il Seniore Gino Tozzi, ufficiale della Milizia che di lì a pochi mesi avrebbe assunto il comando della legione.
Anche altre realtà sportive assistettero nei mesi successivi alla nomina di ufficiali della M.V.S.N. nei propri direttivi: la Società sportiva Poliziana di Montepulciano, alla cui presidenza venne nominato il centurione Egisto Valentini, la società Pro Educazione di Sinalunga, con presidente il capo squadra Mario Baccheschi del locale manipolo. Il controllo sulla direzione dei sodalizi sportivi e sull'intera organizzazione dell'attività sportiva nella provincia, ottenuto mediante l'esautorazione del libero associazionismo, la canalizzazione dell'attività giovanile e dilettantesca entro strutture e soggetti emanazioni del partito e il perseguimento di una politica dello sport che si attenesse rigorosamente ai canoni determinati dalle esigenze del regime, rappresentarono da un lato l'effetto più immediato dell'intervento del fascismo sullo sport senese.
Allo stesso tempo non si può disconoscere che l'importanza attribuita dal regime allo sport presuppose una politica di cultura sportiva di massa, che consentì ad un numero sempre più elevato di giovani, provenienti anche da zone rurali e periferiche e quindi meno attrezzate per l'attività sportiva, di cimentarsi, pur inquadrati nelle strutture del regime, e di svolgere una disciplina sportiva. In occasione della prima gara di cross-country, organizzata dall'Associazione Ginnastica Senese nel marzo 1928 su di un percorso di cinque chilometri con partenza dal campo sportivo militare, e riservata alle società dopolavoriste ed agli iscritti alla M.V.S.N., avanguardisti e militi partecipano in gran numero. Ben 704 avanguardisti partecipano, nell'aprile successivo, nel corso della tradizionale Festa della Primavera dell'Associazione Ginnastica Senese, e al cross-country ciclistico Coppa Adolfo Baiocchi, questa volta organizzato dalla S.S. Robur.
La capillare distribuzione delle organizzazioni del partito in ogni fascia d'età consentì un rapido quanto immediato inquadramento di un numero rilevante di giovane nel nucleo sportivo della legione; particolarmente attivo nelle discipline del ciclismo, della corsa campestre, della scherma e della ginnastica, esso godette di un ulteriore impulso dalla strutturazione delle istituzioni giovanili fasciste nella provincia, e dalla presenza del Gruppo Universitario Fascista. Il 27 maggio 1928 a Siena ebbe luogo la prima polisportiva provinciale avanguardista, che vide la partecipazione di oltre quattro-cento giovani cimentarsi nelle gare di velocità su cento e quattrocento metri e nella corsa campestre, nel salto in alto e in lungo, nella staffetta ciclistica e in una esibizione di pentathlon che prevedeva anche il tiro con la carabina; dal 7 al 9 settembre suc-cessivo la squadra della 97.a legione con l'istruttore capo manipolo Forni prendeva parte per la prima volta al Concorso Ginnastico tra le forze fasciste toscane ad Arezzo, riscuotendo un buon successo. Il risultato degli sforzi profusi in direzione della normalizzazione dei rapporti con le forze armate, dell'affermazione della propria presenza nella società, della organizzazione della propria struttura e della penetrazione capillare nel territorio provinciale iniziava quindi a dare le prime positive conferme.
Il 23 marzo 1927, in occasione della celebrazione dell'ottavo anniversario della fondazione dei Fasci di combattimento ebbe luogo la prima Leva fascista, istituita dal Gran Consiglio per suggellare il passaggio dei diciottenni nelle fila del partito e della Milizia e dei balilla in quelle degli avanguardisti: quasi mille avanguardisti della provincia facevano il proprio ingresso nel partito e si ponevano a disposizione della Milizia. Nel corso degli anni la data di celebrazione della Leva sarebbe stata variata più volte, e dal 1929 venne fissata in concomitanza con la celebrazione del Natale di Roma, in uno spirito di continuità ideale con il mito della romanità.
Il 1927 dette alla Legione due occasioni per affermare le proprie capacità di organizzazione e per dimostrare la compattezza dei reparti, in occasione della visita a Siena del segretario nazionale del Partito Fascista Augusto Turati in maggio, e per la sfilata a Roma in ottobre nel corso dei festeggiamenti per il quinto anniversario della marcia su Roma.
La visita di Augusto Turati a Siena ed Abbadia San Salvatore, il 7 e l'8 maggio 1927 rappresentò per il partito e per la sua struttura una grande occasione per dimostrare la propria capacità di mobilitazione, con il concentramento di tutte le associazioni e le organiz-zazioni provinciali; per la Milizia, chiamata ad una rivista militare nel corso del programma della visita del segretario del partito, la prima opportunità di mobilitazione di tutti i reparti e la possibilità di affermazione come soggetto con pari dignità di una forza armata. La legione, radunata per la rassegna al completo dei propri reparti, seppe trarre il massimo vantaggio dall'occasione per una prova di coesione e compattezza (13). La dislocazione dei reparti della 97.a Legione era la seguente: I Coorte a Siena, II Coorte a Poggibonsi, III Coorte a Piancasta-gnaio, IV Coorte a Montepulciano, V Coorte a Trequanda. La sede delle centurie era invece la seguente: Siena (I e II), San Gimignano (III), Poggibonsi (IV), Colle Val d'Elsa (V), Castellina in Chianti (VI), Piancastagnaio (VII), Abbadia San Salvatore (VIII), S. Quirico d'Orcia (IX), Montepulciano (X), Chianciano (XI), Cetona (XII), Montisi (XIII), Rapolano (XIV), Sinalunga (XV), Montalcino (XVI).
Pochi mesi dopo, la Legione ebbe la sua seconda opportunità di confermare la propria affermazione; in occasione delle celebrazioni del quinto anniversario della marcia su Roma, il reparto venne passato in rassegna dallo stesso Mussolini lungo le vie dell'Urbe. La stessa partenza della legione da Siena, il giorno 26 ottobre, rappresentò per il comando l'occasione di una nuova affermazione della Milizia come soggetto che, degno del rispetto e della considerazione delle altre forze armate, poteva ragionevolmente porsi in una posizione di parità rispetto ad esse; dopo essere sfilata con i reparti al completo per le vie cittadine preceduta dal labaro della Legione e dal Comando, la legione venne solennemente salutata dal comando del 5° reggimento bersaglieri nel corso di una cerimonia presso la caserma S. Barbara (14).
Il contradditorio spirito di collaborazione con l'esercito ed il suo ondivago andamento sembrarono pochi mesi dopo trovare finalmente una soluzione, sancita dalle parole pronunciate da Mussolini il 1 febbraio 1928 di fronte agli ufficiali della Milizia, in occasione della celebrazione del quarto anniversario della sua fondazione. Nelle cronache dei fogli d'ordine delle segreterie federali fasciste venne dato ampio risalto alle parole del Duce, con le quali veniva annunciato l'inquadramento di reparti delle camicie nere all'interno delle unità dell'esercito. Si trattava di dichiarazioni di grande impatto e particolarmente rilevanti; con esse il capo del fascismo annunciava l'inquadramento dei reparti di camicie nere all'interno delle unità dell'esercito e sanciva il completamento del processo di integrazione tra la Milizia e le altre forze armate. Tale integrazione, seppur poco più che formale, sarebbe stata realizzata solo dodici anni dopo, ed in conseguenza della necessità di compensare la debolezza delle divisioni di fanteria, uscite fortemente indebolite dalla riforma del 1939; neppure in occasione del conflitto in Etiopia essa trovò efficacia, dal momento che pur trovandosi schierati congiuntamente lungo i due fronti della guerra, i reparti di camicie nere e le unità dell'esercito rimasero organicamente separati.
E' innegabile tuttavia che, pur rappresentando a posteriori solo uno dei passaggi di una strategia poco coerente ed affatto efficace nei confronti della Milizia, in un delicato momento del processo di consolidamento della forza armata fascista, il discorso di Mussolini fu in grado di generare un generale e diffuso sentimento di approvazione tra i reparti (15). Nonostante i propositi e le aspettative suscitate, la realtà quotidiana appariva ancora ben lontana dalle prospettive che il regime paventava; lo status degli appartenenti alla Milizia era ancora in buona parte incompleto e non adeguato al ruolo che almeno ufficialmente veniva loro affidato. Ancora sul finire del 1927 infatti non era stata chiarificata la modalità della chiamata in servizio degli appartenenti alla Milizia e le sue applicazioni nei confronti dei rapporti tra il milite ed il proprio datore di lavoro, sia in termini retributivi che in termini contrattuali.
Un resoconto di politica nazionale ripreso da «Milizia Fascista» e pubblicato il 13 novembre 1927 sull'organo della Federazione provinciale fascista dava ampio risalto all'accordo finalmente raggiunto per il trattamento economico dei militi chiamati in servizio, tra le Corporazioni Nazionali dei datori di lavoro, la Confederazione Nazionale dei sindacati fascisti ed i rappresentanti del Comando Generale della M.V.S.N., grazie all'opera di mediazione da parte del sottosegretario alle Corporazioni Bottai (16). L'accordo raggiunto prevedeva che le chiamate in servizio dei militi avvenissero mediante l'invio di una cartolina rosa a seguito del quale il precettato aveva l'obbligo di rispondere ed il datore di lavoro l'obbligo di mettere il richiamato in libertà, per tutta la durata del servizio, come indicato dall'autorità della Milizia nel tagliando rilasciato; un differente grado di obbligatorietà era invece espresso dalla cartolina bianca, che rappresentava un semplice invito a prendere servizio e che non prevedeva l'obbligo per il datore di lavoro di lasciare in libertà il milite e che solo in caso di accoglimento della richiesta si trasformava in precetto.
L'accordo specificava inoltre che, a decorrere dal 28 ottobre 1927, il trattamento economico in caso di richiamo in servizio presso il proprio reparto della Milizia dovesse essere uguale a quello previsto nei casi di richiami alle armi nelle altre forze armate, e che si convenisse che in assenza di norme legislative, i datori di lavoro fossero tenuti a corrispondere, per ogni giorno lavorativo, i due terzi del guadagno giornaliero ai militi richiamati in servizio con cartolina rosa, limitatamente ad un periodo non superiore alle venti giornate lavorative annue, oltre i quali i datori di lavoro erano sciolti dall'obbligo di retribuzione. La parte conclusiva dell'accordo stabiliva inoltre che il richiamo in servizio nella Milizia non potesse dare motivo al licenziamento o all'applicazione di condizioni di lavoro più gravose di quelle abitualmente affidate, per causa o in compenso del minor rendimento in conseguenza del richiamo in servizio.
Un ulteriore aspetto irrisolto che ancora rappresentava un ostacolo alla piena legittimazione della Milizia era quello relativo alle funzioni giuridiche degli appartenenti, pur a distanza di anni dalla sua costituzione; erano trascorsi già alcuni anni dalle prime manifestazioni di malumore per il ruolo subalterno che i militi erano chiamati a svolgere nelle occasioni di servizi di ordine pubblico e dalle diffuse rimostranze per gli impedimenti burocatiche che impedivano un regolare disimpegno dei servizi e delle attività istruttorie, senza che a questi fosse stato data adeguata soluzione. Pur in presenza di normative che specificavano il carattere paritetico delle funzioni tra un appartenente alla M.V.S.N. ed un membro delle forze armate o di pubblica sicurezza, ancora nel 1927 le centurie di Siena erano state mobilitate, sotto la direzione di agenti di pubblica sicurezza, per il servizio di vigilanza con posti di vedetta nel corso dell'allargamento della cintura daziaria della città. Il comando di legione, su sollecitazione del Podestà, aveva garantito la completa disponibilità dei reparti, tuttavia agli occhi dei più critici si era trattata dell'ennesima conferma della mancanza di legittimazione del ruolo della Milizia e della subalternità di questa nei confronti delle altre autorità civili e militari.
In questo irrisolto conflitto per l'affermazione e la legittimazione del ruolo giuridico dei militi si deve leggere l'ampio risalto dato sulle colonne dell'organo della Federazione fascista senese, su una sentenza dell'ottobre 1927 del tribunale di Forlì e del contenuto di un articolo di Alessandro Melchiori su Milizia Fascista, riportato integralmente. Nell'esporre le motivazione della sentenza inoltre, veniva sottolineato come i militi, accusati di aver assunto indebitamente pubbliche funzioni, avessero al contrario la facoltà di operare una perquisizione sul sospetto, individuo pericoloso per i suoi sentimenti antifascisti, per i suoi precedenti e per il sospetto fondato che esso portasse in quel giorno armi senza giustificato motivo. Avevano agito legittimamente anche se non ordinate in servizio, in virtù del fatto che fosse stata tolta ogni differenza funzionale tra Milizia nazionale, pubblica sicurezza e carabinieri reali.
Se nella provincia di Siena, eccetto gli occasionali episodi avvenuti nel 1925, non si verificarono diretti interventi di appartenenti alla Milizia fu dovuto alla presenza affatto capillare, ad eccezione di alcune zone della Valdelsa e della Valdichiana, di una articolata struttura di opposizione al regime e all'attività di repressione nei confronti di gruppi antifascisti o di elementi isolati svolta dai carabinieri o dalle forze di pubblica sicurezza. Anche in questi casi, si trattava comunque della sola opera di gruppi clandestini di ispirazione comunista, unica forza politica organizzata in un panorama che aveva visto il repentino dissolvimento delle altre associazioni partitiche o movimentiste già a seguito delle leggi del 1926.
In un quadro provinciale ancora frammentato, nel quale gli indizi della nascita di un consenso e dell'affermazione della piena identità della Milizia, favoriti dalla capillare penetrazione ed inquadramento imposti alla società, ancora contrastavano con gli irrisolti problemi della subalternità alle altre forze armate e dell'affermazione del suo stesso ruolo di elemento fondante della struttura del regime. Dopo l'abbandono della carica di comandante da parte del Console Giovanni Mascaretti nel dicembre 1927, la Legione assistette al succedersi di tre ufficiali al suo comando in un lasso di tempo di pochi mesi.
La carica venne assegnata il 2 maggio 1928 provviso-riamente al Seniore Gino Tozzi, già comandante della Prima Coorte di Siena, per poi essere definitivamente assunta dal Seniore Ferdinando Ciani nel settembre successivo. Anche nel corso di questo periodo di transizione, la legione seppe dare conferma del grado di disciplina raggiunto e delle proprie capacità: il 3 maggio, a pochi giorni dal suo insediamento, il Seniore Gino Tozzi guidava i reparti in una esercitazione tattica sulle alture di Lecceto presso Siena, con reparti della Prima Coorte e delle centurie di Siena, Sovicille e San Rocco a Pilli. Poche settimane dopo, presso il comando, si costituiva, sotto la guida del capo manipolo Francesco Bassi, il reparto radiotelegrafisti, che, primo esempio nella Milizia, utilizzava una stazione radio-grafica ad onde corte da campo tipo Coldpitts Coupled, capace di comunicazioni in fonia fino a 2000 chilometri, e una stazione radio-telegrafica trasmettente da campo.
Le manovre militari svolte nel Monferrato nel maggio 1928, che introdussero la presenza di reparti della Milizia come elemento costante e definitivo nelle esercitazioni delle forze armate, dopo l'episodico esperimento del 1926 presso il lago Trasimeno, acuirono il confronto tra i sostenitori della fratellanza di armi tra esercito e camicie nere e le posizioni più critiche nei confronti di questa possibilità. Come abbiamo potuto vedere, che questo si trattasse di un obiettivo che il regime si era posto come prioritario fin dalla costituzione della M.V.S.N. e che ciò rispondesse al disegno dello stesso Duce non appare dubitabile, tuttavia proprio l'incostante perseguimento di tale obiettivo da parte del regime e lasciò spazio a malumori e ad un mai sopito sentimento di insoddisfazione. L'estate del 1928 vide un confronto tra le diverse posizioni sui rapporti tra Milizia e forze armate particolarmente acceso e da un certo punto di vista persino inaspettato nelle analisi più critiche, se si considera che queste vennero espresse dalle colonne della stampa fascista e degli organi ufficiali del partito.
Le carenze strutturali ed organizzative della M.V.S.N. vennero messe in luce e stigmatizzate da un articolo non firmato e inaspettatamente critico, pubblicato sulle pagine del bisettimanale della federazione provinciale senese; l'estensore poneva la propria analisi sull'organizzazione e sui quadri della Milizia, e concentrava l'articolata disamina delle criticità e delle proposte di soluzione, evidente sintomo di un malessere ancora diffuso entro i reparti di camicie nere, ancora privi della pari dignità rispetto alle altre forze armate e bisognosi di una profonda rifondazione per ottenerla. Le sempre più frequenti immissioni di ufficiali in congedo dalle forze armate ai reparti della M.V.S.N., nella quale conservavano il grado e finivano per ingrossare le fila dei comandi, rendevano più improbo lo sforzo di ammodernamento delle strutture, degli equipaggiamenti e dei reparti stessi; la loro provenienza ed il loro poco ortodosso percorso politico ed ideologico rispetto al resto dei quadri e dei gregari, aveva finito per acuire le differenze e ampliare la distanza tra Milizia e forze armate. La critica si spingeva fino alla richiesta di un decentramento amministrativo dei reparti, in grado di alleggerire il peso del mantenimento dei singoli comandi, eccessivamente gravoso per lo stato e privo di un controllo effettivo, che avrebbe consentito di potenziare la Milizia, grazie a corsi di istruzione regolari, marcie, completamento dell'equipaggiamento, assicurando quindi l'affiatamento, l'allenamento, la coesione e la forza dei reparti. In pratica, l'ottenimento dello stesso risultato qualitativo di un reparto del regio esercito, con il quale sarebbe stato possibile confrontarsi da una posizione paritetica.
A tale analisi si contrapposero coloro ai quali la partecipazione di reparti di camicie nere alle manovre dell'esercito e la decisione di costituire entro le legioni le coorti-battaglioni da assegnare alle unità divisionali dell'esercito avevano stimolato la convinzione che l'obiettivo fosse realizzabile entro breve tempo e che gli studi, pur allo stadio iniziale, da parte del Comando Generale per permettere l'impiego dei reparti di camicie nere in linea con le altre forze armate fosse a buon punto. Obiettivo che per altri posizioni ancora più concilianti sembrava già essere stato raggiunto; come riportato in un breve resoconto dell'articolo di Arnaldo Mussolini su Il Popolo d'Italia dal titolo «Manovre e quadri» a commento delle manovre nel Monferrato, nel quale l'inserimento dei reparti di camicie nere nelle unità divisionali veniva giudicato definitivo, in grado di zittire definitivamente coloro che speravano in un dissidio profondo tra esercito e Milizia. Ai detrattori di questa coesione, Arnaldo Mussolini replicava con il paventare la fraternità di armi e di animo tra elementi di una stessa fede, dominati dallo stesso sentimento del dovere, disciplinati dalla stessa gerarchia; l'integrazione delle coorti di camicie nere con le unità dell'esercito, e della Milizia con le forze armate in senso assoluto, rappresentavano quindi per queste tesi un obbiettivo raggiunto, ed in esse non vi era accenno ad eventuali mancanze organizzative o strutturali dei reparti.
Una terza posizione, che non rappresentava un'alternativa alle precedenti, e neppure ne perseguiva un compromesso, ma che probabilmente si delineava come la più aderente alla effettiva situazione e la più realistica che si prospettava alla Milizia, venne espressa dal Seniore Ivan Scalchi, ufficiale della M.V.S.N.; la Milizia avrebbe potuto disporre di reparti d'assalto, dipendenti in tempo di pace dalla gerarchia della Milizia, mentre, indetta la mobilitazione, sottoposte alle complete dipendenze dell'autorità militare. Ciò con lo scopo di sostituire l'esercito nella maggior misura possibile nel servizio territoriale, nella tutela dell'ordine pubblico, nella diffusione delle armi e dell'istruzione militare e per ultimo fornire alle unità di pace che devono mobilitarsi un eccellente contingente di precettati. Una posizione che esponeva allo stesso tempo un quadro di incertezza e di possibilità, enunciando quelle che sarebbero state le prospettive di ruolo ed impiego della Milizia, senza alimentare ottimistiche previsioni nè trascendere in critiche dettate da malumori e diffidenze.
Il 24 settembre 1928 intanto a Siena veniva posto fine al periodo interinale, con la nomina del nuovo comandante della legione, Seniore Ferdinando Ciani, carica che avrebbe mantenuto fino al 1936. La fine degli anni venti rappresentò per la Legione l'inizio della fase di definitiva consacrazione: il monopolio dell'istruzione premilitare che le sarebbe stato entro pochi anni concesso, un rinnovato impegno nelle attività di addestramento, il coinvolgimento di sempre più ampie fascie di popolazione ed ulteriori occasioni per affermare la propria identità di forza armata, rappresentarono la base della quale poter impostare la promozione di un'immagine monolitica della Milizia.
La legione poteva contare su di una forza di 122 ufficiali e circa 3.000 militi, ripartiti su cinque coorti provinciali; una forza rilevante, che cominciava ad essere finalmente distribuita in modo capillare sul territorio, ma che per la sua stessa dimensione presentava ancora problemi di ordine disciplinare e di immagine non rispon-dente a quelli che erano i canoni desiderati dal regime e che vennero risolutamente affrontati.
Il Consiglio di disciplina della legione, istituito nel dicembre 1928 e presieduto dallo stesso comandante Ciani, deliberava in quello stesso mese la radiazione dai ruoli delle camicie nere Alessandro Marchi e Giulio Faleri del manipolo di Sarteano e le dimissioni d'autorità per il capo squadra Angelo Pavolucci e della camicia nera Giovanni Fedi del manipolo di Montisi per "incomprensione dei doveri di appartenente alla Milizia"; analoga motivazione nel febbraio 1929 era determinata a carico delle camicie nere Tito Lorenzini, Francesco Riggio, Eraldo Cialdai e Lorenzo Fregoli del manipolo di Pienza. Ancora nel febbraio 1929 veniva dimissionato d'autorità il capo squadra Gogliardo Ceccarelli della centuria mitraglieri per "scarso senso del decoro ed incomprensione dei doveri di appartenenza alla Milizia", e cancellati dai ruoli per "disinteressamento dei doveri di appartenenza alla Milizia" le camicie nere Werther Demi, Aldo Donnini, Marco Gabrielli, Giulio Lucchi, Vasco Ugolini, Domenico Corsi, Gabriele Zoppis, Ugo Chesi, tutti appartenenti alla I centuria.
Nel marzo 1929 venne dimissionato d'autorità la Camicia Nera Ferdinando Baccheschi del manipolo di Sinalunga per "scorrettezze nella vita privata", e nell'ottobre infine analogo provvedimento disciplinare fu determinato a carico del Capo Squadra Callisto Vezzi e delle Camicie Nere Umberto Dei, Giocondo Mugnaini e Leopoldo Pacchiarotti, tutti appartenenti al manipolo di Casole d'Elsa, per "incomprensione dei doveri di appartenenza alla Mili-zia". La comunicazione di tali provvedimenti disciplinari, inizialmente pubblicata sull'organo di stampa della Federazione fascista provinciale, non ebbe seguito negli anni successivi e ciò contribuì a fornire all'opinione pubblica una immagine monolitica della Milizia.
I reparti, oggetto anche di sistematiche visite ispettive del comandante della legione Ciani, promosso nell'aprile 1929 al grado di Console, vennero in questo modo radicalmente riorganizzati; nel maggio successivo, il comando di legione impartiva inoltre precise disposizioni ai reparti subordinati di provvedere alla smobilitazione d'autorità di numerosi militi non ancora perduti in forza, malgrado essi avessero da tempo superato i limiti di età fissati in cinquanta anni.