Il Telegrafo del 25 maggio 1939
Il ritorno dei legionari senesi dall'Africa Orientale Italiana
Nefasit, maggio.
Da due giorni i legionari della "Valanga" sono giunti a Nefasit, il centro eritreo luogo di concentramento delle truppe rimpatrianti dall'A.O.I. ed hanno iniziato il campo contumaciale che precede l'imbarco.
Nei baraccamenti e nei tendoni "Roma" del vasto accantonamento sono oggi alloggiate le Camicie Nere senesi in attesa del giorno ormai prossimo della partenza per l'Italia, del tanto desiato ritorno in seno alle famiglie.
La vita si svolge tranquilla nella quiete del campo, ed i varii servizi che si devono disimpegnare sembrano meno duri ora che il ritorno e' una certezza, ora che l'imbarco e' questione di giorni, ora che Massaua e' a poche ore di treno. Si lavora con animo lieto e si sopporta senza disagio la piu' dura disciplina solo pensando che tra una settimana, poco piu' poco meno, le acque del Mar Rosso, prima, e quelle del Mediterraneo, poi, saranno solcate dalla nave che portera' verso la Patria la gioventu' senese del "novantasettesimo". E ci si adataa ad un tenore di vita, insolito in chi per venti mesi ha vissuto ed operato nelle regioni piu' selvagge dell'Africa Orientale, nelle localita' piu' disagiate, nei piu' pericolosi presidi.
La ripresa di contatto con la civilta', che l'Eritrea ha raggiunto oramai un grado di evoluzione pari a quello di molte regioni della Madre Patria, ha avuto ed ha il suo lato buono, ma rivela pure degli inconvenienti. La vita, sotto diversi aspetti, non e' e nno puo' essere a Nefasit quella del Goggiam. Meno faticosa, nessun pericolo, niente disagi, scomparsi i viveri a secco, possibilita' di acquistare generi a pressi di gran lunga inferiori a quelli di Bahar-Dar e d'assistere alla proiezione di pellicole sonore tra le piu' moderne, e la possibilita' di un buon bagno caldo, di potersi comodamente sedere sulla poltrona di un barbiere, di sorbire un ottimo "espresso" al banco di un modernissimo caffe', di vedere continuamente donne bianche, di non aver piu' contatto con le genti indigene e tante tante altre piccole ma significative cose non ultima tra le quali quella di dormire, non piu' sotto la tenda o in un "tucul", ma in ampi ed ariosi dormitori e su dei veri lettini di ferro.
In contrasto di cio' sta conseguentemente la disciplina che e' necessariamente piu' dura di quella dei fortini e negli accampamenti legionari. Scrupoloso rispetto degli orari, impeccabilita' nel vestire, limitazione al minimo delle ore di liberta'; tutto cio' insomma che caratterizza la normale vita in caserma degli ultimi arrivati, delle "cappelle" per intendersi. Perche' a Nefasit i legionari della "Valanga" sono ne' piu' ne' meno che delle reclute. Tra poche ore, quando saranno giunti altri due battaglioni dei quali e' previsto l'arrivo in giornata, i militi senesi saranno gia' degli "anziani" nell'accontonamento e tra pochissimi giorni saranno "congedati". E partiranno alla volta di Massua per proseguire quel viaggio che, iniziatosi una settimana fa sulle sponde del Tana, avra' termine entro il mese tra le mura di Siena.
Da Bahar-Dar a Nefasit
L'addio al Goggiam e' stato, come tutti gli addii, assai commovente ed anche un tantino triste. Non e' sorta l'alba quando la colonna di autocarri si muovono dalla base logistica del Goggiam occidentale. E non un canto si eleva dalla massa dei legionari, non un gesto di gioia viene a turbare la raccolta tacitita' dei partenti. Troppo e' vicino il cimitero di guerra e troppo son freschi i fiori che ieri sera le Camicie Nere deposero sulle tombe dei caduti perche' si possa salutare con canti di esultanza il tanto desiato momento dell'inizio del viaggio di ritorno. E son troppo vicini agli autocarri i nostri comandanti che restano a Bahar-Dar e troppo timidi di lacrime sono gli occhi di coloro che per tanti mesi furono, piu' che superiori, i camerati dei militi e che oggi vedono partire il loro "battaglione" senza possibilita' di poterlo seguire perche' si possa rispondere con gesti di gioia al loro accorato segno d'addio.
Lentamente la colonna si muove e va verso il guado del Nilo Azzurro. Sul bel ponte da poco aperto al transito le macchine passano veloci: ormai il "via" e' dato. Dall'alto della collina di Selselima' le Camicie Nere siciliane, che hanno sostituito quelle del 97.0 nel presidio del fortino, salutano alla voce i partenti. Dagli autocarri si risponde con grida e canzoni. Bahar-Dar e' gia' scomparsa dalla vista; e la gioia racchiusa in tutti gli animi, ma contenuta al momento della partenza e dominata dalla commozione, esplode ora e si manifesta con cori di esultanza. Le voci degli uomini si confondono col battito dei motori; e mentre la colonna si snoda lungo la pista una potente canzone, un inno di gioiosa forza si eleva sotto il cielo africano. Il sole che nasce viene a baciare i volti dei legionari ed a porgere loro il piu' augurale dei saluti.
La marcia e' rapida. A mezzogiorno siamo ad Ifag. breve sosta e via, ancor piu' velocemente perche', lasciata la pista, si viaggia ora sulla strada che va a Debra Tabor, verso Azozo'. rivediamo posti e cose note. Passiamo vicino a fortini e villaggi conosciuti durante il periodo delle scorte e si ritorna col pensiero al passato e si sente, forte, tutta la soddisfazione per il compiuto dovere.
Azozo' e' raggiunta nel tardo pomeriggio. la cittadina che e' sorta dal nulla alla periferia di Gondar si mostra agli occhi delle Camicie Nere ampliata ed abbellita oltre ogni dire. Un anno, che quasi dodici mesi sono trascorsi da quando il "novantasettesimo" passo' per Azozo' durante il travagliato trasferimento dall'Amba Ciara a Mescenti, e' stato sufficiente perche' il piccolo centro urbano si sviluppasse e prendesse tutte le caratteristiche di uan moderna citta'. Una delle tante citta' italiane ingentilite da giardinetti ed ombrosi viali, abbellite con costruzioni nuovissime e pulsanti di attivita' nei cantieri, nelle officine, ovunque, insomma, sia presente la gente fattiva d'Italia.
Da Azozo' a Gondar il salto e' breve. Una volata nella notte sulla strada quasi rettilinea e la capitale del Governo Amara appare superbacosi' come si mostra coi suoi antichi castelli illuminati e contornati da migliaia di costruzioni che formano il nuovo agglomerato urbano dove si lavora in silenzio ma con tenacia alla definitiva sistemazione di quella che e' una delle piu' vaste ed impervie regioni dell'Impero.
Il giungere dell'autocolonna in citta' e' chiassoso e lieto. le macchine passano veloci sul nastro d'asfalto; e gli uomini, in piedi sugli autocarri, fanno "fantasia" di gioia e salutano la vecchia e la nuova Gondar coi loro canti, colle loro grida festose e collo sventolare di tutti i gagliardetti della "Valanga".
La colonna giunge al posta di tappa ed i legionari, approntati alla meglio i giacigli per la notte, si sparpagliano per le vie della citta', invadono ristoranti, caffe', cinematografo, Dopolavoro e ogni sorta di locali pubblici. Per ore ed ore il Battaglione senese domina incontrastato ogni dove. E ogni dove le balde Camicie Nere sono accolte con spantanee manifestazioni di simpatia. Tutti a Gondar ricordavano e ricordano il "novantasettesimo" e tutti, nelle ore di sosta, hanno voluto dimostrare ai militi la loro simpatia e la loro stima. Stima e simpatia, del resto, che la "Valanga" ha sempre saputo cattivarsi in tutte le localita' ove i suoi reparti abbiano avuto piu' o meno lunga permanenza.
Il giorno successivo la colonna sosta ancora ed i legionari ricevono nella mattinata la graditissima ed attesa visita del Console Marino Piccinelli, il ravo ufficiale superiore che tanto e sempre si e' interessato alle sorti del Battaglione. Le Camicie Nere gridano la loro riconoscenza al Gerarca, il quale unisce la sua voce ai cori nostalgici che prorompomo dalla massa all'indirizzo di Siena bella.
Nel pomeriggio i reparti in armi sfilano al campo sportivo e, alla presenza di tutte le autorita', vengono passati in rivista dal Generale Ermellini, comandante la piazza di Gondar. Il Generale, al termine della rivista, dice ai legionari le sue parole di elogio, ne ricorda il passato e le gesta, e si dichiara contento nel poter affermare che nessun battaglione ha, meglio del "novantasettesimo", meritato l'onore del premio concesso dal Vicere': il rimpatrio.
Tutte le autorita' militari, politiche e civili di Gondar si compiacciono per il superbo aspetto del Battaglione, che dopo venti mesi di dura campagna e di lotta continua col male, ha in se' energie e volonta' tali da poter figurare e distinguersi su unita' formate di fresco. La cerimonia al campo sportivo si conclude con una manifestazione al Duce. Ad alta voce i legionari acandiscono le due sillabe del nome venerato: Du-ce! Du-ce!...E poi, immancabile, il coro di guerra si alza verso il cielo, tinto di rossastro dalle luci del tramonto.
Cantando e marciando in ordine perfetto i legionari rientrano al campo. Ed in tutti e' l'orgoglio per gli elogi ricevuti, in tutti e' la gioia di sapere i loro sacrifici e la loro opera valutati quanto meritano, in tutti e' la certezza di aver ben servita la Patria, di essere stati degni dell'onore di operare nel nome del Duce e per Lui e di avere, infine, portato il nome di Siena e fatti garrire i colori della Balzana nelle terre dell'Impero in maniera degn dele tradizioni della lupata citta'.
Al mattino si riprende la marcia. La colonna di cuori e motori va con furia sulle belle strade che portano al tacazze'. Delivar, Deberech, la ridente, fertile e lussureggiante di vegetazione Romagna d'Etiopia sono raggiunte e superate in poche ore; e poi si attacca il massiccio dell'Uorchefitt, la rocciosa muraglia ai margini del Semien che strapiomba a picco sulla valle del grande fiume, confine naturale tra l'Amara e il Tigrai. Sosta e nottata all'addiaccio ad Adi Arcai e via, colle prime luci dell'alba, verso l'Eritrea. Si scende al tacazze', si risale verso Debinguima'. E qui, a Debinguima', "alt".
Si compie una cerimonia al "cimitero dei carri armati". Nel sacro recinto riposa il Capo Manipolo Luigino Burroni, che una tragica fatalita' volle togliere alla Patria, all'affetto dei suoi cari e di quanti lo conobbero. Le Camicie Nere senesi, che dello scomparso apprezzarono le grandi doti di italiano, di fascista, di soldato e di uomo, hanno voluto lasciare sulla tomba ancor fresca un segno tangibile del loro ricordo e del loro amore.
Un monumento scolpito nella pietra, preparato gia' da tempo a Bahar-Dar, si innalza in pochi istanti tra le croci del Cimitero. E' il segno che la "Valanga" lascia in Africa a memoria ed onore del migliore dei suoi figli.
Uno squillo d'attenti: corpi che si irrigidiscono, occhi che luccicano; un rapido balenare di acciai e si compie il sacro rito dell'appello fascista:
"Camerata Luigino Burroni!"
Il "Presente!" che prorompe da centinaia di petti, e' si' poderoso che, forse, dall'alto dei cieli, sara' udito da Colui che i legionari senesi onorano oggi e ricordaranno sempre.
E la colonna torna a snodarsi sul lucido nastro stradale. Scompaiono, perdendosi lentamente in lontananza, le moli massicce dei carri armati che fan la guardia al Cimitero, si velano le croci, si perde nel sole il monumento da poco eretto...Avanti, avanti ancora, vincendo il dolore, soffocando la commozione...
Selaclaca', Axum, Adua, Adi Abur...Sosta. Si pernotta negli accontonamenti predisposti per le truppe di passaggio. Si trovano lettini di ferro....Primi contatti con la vita borghese di domani.
Mancano due ore al sorgere del sole quando i motori fanno la sveglia. In macchina! E via ancora lungo la strada che sembra non aver termine! Dare Tacle', il glorioso Marco': finalmente l?eritrea, quasi l'Italia.
A mezzogiorno siamo ad Asmara per il versamento delle armi, nelle prime ore del pomeriggio il Battaglione e' al concentramento di Nefasit. Rasatura completa: volto, testa e altre parti del corpo vengono private di ogni genere di peluria. Bagno caldo e, nel contempo, lavatura a vapore e sterilizzazione di tutti i capi di vestiario. E' notte quando le operazioni igieniche giungono a termine, vengono assegnati i posti nei baraccamenti; ognuno ha la sua brana, il suo lettino invitante ed accogliente.
La stanchezza del viaggio e' tale che ben presto non un uomo e' in piedi. Stesi sui riposanti giacigli, in attesa che giunga il sonno - e non si fara' attendere troppo - si sogna ad occhi aperti. Ed i sogni di tutti si identificano in una unica visione: una torre alta, tanto alta, una piazza incantata rigurgitante di persone dai volti noti, amati, desiderati...Una tromba suona il silenzio. Si spengono le candele e si continua a sognare e seguiremo finmo a giorno: sogneremo Siena, la sua Torre, la sua Piazza, il suo Duomo, i suoi palazzi...segneremo tante creature amate e sogneremo l'abbraccio di queste nel giorno del ritorno. Ed il sogno continuera' ancora per poche notti; poi la realta' piu' bella, la piu' attesa; la Patria, Siena, gli esseri amati.
Dino Corsi