Il Telegrafo del 2 febbraio 1939
Sedici mesi d'Africa...
Zeghie', gennaio.
...Trascorsi da quando la "Valanga" inizio' la sua fastica africana. Sedici mesi...il tempo corre, vola e lascia agli uomini il carico dei ricordi, il peso delle memorie e il fardello dei sacrifici. Ma lascia, il tempo, in chi ha voluto, potuto e saputo bene impiegarlo, anche la soddisfazione per l'opera compiuta.
Questi sedici mesi di "campagna", questo lungo periodo di servizio in Colonia sono stati il banco di prova delle possibilita' del Battaglione senese, che in rappresentanza della "fedelissima" Provincia ha dato, sta dando e dara' l'esatta manifestazione di cio' che possa la gioventu' della "Lupa", a nessuno seconda, ieri, nella guerra per la conquista dell'Impero e per la guerra redentrice in Spagna, ed oggi, come ieri, nell'opera di difesa e valorizzazione dei territori africani dominati dalla grandezza di Roma.
Sedici mesi e par ieri, sono trascorsi da quando i superbi, quadrati reparti del "novantasettesimo" salparono alla volta del lontano Impero. Sedici mesi...Ed e' ancor presente in noi quel senso di delusione, quell'impressione di rammarico, quasi di rabbia, che pervase quel giorno i nostri animi per la mancata realizzazione delle generali speranze che vedevano e volevano il Battaglione destinato in Spagna. La terra iberica, la lotta contro il demone moscovita erano allora nei desideri di tutti, ed il partire per l'Africa parve ai legionari come il disertare un po' dalle primissime linee ed imbarcarsi nelle retrovie. E tutti, dal reduce dell'A.O., volontario per la seconda volta nel corso di pochi anni, al giovane fascista che con entusiasmo aveva risposto presente all'appello non piazzaiolo, provarono amaro il rimpianto per lo svanire di quel sogno che aveva al suo apice i campi insanguinati di Spagna.
Ma oggi, dato che tanto tempo e' trascorso da quando il "Sardegna" prese il largo dal porto di Napoli; oggi dopo sedici mesi di vita di Colonia, il legionario della "Valanga" non ha piu' rammarichi, non soffre per quella che un giorno considero' quasi una diserzione dal fronte di combattimento: oggi la camicia nera della "Valanga" ha in se' l'orgoglio e la gioia di sapersi e sentirsi combattente della Causa piu' bella e sa di aver dato alla Patria e all'Idea tutto quanto era possibile dare. Guardandosi indietro, mirando a ritroso il cammino percorso - cammino purtroppo cosparso di croci gloriose - il milite rivede le tappe della fatica compiuta, valuta sacrifici e pericoli trascorsi, si esalta all'idea di aver con le armi e col lavoro contribuito alla conquista di regioni fino a poco fa italiane solo di nome, e gioisce nel sentirsi legionario, vero legionario; di coloro cioe' che giovinezza e vita hanno offerto alla Patria.
Ed accingendosi a fregiarsi dell'ambito segno della "croce al merito di guerra" il milite della "Valanga" ritorna col pensiero alla "guerra" quaggiu' combattuta per la sicurezza e la valorizzazione dell'Impero. E si rivede sui camions in colonna verso zone pericolose, marciare alla maniera squadrista coi gagliardetti al vento e le ugole dilatate in un canto d'azione; risente il fischiar delle pallottole che di tanto in tanto salutavano il passaggio degli autocarri e si riporta con il pensiero alle belle giornate di mescenti, quando a fianco degli ascari del 3.o battaglione coloniale provava l'ebbrezza del fuoco nemico e l'emozione impagabile del combattimento. E rivive, il legionario, le dure fatiche, le privazioni, la fame e la sete di tanti e tanti giorni gloriosi di quella gloria che danno il sudore e la sofferenza.
Ma il compito non e' ultimato. Dopo Gondar, Amba Ciara, Bahar-Dar, mescenti e Selselima', vi sono ancora mete da raggiungere, tappe da bruciare. Zeghie' e' una delle ultime tappe ove la "Valanga" sta incidendo la sua fredda ma incancellabile impronta; e Zeghie' e' una nuova pagina gloriosa del libro d'oro del Battaglione senese.
A Zeghie', la ridente penisola sul tana, un pugno di uomini - 40 in tutti - un gruppo di giovani legionari, un petalo di quello che e' il fiore della gioventu' senese, presidia e protegge la regione piu' ricca e fertile dell'Amara. Divisi in due fortini, i "quaranta di Zeghie'", fatto proprio il mussoliniano "vivere pericolosamente" danno una dimostrazione di cio' che possa, in difetto della quantita', la qualita', e non conoscendo riposo, e rischiando il tutto per tutto, e lavorando di giorno e vigilando di notte, e tutto offrendo senza nulla chiedere, dando la prova di cio' che siamo e di cosa siano ancora capaci i legionari senesi - perche' tutti della "Valanga" son pari ai 40 di Zeghie' - dopo sedici mesi d'Africa.
Ridotto nei ranghi, che' il male e le varie esigenze hanno portato al rimpatrio o all'indisponibilita' di quasi una buona meta' degli effettivi, il "novantasettesimo" e' ancora sulla breccia e forte della gloria dei sei caduti e di una tradizione di volonta' e combattivita' confermata dai fatti, continua la marcia intrapresa sedici mesi or sono al motto della "Valanga": "Marciando mi rafforzo".
Passeranno ancora dei mesi prima che le strade di Siena possano sentir risuonare sul lastrico il ferrato rumore dei reparti in marcia, dovra' la Primavera entrare nel suo pieno splendore di fiori e profumi, e forse l'Estate si affaccera' gia' trionfante quando il Battaglione tornera' all'ombra del "Mangia".
E saranno allora fioriti i giardini, e tutti gli steli saranno divelti per salutare in coloro che tornano quelli che piu' non torneranno: i nostri Morti, che sono il nostro orgoglio e la prova del nostro sacrificio, della nostra guerra, delle nostre conquiste.
Perche' son Essi, i Caduti, che meglio di vane parole rifanno la storia del Battaglione e dicono quanto ed in qual misura il "novantasettesimo" abbia contribuito alla grandezza dell'Impero.
Ed e' con ragione che ad Essi, agli oscuri eroi, rivolgeva il commosso pensiero il nostro Comandante nel saluto di commiato al Battaglione. perche' anch'Egli, come i camerati scomparsi, si e' sentito un po' morto nel lasciare la "valanga" e nel lascisrci, nel lasciare i suoi figli.
Come l'annunzio del decesso di un compagno, di un fratello d'armi, ci e' giunta la nuova del rimpatrio del Comandante. Un vuoto incolmabile e' venuto a crearsi nei nostri cuori; pari alla perdita di un genotire, la sua dipartita ci ha arrecato dolore. E maggior dolore e' ed e' stato per noi il "suo dolore". Povero, caro papa' Mariotti!...Quanto ha amate le sue camicie nere! E di quale amore!
Vorremmo che al suo giungere nella sua Citta' natale, siena avesse salutato questo figlio guerriero come un di' la Repubblica salutava gli eroi, ma, purtroppo, sappiamo che cio' e' un sogno. Comunque, al nostro Comandante, il saluto degno di Lui, dei suoi meriti e del suo operato, lo daranno domani, nel giorno del ritorno, i legionari della "Valanga" che non dimenticano e non dimenticheranno mai quanto devono a "babbo mariotti". E sara' un saluto degno delle tradizioni del popolo senese!
Dino Corsi