Il Telegrafo del 11 settembre 1935
Da Port Said a Massaua con i legionari senesi
Port Said, agosto
A Port Said abbiamo preso contatto con l'Africa. Un'Africa tutta diversa da quella che ci si attendeva.
Porto e città hanno una caratteristica tutta europea. Edifici in pieno stile razionalista, lunghe e spaziose strade arterie aperte al traffico più intenso, come possono esserlo solo quelle di poche città in Europa, abitanti di razza bianca nella quasi totalità ed una atmosfera di frequente italianità, creata dalle bandiere tricolori sventolanti ovunque e dall'entusiasmo indescrivibile dei nostri connazionali, ci hanno tenuto per qualche ora di essere soto l'illusione di essere ancora in Patria, di navigare nel mare nostro.
A Port Said, a Suez e lungo il tracciato del Canale, le manifestazioni di entusiasmo si sono succedute senza interruzione. A Port Sai è stato un delirio di italianità. Per ore e ore, la "Leonardo da Vinci" è stata stretta d'assedio da flottiglie di battelli e motoscafi. Tutti gli italiani residenti - e sono miglialia - hanno voluto portare il loro saluto ai fratelli, che dalla Patria lontana vanno verso le inospitali regioni dell'A.O. con una missione di civiltà romana e fascista.
Belle ragazze, belle come lo sono le ragazze italiane, hanno offerto ai militi ogni sorta di doni: dalle sigarette alla penna stilografica, dalla scatola di cioccolatini alla macchinetta per radersi. Molte di queste signorine, delle quali alcune corse al porto dalla vicina spiaggia, indosavano ancora il costume da bagno (lascio considerare il nostro entusiasmo...), si sono disfatte dei loro gioielli per farne omaggio ai militi.
E si sono scambiati indirizzi e fotografie: "Mi scriva!"
"Sicuro, non dubiti! Arrivederci a presto".
"Tenga questo per ricordo!". E giù un bel bacione, lanciato con tutta la forza delle...mani e giunto a destinazione a mezzo del vento.
Tra baci, canti e possenti "A noi!", la nave, dopo varie ore di sosta in porto, ha imboccato il canale che congiunge il Mediterraneo al Mar Rosso. Sventolare di fazzoletti tricolori, arrivederci commossi, fischi di sirene, rombare di motori e canti, canti infiammati di entusiasmo, canti della rinascita nazionale, della guerra e della rivoluzione, si sono alzati possenti dalle acque egiziane verso il cielo d'Africa a dire ancora una volta tutta la forza e la volontà delle legioni di Roma.
Durante la traversata del Canale, nuove manifestazioni di tripudio. Colonne di automobili pavesate di tricolori, lanciate a piena corsa lungo l'autostrada che ai margini del deserto segue la linea delle acque, hanno scortato la nave fino a notte inoltrata e si sono allontanate solo qualndo le condizioni del terreno hanno reso impossibile il proseguire.
Balilla, piccoli cari ragazzi!, ci hanno seguiti per chilometri e chilometri, sudando e sbuffando nello spingere le loro biciclette, dall'alto delle quali, sventolando grandi bandiere bianco rosse e verdi, ci salutavano, mentre le loro chiare voci si univano a quelle sonore dei volontari nel ripetere gli inni della Patria.
Abbiamo vedute famiglie intere di italiani, padre, madre, e tutta una nidiata di figli, schierate lungo i margini del canale, salutare il nostro passaggio con grandi cartelli riproducenti il sembiante del Duce e recanti scritte inneggianti all'Italia e al Fascismo. E mentre il "capoccia" alzava alzava in alto come per dire tutta la sua passione, i piccoli, quasi sempre in divisa dell'Opera Nazionale Balilla, irrigiditi in un attenti impeccabile, stendevano i braccini abbronzati dal sole e salutavano, con il saluto di Roma, i loro fratelli maggiori, mentre dalle loro fresche bocche usciva spontaneo il canto che mai avremmo pensato di udire ai margini del deserto egiziano:
Fischia il sasso
il nome squilla...
Sempre durante la traversata non è mancato il saluto delle pie suore di carità e degli umili francescani. I religiosi italiani, dalle pensiline, dalle finestre e persino dall'alto dei tetti delle loro missioni, hanno detto ai volontari insieme alle benedizioni e alla parola della fede, tutto il loro entusiasmo ed il loro sentimento di italianità. Ed il saluto di queste vedette avanzate della Religione di Cristo è stato ancora una volta quello di Roma.
Il saluto romano, ormai, è da Porto Said a Suez usato da tutti. Mercanti ebrei, battellieri arabi e sudanesi e perfino i cammellieri che abbiam scorti lungo le carovaniere della sponda sinistra del canale, stendevano il braccio al nostro passaggio, con tanta decisione ed energia, come certo non se lo sognano tanti italiani, che quando salutano a malapena portano la mano all'altezza del taschino della giacca.
Tempesta sul Mar Rosso
Dopo Suez, il mar Rosso. Nuovamente cielo e mare per giorni interi.
A bordo la solita vita spensierata. Il cinema e le varie orchestrine continuano a costituire i passatempi per nottambuli. I delfini, gli squali e gli stormi di uccelli marini sono, insieme alle docce a getto continuo, i diversivi diurni.
Salute, appetito, allegria e spensieratezza continuano ad imperaresulla nave della giovinezza. Unico fatto nuovo, il caldo. Dopo Suez il termemetro ha avuto un crescendo impressionante. Il torrido clima africano si è rivelato non insopportabile come usavano affermare i soliti bene informati, ma sempre di intensità rispettabile.
Sarà bene perà dire che l'aumento di temperatura non ha portato nessuna conseguenza dega di nota. Gli unici segni di questa variazione di clima si sono avuti sopra coperta dove le doccie fredde hanno aumentato di numero e di intensità, gli ultimi antinudisti si sono decisi ad abiurare per gettare al vento pantaloni e camicie per restare in calzoncini, e i più sensibili al calore hanno trasportato materasso e lenzuola per godersi il refrigerio delle notti africane.
Ma improvvisamente il refrigerio è venuto per tutti e, a dire il vero, in una forma poco gradita.
Ieri mattina, anzichè dalla solita e sempre noiosa trombetta, fummo svegliati da un insolito rumoreche si ripercuoteva per tutta la nave. La quale nave, poi, aveva un tale movimento ondulatorio, molto dissimile da quello che normalmente ci culla.
Un forte vento di Nord-Ovest, proveniente dalle coste dell'Asir, agitava le onde, le quali a loro volta investivano la nave, facendole ballare una "rumba", dapprima lenta e cadenzata e poi frenetica e con un ritmo tanto indiavolato che molti furono coloro che in questa circostanzasi rivelarono avversi al ballo e molto amanti delle cuccette, unico antidoto contro quel benedetto male. Le onde, questa volta più capricciose del solito, i presero la libertà di invadere il ponte, forse per ammirare da vicino e dall'alto quella maschia gioventù, per tanti giorni ammirata dal basso del loro letto. Il ballo continuò per un pezzo, tantochè all'ora di pranzo, unica volta in dieci giorni di navigazione, furono molti coloro che di fronte al dilemma di saltare il pasto...o di restituirlo ai pesci, preferirono restare in cuccetta e, una volta tanto, digiunare.
Nel pomeriggio - tutto ha fine - le onde ormai sazie si calmarono ed a bordo ripresa la vita normale.
Sole traccie della tempesta: l'aria refrigerata, qualche faccia palliduccia anzichenò e dei rifiuti...d'eccezione sparsi negli angoli più reconditi della nave, prontamente fatti scomparire dal personale di bordo.
A sera, tutto dimenticato. Cine, musica, canti...e razioni di vitto supplementari in barba al mare, alle onde e ai loro capricci.
Massaua, agosto
Finalmente ci siamo! Ancorati al largo del porto di Massaua, attendiamo il momento dello sbarco. Tra poche ore metteremo nuovamente piede sulla terraferma e, ciò che più conta, in quella terra italiana d'Africa, che tanto abbiamo desiderato calcare.
Dopo la tempesta di ieri la navigazione è proceduta nel più regolare dei modi. Attraverso l'arcipelago delle Daa Jac, prima, costeggiando il litorale eritreo, poi, ci siamo avvicinati alla meta.
Massaua, con tutto il biancheggiare delle sue caratteristiche costruzioni, ed il verdeggiare delle palme, è apparsa ai nostri occhi come una visione d'incanto, tutta colorata dalle luci del fantasioso tramonto africano che le fa da cornice nel momento in cui si presenta ai nostri occhi.
Il piroscafo ha già gettate le ancora e si è immobilizzato nelle placide acque del porto.
Sui due ponti di proravia e di poppavia, in coperta e in ogni dove di apre un qualsiasi spazio, che possa servire da osservatorio, i militi, incuranti del calore, si affollano per vedere, per ammirare.
L'attesa si fa sempre più ansiosa, tutti vorrebbero essere già a terra, ma nessuno si allontana dal proprio posto di osservazione, conquistato a forza di gomiti, nessuno si stanca di guardare la città vicina e l'andirivieni dei barconi e dei rimorchiatori in quel porto, ieri pressochè ignoto, oggi noto in tutto il mondo mercè la ferrea volontà di Colui che guida l'Idea.
Stanco di essere sballottato a destra e a sinistra, mi allontano dal parapetto sella nave e mi dirigo al centro del ponte.
Seduto sotto gi alberi della gru, scorgo un compagno della mia sezione, con il quale ho vissuto in comune durante i quattro mesi del campo.
E' uno di quei senesi, non troppo dissimili da me del resto, che hanno il Palio e le Contrade nel sangue , in ogni mese dell'anno, in ogni parte del mondo si trovano. Vedendolo solo e pensieroso, lo interrogo: A cosa pensi?
- A Siena. Lo rivedremo il Palio?
- Anche a occhio! E non vorresti rivederlo? L'anno venturo, subito. Se non di luglio, almeno di agosto.
Lui rimane un pò sopra pensiero e poi:
- Dove rimane Siena?
- Là - stendo il braccio verso Nord. Rimaniamo entrambi immobili, con lo sguardo fisso all'orizzonte, nella contemplazione di un punto immaginario. Un punto che lentamente sembra prendere consistenza e si ampli smisuratamente, tanto smisuratamente da divenire una città, una bella città con una torre che tocca il cielo, con una grande chiesa tutta di marmo bianco e nero.
La campana della nave, squillando nel segnale di adunata, ci richiama alla realtà delle cose. Mi scuoto, riprendo padronanza dei miei nervi, rivolto nuovamente al compagno, rispondo: "La c'è Siena, ma laggiù c'è l'Abissinia".
- "Già, mi risponde, l'Abissinia".
Rimane un istante pensieroso, e poi conclude:
- Intanto sarà bene vedere quella. Di Palii se n'è visti tanti.
Dino Corsi