Il Telegrafo del 3 dicembre 1937
L'inaugurazione del fortino dedicato alla memoria di Vittorio Leoncini
Gondar, novembre
L'operosa e pacifica attività dei Legionari senesi in Africa Orientale non ha tregua. Le formazioni della "Valanga" chiamate ad assolvere un compito di presidio, lavorano e si prodigano per rendersi degne dell'onore concesso di servire validamente la causa dell'Impero Fascista.
Nulla, in questo primo periodo di vita africana, è venuto a turbare la pace che regna nei nostri campi ed in tutta la zona ove il battaglione presidia ed opera.
Le voci corse - non sappiamo come - a Siena riguardo a scontri e combattimenti più o meno sanguinosi, sono false; come false sono le notizie concernenti moniri o maggiori perdite subite dall'unità senese.
Il battaglione - con vivo disappunto della grande massa delle Camicie nere - non è ancora stato chiamato alla prova del fuoco. Ciò non vuol dire, se domani la sicurezza dell'Impero lo richiedesse, che la "Valanga" non sia preparata a tuttti gli eventi ed anelante l'onore del combattimento.
Pertanto i militi assolvono con cosciente volontà il compito loro affidato. Compito di pace armata e di fecondo lavoro.
E trovano modo, le Camicie nere senesi, di rivelare ancora una volta la gentilezza del loro animo e la bontà del loro cuore rivolgendo il pensiero alla memoria di chi, precedendole sulla via del dovere, insegnò loro il cammino da percorrere per rendersi degni della nuova grandezza imperiale di Roma.
Nel nome di Vittorio Leoncini - nel nome caro del camerata amato, nel nome del fiero squadrista, nel nome di chi versò il suo sangue per la causa della Rivoluzione, nel nome dell'intrepido Legionario d'Africa che giovinezza e vita donò alla Patria - i militi senesi hanno inteso ricordare, simboleggiare ed onorare tutti i Caduti senesi di tutte le epoche squadriste e guerriere.
La commovente cerimonia
Il fortino "Vittorio Leoncini" eretto dagli uomini del primo plotone della seconda compagnia sulla cima di un colle che, ad ovest di Gondar, domina e protegge la grande arteria conducente al lago Tana, è una di quelle caratteristiche costruzioni che in Africa Orientale, rivelano comunque la innata capacità edilizia della gente nostra e lo spirito di adattamento a tutte le esigenze e la grande volontà, che supplisce alla mancanza di materiali ed attrezzi adatti, del laborioso popolo italiano.
Facente parte di tutta una linea di fortificazioni erette dal "novantasettesimo", il fortino in questione emerge e primeggia sugli altri per la cura amorosa con la quale è stato costruito.
Per settimane intere le Camicie nere hanno lavorato con passione all'erezione delle mura, delle strutture dei reticolati ed alla costruzione delle postazioni per mitragliatrici.
In tutti, dall'ufficiale comandante il plotone al più oscuro dei gregari, è stato vivo nell'animo il desiderio di ben operare per maggiormente onorare Colui al quale l'opera doveva dedicarsi.
E dopo un mese di lavoro ininterrotto, ultimata la potente costruzione difensiva, si è giunti all'inaugurazione.
Cerimonia semplice e nel contempo solenne. Semplice come lo sono e lo devono essere tutte le cerimonie improntate dallo stile inconfondibile del soldato fascista; solenne come lo sono tutti i sacri riti tendenti a ricordare e degnamente onorare chi, dal Cielo degli Eroi, vigila sulle fortune della Patria, dopo aver tanto contribuito al raggiungimento delle fortune stesse.
In armi, il plotone si è schierato sul piazzale esterno, che delimitato dal muro merlato e dalle fila di reticolati, serve da luogo di adunata della truppa.
Un "A noi!" potente, un rapido bslenare di lame d'acciaio e, fermi sul "presentat'arm", i militi hanno salutato lo scoprimento della lapide - romanamente scolpita - sulla quale, unitamente ai dati riferentesi al reparto costruttore, spicca il nome indimenticabile del camerata scomparso.
Il centurione comandante la compagnia, con voce rotta dalla commozione e con sentimento paterno, ha tratteggiata in poche significative parole la figura di Vittorio Leoncini. Ha detto delle virtù ideali e patriottiche del Caduto ed ha accennato alle glorie future, presenti e passate della causa fascista, che sotto il segno della guida del Duce, marcia sicuramente verso i più alti destini.
Ha quindi proceduto all'appello fascista; un "Presente!" unanime ha risposto all'evocazione del nome di Vittorio Leoncini, con il "saluto al Duce" si è conclusa la semplice cerimonia, che ha lasciata nei cuori dei tutti i presenti una viva traccia di commozione.
E' quasi notte quando, ancor sotto l'impressione lasciata nel nostro animo dal rito compiutosi nel pomeriggio, entriamo nella tenda dell'ufficiale comandante il plotone e il fortino, che fu, come noi, compagno d'armi ed amico dello Scomparso.
CI guardiamo negli occhi, in silenzio. Guardiamo, sempre senza parlare, una piccola fotografia di lui, che ha in tenda il posto d'onore. Ci stringiamo una mano: fortemente, da uomini, come a dirci tutto ciò che passa nelle nostre menti e fa pulsare forte i nostri cuori, e poi il tenente, quasi sottovoce, mi dice: "Pensa Corsi, se fosse qui Vittorio, se potesse vedere..."
E per un attimo abbiamo la sensazione della sua presenza; per un istante solo vediamo il caro camerata a noi davanti. Lo vediamo come lo vedemmo un giorno nella infuocata pianura di Gheraltà: curvo sotto il peso dello zaino, con gli occhi luccicanti dalla febbre ed il volto contratto dal dolore. Ma sorridente del suo sorriso d'asceta e di martire; di quel sorriso che ce lo rendeva caro ed amico.
E ci sembra che Vittorio mormori ancora: "No ragazzi, lo zaino lo porto da me: non lo lascio. Sto bene, benone...e, infine, anche se soffro, è bello soffrire così per l'Italia".
Dino Corsi