Il Telegrafo del 1 agosto 1936
Dalla capitale eritrea alla tana del leone di Giuda (IV parte)



( IV )


Ritorno in famiglia

Oltre Quoram è il famoso "Passo della Morte". Numerose macchine, avanti che avvenisse la definitiva sistemazione della strada, sono finite in fondo ai burroni, che si aprono ai lati della camionale. Oggi il transito è sicuro, se pure gli autisti devono fare miracoli per destreggiarsi tra l'una e l'altra curva e scendono senza incidenti i mille metri, che dall'alto del passo portano alla piana di Cobbò.
Impieghiamo cinque ore per giungere ai piedi del monte. Una colonna interminabile di autocarri, tutti carichi di tonnellate di merci non può procedere che a passo d'uomo per le spire tortuose e paurose della strada. Più di una volta, nello sporgere la testa oltre le assi di abete, in mezzo alle quali ci siamo incuneati, e nel mirare il fondo valle, un brivido di paura ci corre per la schiena. Un attimo di distrazione dell'autista vorrebbe dire un salto di qualche centinaio di metri. Un bel salto indubbiamente, ma meglio non pensarci...
Guadato il torrente Golimà (il ponte è in costruzione) entriamo nella piana di Cobbò. Qui le macchine possono volare. Gli autisti hanno facoltà di sbizzarrirsi. La strada, la vera strada, quella costruita dagli uomini, non è ancora aperta al transito. Necessitano ancora pochi ritocchi, rimangono alcuni tratti da massicciare, prima che gli autocarri possano inoltrarsi per il quasi rettilineo nastro, costruito in poco più di un mese dalle camicie nere della "23 Marzo" e dai Gruppi "Diamanti" e "Mantegna".
Fino ad oggi, e forse ancora per una settimana, gli autocarri e le vetture da turismo hanno via libera nella piana, senza seguire una pista ben tracciata, le macchine avanti tra la boscaglia di alberi altissimi, ma distanti l'uno dall'altro, che ricopre tutta la regione.
La corsa è veloce e maggiormanete lo sarebbe se il terreno, a tratti sabbioso, non consentisse il sollevarsi di nuvole di polvere rossastra di ostacolo alla visibilità.
Sulla sponda destra del fiume Allà incontriamo i primi reparti della "23 Marzo". I legionari stanno gettando il guado sulle acque, dopo aver portato a termine il tratto di strada loro assegnato. Lavorano con l'acqua fino ai ginocchi, ma sono fieri della loro opera laboriosa. Opera di pace e di progresso, dopo le tante oepre di guerra.
Ormai, via via che la nostra marcia prosegue, ci interniamo nella zona ove è di fattivo ed operoso presidio la nostra Divisione. Sfilano davanti ai nostri sguardi gli accampamenti delle Legioni e dei Battaglioni, quelli delle batterie e delle varie sezioni; lungo la strada, curvi a dar di piccone, rivediamo i compagni di ieri, i camerati che in pace come in guerra dividono con noi la gioia e i disagi e pericoli della bella impresa africana.
Da un mese manchiamo ai reparti, ma sembra che la nostra assenza sia durata degli anni, tanta è la gioia che proviamo nel rivedere volti noti ed amati, e nel tornare a respirare quella atmosfera di ideale famigliarità che aleggia in tutti i campi della "23 Marzo".
Abbiamo fretta di raggiungere i nostri reparti, ove ci attendono gli amici più cari, i ricordi più belli. fretta di rivedere la tenda, la casa che ci ha ospitati per tanti mesi, di vedere dove i camerati hanno piantato i teli, di tornare tra le pareti, deboli ma ospitali, di quello che è il nostro palazzo di soldati.E' un pò il desiderio della famiglia che ci spinge a correre, a far correre l'autocarro.
L'autista, al pari nostro, ha fretta di giungere a Uoldia, per lasciare il suo carico e riprendere domani la via del ritorno. Perciò, quando al blocco di Zaiffen un solerte brigadiere dei carabinieri ci consiglia a non proseguire oltre per non inoltrarci con l'oscurità nella paurosa gola di Afellitì, tutti d'accordo - autista e viaggiatori, ascari compresi - insistiamo per continuare il viaggio. Il bravo sottufficiale della Benemerita si stringe nelle spalle e, dopo un incoraggiante "in bocca al lupo", ci lascia via libera. Sapremo domani che il vigile brigadiere, preoccupato della nostra caparbietà, non si è limitato all'augurio di buona fortuna, ma ha telefonato ai suoi colleghi, stazionati all'uscita della gola, avvertendoli, ad ogi buon conto, della nostra presenza nella zona ritenuta, a ragione o a torto non so, pericolosa.
Imbocchiamo il canalone, dopo aver guadato il quinto o il sesto torrente della giornata, che è già notte profonda. La strada, stretta tra le alte roccie, sale, dolcemente. I fari della macchina rompono l'oscurità che comincia a farsi opprimente. Non un segno di vita, ma il silenzio, il buio della sera e le roccie, che al lume dei fanali prendono forma quasi umana, formano un assieme pauroso che opprime e fa fremere.
Seguendo l'esempio datoci dagli ascari, sempre previdenti, carichiamo i nostri moschetti e ci teniamo pronti ad ogni sorpresa. Ma la sorpresa non giunge, almeno da parte di chi si poteva temere. E' invece la pioggia che ancora una volta viene ad interrompere la nostra marcia.
Improvviso e con una violenza insolita, il temporale si scatena. Lampi e tuoni si alternano agli scrosci che diluviano dal cielo. La gola, illuminata dalle scariche elettriche, diviene una paurosa fornace, ove l'acuqa, come un torrente di lava, sembra voler tutto travolgere e distruggere. Uno, due, tre fulmini cadono a pochi metri dalla macchina. E' giocoforza fermarsi e trovar riparo. La macchina sosta sotto un roccione e noi partiamo verso un accampamento che si scorge, attraverso i suoi lumi, a oche centinaia di metri di distanza.
Bagnati fino al midollo, raggiungiamo le tende. I camerati fiorentini della 192.a Legione ci ospitano e così avvolti in coperte e mantelline, passiamo la nottata sotto un baraccone del deposito materiali.
Al mattino, dopo una sola ora di viaggio, siamo al villaggio di Uoldia. Finalmente!
Eccoci così tornati ai compagni e alla dura, ma bella vita del campo. Vita di guerra, anche se la guerra è finita. Vita che si conta ai nostri spiriti di soldati più di quella oziosa, riposante, ma priva di emozioni e di soddisfazioni, dell'Asmara.
I concittadini, i comprovinciali, i camerati tutti sono prodighi di abbracci, di saluti e di complimenti. E non manca - nella tenda dei senesi - l'immediata offerta di una buona colaziome, che divoriamo a quattro palmenti. Dopodichè, dato che la giornata sarà per noi di riposo e non prenderemo servizio che domani, accettiamo con entusiasmo l'invito a recarci, in compagnia di altri, a visitare il villaggio, la sue adiacenze e le famose grotte, al riparo delle quali il Negus diresse le azioni di Mai Ceu e dell'Ascianghi.
Cacciate due pagnotte ed una scatoletta nel tascapane, partiamo verso il centro di Uoldia. E' un giorno di mercato. Motivi di attrazione per chi è nuovo della zona non ne mancheranno, prciò le cibarie sono necessarie, dato che è previsto rimaner fuori...casa fino a notte.


(continua)

Dino Corsi