La Nazione del 19 luglio 1938.
In marcia coi legionari senesi

Alle ore dodici del giorno 23 giugno la compagnia è completamente imbarcata. Il "S.Nicola" e il "Tana" ondeggiano sulle acque tranquille iridate dal sole. Tra il silenzio profondo, dalla corona di colli dolcemente digradanti sul lago, Colombo e le sue caravelle tornano alla mia mente. Mancano solo le vele, onde il quadro sia completo, perchè da quella schiera di caschi e dal lucchicio di fucili, sorga il grido di "Terra! Terra!". Due indigeni osservano curiosi il movimento insolito; scialla a mo' di toga, gambe nude, braccia nude.

Sul "Tana"


Uno scoppiettio di motori ora, un movimento vorticoso di acque smosse, una scia lunga ed argentea, e Gorgorà, regina del Tana, già biancheggia alle nostre spalle. La prora ardita si innalza e si abbassa, scavando un solco. Si va verso l'altra sponda, portando il ricordo di giorni che furono e con l'ansia velata di ciò che ci attende. Il "Bucintoro", motoscafo grosso e veloce, sul quale mi trovo imbarcato, striscia leggero, quasi volesse protendere il suo scafo ad un folle volo. Corrono con noi i monti che si perdono all'orizzonte, dall'una e dall'altra parte, mentre il lago si allarga e si allunga in un ampio respiro.
Si va, la brezza che lieta ci sbatte sulla fronte, il sole che cangia il fluido dai mille colori, il ritmare possente del motore. Si va, tra rimpianti e ricordi, tra nostalgie e visioni, tra pensieri che attanagliano la mente, che toccano il cuore. Per ore e ore, nella calma di mezzogiorno, con l'occhio fisso verso una meta. Anche un canto sorto come tempesta, si smorza, si perde, tace.

Bahar-Dar


Per ore e ore, nella calma del mezzogiorno, con l'occhio fisso verso una meta. Sulla nostra destra, vicino, in una vegetazione lussureggiante, ci viene incontro, ora, l'isola delle Vergini. Altre, più piccole e montuose, appaiono e scompaiono velocamente. Già si profila la penisola di Zeghiè, dove spontanea, per una estensione enorme, la pianta del caffè cresce rigogliosa. Le coste si avvicinano, delineandosi alla nostra vista in tutta la loro grandezza. Nuvole nere vagano nel cielo e corrono. Ecco le sorgenti del Nilo Azzurro, tra una foresta di alberi d'alto fusto, tra liane ondeggianti ed intriganti; eccolo, un punto, piccolo prima, grosso poi, sulle sponde di fronte. Fende la prora lentamente le acque e un canto, fra il fragore del tuono, si innalza da cento petti.
"Sul Lago Tana - mentre la notte si avvicina - senti cantar "Faccetta nera" - per chi combatte e per chi muor".
Brontola ancora il tuono, in un cielo tutto nero. Bahar-Dar è raggiunta. Ordini secchi, zaini e uomini che toccano terra, un chiamare continuo di nomi, un apprestare veloce di tende; le prime gocce, mentre deserte, sulle ombre che cadono, le motobarche "S. Nicola" e "Tana" ondeggiano sonnecchianti vicino al "Bucintoro".
Sette ore di navigazione per compiere i novanta chilometri circa, quanti ne corrono da Gorgorà a Bahar-Dar, hanno determinato una certa rilassatezza nei nervi e nella volontà di ciascuno. Sentiamo il bisogno di riposare. Il capitano valentini, che con la sua compagnia era partito qualche giorno prima ci accoglie premurosamente chiedendo notizie del resto del battaglione rimasto a Gorgorà. Troviamo i tenenti Falugi e Pippi presso un tavolo imbandito e ciò contribuisce a darci un pò di allegria. Anche i nostri ragazzi si rifocillano alla meglio. L'indomani presto ci trova alzati, pronti alla nuova fatica.
Sappiamo, da ordini ricevuti, che noi dobbiamo restare in questo forte. Il rancio e il dormire sono le cose che più ci preoccupano. Il comandante del presidio, venendo incontro ai nostri desideri, mette a disposizione un baraccone mezzo coperto da lamiera. Ci abbisognano muratori e falegnami, li troviamo. Dal mattino alla sera si lavora senza tregua e ogni notte quaranta ragazzi vigilano sulla rimessa del forte. Bisogna far presto. Sull'imbrunire, violenti acquazzoni allagano l'accampamento, determinano vasti acquitrini.
Nessuno trova più il tempo di pensare alla famiglia, alla casa, alla posta non ricevuta. Così per tre giorni, ora sotto il sole che brucia, ora nell'acqua che tutto bagna e inumidisce. La 2.a compagnia frattanto ha raggiunto coi propri mezzi Mescentì. Ci troviamo un pò a disagio; soli in un ambiente del tutto nuovo.
Il giorno 27, la "San Marco"nuova e prima bettolina, varata da poco, seguita dal "Tana", raggiunge Bahar-Dar, portando il resto del battaglione. I nostri ragazzi si sono già tutti sistemati tra la baracca e i corpi di guardia. E' la fine di un viaggio che, iniziatosi ai primi del mese, sembrava non dovesse mai più terminare.
Dopo il primo attimo di smarrimento, naturale in ogni uomo ed in ogni massa, trasportati in ambienti nuovi, oggi si lavora, si vigila, e soprattutto si attende in silenzio.

La partenza del resto del battaglione


Io li rivedo, quel primo mattino del 29, passare a tre a tre, comandanti in testa, sulle strade piene di fango e di pozzanghere, abbronzati con il volto sorridente, sotto il peso degli zaini, andando fieri verso Mescentì. Cantava qualcuno, e molte mani si cercavano e si stringevano, tra coloro che restavano e coloro che il dovere chiamava più innanzi. addio, addio a tutti, siete stati bravi. Lo sarete e lo saremo per l'avvenire! Perchè pensare a casa, alla nostra casa, perchè al Palio, quando tutto è lontano come in un sogno e fuggevole come chimera irraggiungibile? Ecco: così, da forti. Cantate, cantiamo. Sulla strada ora nel fango non rimangono che centro orme di scarpe chiodate, il ricordo del battaglione in marcia verso la meta.

A Mescentì


A sera, nello stesso giorno, tre macchine corrono veloci sulla pista asciutta, portando viveri e munizioni. Si sale tra una vegetazione ricca di piante e di arbusti, tra prati verdi, tra boschi e ruscelli. La terra è rossa come il sangue, fertilissima. L'orizzonte si chiude sempre più perdoendosi lontano fino alle catene dei monti velati da una leggera caliggine.
Predomina il verde rigoglioso della natura, sotto un cielo tutto azzurro. Si sale ancora, si corre sul piano per un pò; poi una svolta, una lieve discesa e Mescentì è raggiunta. Venti chilometri in meno di un'ora!
Tre fortini allineati stanno a gurdia della pista, che passa loro in mezzo. Ritrovo i miei compagni, rivedo gli uomini del mattino stanchi per la dura marcia, sento ancora le loro voci mozzate dal respiro affannoso quando il fragore di motore, l'andare veloce di macchina sulla via del ritorno sommerge ogni suono e allontana ogni immagine.
La cavalcata è per tutti finita.


Bruno Minucci