Il Telegrafo del 16 aprile 1936
La...scassatura di Ras Cassa

Amba Tzellerč (Tembien), marzo


Uno dei vecchi conti e' definitivamente liquidato. La potente armata di Ras Cassa, scassata a dovere dalle truppe del 3.o Corpo d'Armata Nazionale e del Corpo d'Armata indigeno, attende ora l'ultima incassatura, quella cioe' che dopo la morte porta alla tomba.
Quattro giorni di lotta continua, un piano strategico, mirabilmente concepito, la potenza delle nostre armi, il prezioso compito svolto dall'Aviazione e l'ardimento e la volonta' dei soldati, delle Camicie nere e degli ascari, hanno avuto ragione dell'esercito nemico. Lo hanno battuto, questo esercito, poi battuto ancora, quasi decimato e ridotto a poche pattuglie vaganti per le montagne del Tembien e destinate prima o poi a cadere sotto i nostri colpi, strette come sono in una morsa di ferro e di fuoco, impossibile a rompersi o a superarsi.
Dall'alto dell'Amba Tzellerč, lungo la quale le legioni della "23 Marzo" hanno aspramento combattuto e provato duramente il nemico, nel giorno sacro della battaglia di Adua, le Camicie nere dell' "Implacabile", sono balzate per l'ultimo scatto, hanno raggiunto il villaggio di Abbi Addi, vinte le ultime resistenze avversarie e date alle fiamme le capanne, i tucul, i ghebě, che costituiscono un importante centro del Tembien, roccaforte militare degli abissini.

Il buongiorno agli abissini

...lo hanno dato per primi i nostri sempre piu' bravi artiglieri. Poi e' stata la volta dei bombardieri, dei mitraglieri e infine i fucilieri sono corsi fin sotto le linee nemiche per scovare l'avversario, batterlo e fugarlo.
La Divisione, all'alba, ha lasciato il Gheva' e ripresa la marcia. Attraverso gli interminabili saliscendi delle doline sabbiose, in lungo e in largo per immensi campi di seta, di cotone e di peperoni, qua e la' costeggiando torrenti e rivoletti d'acqua limpida, la "23 Marzo", distesi i battaglioni sopra un fronte di tre chilometri, ha avanzato verso localita' ben precisate, verso gli stessi luoghi ove nella notte ardevano i falo', accesi quasi a mo' di sfida dalle avanguardie dell'armata di Ras Cassa.
Una sola ora e' servita perche' le nostre piccole artiglierie giungessero a distanza di tiro. E dopo quest'ora i 65-17 hanno cominciato il loro concerto, accompagnato, poco dopo, dalle bombarde e dalla mitraglia.
Un colpo, due, tre colpi. Una serie di scariche di batteria; e avanti! Trainati a forza di braccia, i cannoncini superano dislivelli e fanno si' che l'avanzata proceda senza soste. Si combatte, ma non ci si ferma. l' "avanti" dei comandanti e' imperativo: occorre giungere prima di notte sull'Amba Tzellere', e vi giungeremo. Il nemico non conta. Le avanguardie di quel grosso che dovremo accerchiare non possono e non devono ostacolare l'avanzata. E non la ostacoleranno.
Scovati dall'artiglieria, dalle bombarde e dalle raffiche di mitraglia, gli abissini sono costretti a scoprire le loro batterie ed accettare battaglia in campo aperto.
A sbalzi veloci, le Camicie nere, che, nell'impeto dell'attacco hanno superato pure i velocissimi ascari che marciano di avanguardia, affrontano il nemico e, lungo i tre chilometri del fronte mobile, si accendono scaramuccie e combattimenti veri e propri.
Gli etiopi - comandati dal figlio di Ras Cassa - non reggono al cozzo delle Legioni e si ritirano, incalzati dalle canturie e specialmente dagli arditi plotoncini di esploratori.
Tra gli altri, l' 82.o Battaglione della 135.a Legione e' quello maggiormente impegnato. Di fronte ad un nemico armato modernamente ed agguerrito quanto mai, le Camicie nere della Legione "Indomita" fanno prodigi di valore. Cinque, dieci metri per volta - cio' per due ore - il terreno conteso dagli avversari viene conquistato a prezzo di sangue e di vita.
Nascosti tra i cespugli e dietro massi, inerpicati fin sui piu' alti alberi, gli abissini sembrano non voler cedere ma i volontari del 188.o vogliono, devono passare e passano. Per un uomo che cade, dieci prendono il suo posto, per una mitragliatrice che s'inceppa, dieci pistole sparano simultaneamente: i feriti rimangono al loro posto di combattimento, i morti servono ad incitare i vivi nell'esempio del loro sacrificio. E le centurie, il battaglione, la Legione, passano. La resistenza piu' importante e' vinta ed il fronte e' nuovamente una sola linea di uomini, di volonta', di armi.
Ora a destra, ora a sinistra, spesso al centro, S.A.R. il Duca di Pistoia e' sempre vicino ai suoi militi, ai "miei cari fratelli", come ama dire il nostro Augusto Comandante. In camicie nera, con i nastrini innumerevoli di tante decorazioni, tra le quali spiccano quelle del fascista della vigilia, il Principe Reale e' sempre presente in prossimita' dei luoghi ove il combattimento divampa e sempre la sua aristocratica figura solleva mormorii di ammirazione tra i combattenti, e serve da solo a stimolare gli uomini meglio di ogni incitamento.
Tutti i legionari della "23 Marzo" amano il comandante. E tutti sarebbero pronti a morire ad un suo cenno. Perche' il Principe, questo Principe, fascista della vigilia, questo generale in camicia nera, sa farsi amare e stimare dal soldato. Piu' che per la sua origine reale, piu' che per la sua intelligenza, le Camicie nere amano il "nostro Principe" per il suo amore di padre e di fratello maggiore, per il suo sorriso sereno e spontaneo che sempre aleggia sulle sue labbra e nei suoi occhi. Dopo il Re, dopo il Duce, il Legionario della 1.a Divisione e' fiero di servire agli ordini di un Comandante che in se' sintetizza le tradizioni e le glorie di Casa Savoia, la piu' pura fede fascista e le glorie presenti e passate della Milizia.
E' notte quando i battaglioni apertisi il varco tra le fila nemiche e battuto in pieno l'avanguardia dell'Armata abissina, raggiungono la cima dell'Amba Tzellere' ed oeprano il congiungimento con gli ascari del Corpo d'Armata Indigeno. Il nemico e' ormai stretto in una tenaglia di fuoco, la sua sorte e' segnata e domani e dopo domani le schiere avversarie tenteranno inutilmente di infrangere il cerchio che le isola e cozzeranno contro le nostre posizioni, seminando il terreno di morti e di feriti. Perche' sulle posizioni tenute dalla Divisione "Implacabile" sta scritto "Non si passa!". E "non si passa" dicono le camicie nere e, sembrano dirlo pure le nostre armi che per tre giorni, senza posa, hanno formato i ferrei anelli di quella catena che ha prima stretto e poi soffocato il nemico.
Nella sua tenda da campo, il Principe veglia. Riceve i rapporti dei Comandi di Legione, impartisce ordini per l'azione del mattino successivo e scrive ai "suoi militi" parole di gioia e di incitamento.
Quelle parole, quelle frasi, che lette domani in linea, daranno a tutti nuove energie, faranno dimenticare i sacrifici e stringeranno maggiormente quel nodo di affetto e di reciproca stima che lega il Reale Comandante a tutte le Camicie nere della "23 Marzo".
E l'ordine del giorno del Principe sara', come ieri, come sempre, il piu' bel premio ai diecimila Legionari del Duce, che, "implacabili" come la loro divisione, non chiedono che di combattere e vincere.

La morsa di acciaio

Due Corpi d'Armata, quello nazionale di S.E. Ettore Bastico e quello indigeno di S.E. Pirzio Biroli hanno stretto il nemico in una morsa di acciaio e lentamente, ma inesorabilmente, lo soffocano.
Soldati, Camicie nere ed ascari rivaleggiano tra loro per valore e combattivita'. In tutti i settori del vasto fronte si lotta accanitamente e accanitamente si respingono i cento disperati assalti avversari.
Gli abissini cercano una via d'uscita e si gettano con foga contro le nostre linee, ma sempre invano. Le truppe italiane fanno prodigi d'eroismo e di resistenza. La fame e la sete non sono sentite dai combattenti, perche' il desiderio di vincre e' tanto che domina da se' ogni altro bisogno.
A colonne di migliaia di uomini, i guerrieri di Ras Cassa tentano prepotentemente di uscire dal cerchio che va sempre piu' stringendosi, ma sempre sono respinti e messi in fuga.
I pochi valichi ove gli italiani non sono giunti a causa delle condizioni del terreno, sono sorvolati costantemente da squadriglie di aerei. L'aviazione provvede a saldare e congiungere i pochi anelli spezzati della poderosa catena.
La "23 Marzo", dall'alto dell'amba dove ha preso posizione, domina la vallata sottostante e le alture vicine. Artiglieri e mitraglieri non danno un momento di tregua al nemico; lo scovano quando si nasconde, lo respingono quando assalta, lo decimano quando fugge.
La rapida avanzata nella valle del Gheva', con la conseguente conquista dell'Amba Tzellere' e la presa di posizione su questa montagna, ha permesso alla Prima Divisione di schierare le legioni e le batterie sui ciglioni rocciosi, dall'alto dei quali si puo' combattere e uccidere senza tema o almeno con poca probabilita' di essere colpiti.
Infatti le perdite nostre sono addirittura irrilevanti, nulle del tutto se si considerano poi quelle avversarie. Quanti abissini siano caduti - quante migliaia - non e' facile dirlo, ma e' facile calcolare la portata della grave sconfitta nemica, solo soffermando un po' gli sguardi sui corpi degli etiopi ammucchiati, piu' che spanti, lungo i sentieri montani, in mezzo ai boschetti e nel mezzo delle gole.
Puo' ora combattere quasi al sicuro, la "23 Marzo", perche' ieri seppe lanciarsi avanti, allo scoperto, con ardimento e con sprezzo del pericolo. I morti ed i feriti che insanguinarono le sponde del Gheva', sono i maggiori artefici della vittoria. Ai Caduti nel primo giorno di battaglia va l'onore e il merito di aver voluta e forgiata quella vittoria che oggi si leva superba sulle schiere dei legionari.

Dino Corsi