La Nazione del 11 giugno 1938.
All'Ambaciara con i legionari senesi.
La partenza del 97° Battaglione CC.NN. per Mescentì

Un fruscio lento, un mormorio sommesso, nell'alba indecisa del mattino. Poi, tutte insieme come l'onde del mare, il mormorio si accrescesi innalza, si perde, ritorna, si trasforma in cento voci.
Sveglia ragazzi! Sveglia! Una tenda già si sbottona. Un'altra più sonnacchiosa stenta ancora a dischiudersi. Teste brune, teste ricciute, teste bionde arruffate, che si affacciano e spariscono. Anche sull'Ambaciara, il nuovo giorno è tornato! Già sui monti vicini, sui monti lontani, tra una lieve caligine, sorride il primo sole e nel cielo gracchiano i corvi e stridono, aguzzando lo sguardo in ampie volute su una pagnotta gettata.
All'acqua. A tre, a tre, passo cadenziato, ufficiale in testa, moschetto e borraccia a tracolla, asciugamano sotto il braccio, sfilano i legionari dinanzi alla guardia schierata in armi e salutano. Prime terzilie perfettamente allineate, che volgono la testa e destra di scatto, più confuso in coda un ritardatario cerca correndo il proprio posto. Scendono ora l'erto sentiero e la boscaglia li copre alla mia vista. Riappiraranno più in là, sul piano, come una macchia verdognola serpeggiante. In fila, alcuni muletti dalle gambe agili e fortili precedono. Così ogni mattina da circa due mesi. Vanno all'acqua uomini e bestie, ieri come oggi, oggi come domani, e il sole brucia e il vento sferza i volti abbronzati. Vanno, coscienti della loro forza, con molta nostalgia nel cuore dei tempi che furono. Limpida e fresca, una piccola sorgente di acqua scaturita dalle falde del monte, li attende...Gole riarse che si dissetano; membra agili e forti che assurgono nuovo vigore, magliette e calzini svolazzantiche si aciugano alla lieve brezza.
Più in là, tra il duro sasso, altri legionari, moschetto alla mano, vegliano e vigilano.
Tra il silenzio del forte. Il campo appare ora deserto. Dieci e dieci tende, bene allineate, aperte sul davanti, mostrano una lunga fila di rozze ma sottili brande. Due militi, pala e picco nella mano, fanno pulizia. Un graduato li osserva e li dirige. Sventola su un'antenna, in alto, la nostra bandiera. Un gagliardetto nero, poco distante, garrisce al vento.
Silenzio! Il forte è tutto un grave silenzio. Quasi all'intorno, più in basso, al di qua e al di là, dalle grigie costruzioni della Residenza, 60 tucul vivono la loro vita appartata. Un bimbo tutto nudo si diverte. Sciamma bianchi e meno bianchi di donne vanno e vengono, portando sulle spalle pesanti anfore. Uomini neri, con fasce rosse alla testa, in un'apatia completa, sonnecchiano tranquilli sotto i raggi del sole. Come una ragnatela, un muro e un reticolato li cinge e ci cinge. L'Ambaciara è tutta qui. Al di fuori, fino all'orizzonte, catene di monti dalle sommità piatte e rotonde, scoscendimenti aridi e sassosi, gole paurose, macchiate di verde, ambe disseminate nella conca gialliccia e nella pianura ondulata. Sento che terra e cielo aspirano a congiungersi e a confondersi.
Siamo soli, sono solo! Isolati dal mondo. Non una strada che ci congiunga. non una voce che ci arrivi. Il mio pensiero corre a coloro che per una ragione o che per poca ragione ci abbandonarono. Agli insostituibili, a quelli (e sono ancora parecchi) che gridarono sempre...e non vennero mai. Ma che importa! Voi, mamme, dovete essere fiere dei vostri figli. Noi vi promettiamo di fare intero il nostro dovere. Come lo fecero i nostri padri, come lo faranno i nostri piccoli, senza tante chiacchiere o presunzioni. Nel nome santo della Patria, in quello sacro del Duce. Voi vedete molte volte ciò che non esiste, voi sognate e fantasticate.
Una notizia inesatta, una voce qualsiasi contribuiscono a rendervi nervose. Ed allora perchè piangere? Perchè temere? Come a Gondar, come all'Ambaciara, come nell'Africa tutta italiana, la tranquillità regna assoluta. Asserire il contrario sarebbe da spiriti ammalati.
I sacrifici non mancano, sarei per dire non si contano. Basterebbe soltanto la distanza grande che ci separa da voi. Ma ciò poco importa, perchè Africa vuol dire disagio e privazione, Africa suona nostalgia ed eroismo. Squilla ora una tromba; gli ammalati escono ora dalle tende. Quanti sono? Quattro, se vedo bene. Due zoppicano, gli altri, durante la notte, sono stati presi da un pò di febbre. Non c'è male per l'Ambaciara!
Rancio. Un vento impetuoso, in un turbinare di polvere sul mezzogiorno. Corrono nel cielo nuvole nere, che minacciano pioggia. Inquadrati, gli uomini attendono che il rancio venga loro distribuito. Fumano due marmitte grosse ripiene. Accanto, i cucinieri con un mestolo in mano, attendono pur essi.
"At-tenti! Ri-poso". Un cucchiaio di minestrone lentamente viene assaggiato dall'ufficiale di giornata. Ancora un attenti, un saluto, un riposo e le gavette passano veloci dalle mani dei militi a quelle dei cucinieri, da queste a quelle. Si chiacchiera e si mangia avidamente...Ma proprio all'Ambaciara si sono rivelate in pieno le qualità di molti, in materia culinaria. Terrò sempre davanti ai miei occhi questo spettacolo divertente ed interessante ad un tempo, che denota l'adattamento che in ogni epoca ebbe il soldato italiano: "Arrangiarsi!" arrangiarsi quanto più è possibile.
Se il rancio non serve poco importa!...Due pietre rialzate, lungo il muro, servono da fornello. E nel fornello e tra i fornelli un via vai curioso di gente che porta, che serve, che lavora. Sulla fiamma, qualcosa frigge, qualcosa brontola. Ciascuno ora è al suo posto. sembrano tante massaie che serie e tranquille attendono al proprio lavoro. Ecco il Burrini che con un coltello arrugginito spacca e squarta con maestria un pollo comprato per pochi soldi. Era il suo mestiere, una volta; e il Capacci e il Parri, come due assistenti, meravigliate, tengono ben ferme le due zampette gialle. L'olio dov'è? Dov'è l'olio? La voce del Barsotti sovrasta le altre e chiede e cerca.Vedo il Brizzi, apprezzato da tutti, soffiare sul fuoco che non vuol prendere. Calzoncini fino al ginocchio; mi sembra un bambino che voglia giocare. Ogni tanto assaggia, spilluzzicando un'ala o un coscio. Buono! Non c'è male davvero! Il Tancredi brontola e grida: il soffritto si è bruciato! Più in là il Favilli, infarinato, macina del caffè. Senza macinino?...Basta una latta e una pietra per ridurre in polvere il prezioso chicco. C'è allegria ora. Il pranzo è pronto. Una pietra servirà loro da sedile e dalla nuda terra saliranno al cielo canti di gioia.
L'Ammina-Bandiera. Piove e fa freddo: molto freddo. Sull'antenna, dove al sibilo e all'urlo del vento il Tricolore sventola, ora increspandosi, ora stendendosi. Scende la sera e la guardia è pronta. Con i muscoli irrigiditi sull'attenti, attende il segnale. Una voce: le armi di scatto vengono presentate. Tre squilli di tromba: la bandiera si abbassa, garrisce ancora un volta, l'ultima, sull'Ambaciara.
Saluto al Re! Viva il Re!
Saluto al Duce! A noi!
Davanti ai nostri occhi, ombre di mamme, ombre di piccoli, di volti cari, nostalgie lontane di cose che furino e forse saranno ancora.
La partenza del Battaglione per Mescentì. Fra poche ore il Battaglione lascerà l'Ambaciara. Un ordine improvviso, mentre tutti pensavano di tornare a Gondar. Un'illusione di più nella speranza di presto rimpatriare. Ifag! Bahar-Dar, estrema punta meridionale del Tana attendono il nostro passaggio. "Mescentì" ci dovrebbe portare, oltre il Nilo, nel Goggiam montuoso. Dico ci dovrebbe, perchè la località è a tutti noi ignota. Anche la sorte è rimasta muta. Mentre l'ora si avvicina, ufficiali e militi, sereni e tranquilli, fanno i preparativi per la nuova partenza, sognando Mescentì, parlando di Mescentì, mettendo Mescentì in ogni discorso...Mescentì? Mistero. Fra qualche giorno i legionari senesi lo sveleranno.


Bruno Minucci