La Nazione del 26 giugno 1938.
In marcia coi legionari senesi dalle Ambe del Belesà alle rive del Tana

A Gorgorà a piedi! Fu questo l'ordine che in un baleno si sparse sul mezzogiorno di domenica 12 giugno, La notizia si propagò da milite a milite, da ufficiale a ufficiale, da tenda a tenda. Negli occhi di oguno brillava e dominava il quadro vivente di ciò che era loro accaduto nei giorni precedenti. Rivedevano i monti lontani del Belesa inesplorato, riudivano le voci di addio dell'Ambaciara macchiata di sole, sentivano ancora sotto i piedi il suono duro, sul duro sentiero, e poi, il rombo cupo e rabbioso dei motori recalcitranti come cavalli, la marcia attraverso le piste, la pioggia, i sonni inquieti negli autocarri.
Avanti e indietro, tirando e spingendo il proprio "34" o facendosi trasportare da esso.
Tutto ricordavano i cari ragazzi. E non la forza brutale della natura aveva potuto piegare la loro volontà tenace. Le poche ore trascorso ad Azozò erano servite a rimettersi in ordine. Più tardi le disposizioni vennero più precise: "Andare avanti, con o senza automezzi, a seconda della stagione". La letizia ritorna qualcuno accenna ad un canto, tutti traggono dei sospiri di sollievo.

Verso il Tana


Il mattino, un mattino primaverile, ci trova in cammino. E' lunedì 13 giugno. Sfilano, anche nelle strade bagnate, autocarri rossi, gialli, azzurri, sbuffanti e chiassosi come tanti allegri scolari. Ed i ragazzi cantano: canzoni di guerra e di amori lontani, si perdono e rieheggiano nel chiaro del cielo.
Azozò, con il suo campo di aviazione, è presto suprata. Pieghiamo ora sulla destra, puntando nella pianura. Il fondo della pista è discreto. Sui prati verdi per la pioggia di ogni giorni, mandrie numerose di zebù pascolano tranquille, alzando appena la testa al nostro passaggio.
Qualche maschietto nero, sul ciglio della strada, alza la mano nel saluto. Schiocca secco il pungolo di numerosi indigeni che arano la terra. Anche se il vomero in legno appena abbocca la superficie, basterà loro perchè rigoglioso sorga il "taft".
Lentamente i colli si allontanano e confondono all'orizzonte. Siamo nella vasta pianura, fertilissima, ma incolta. Il sole batte in tutto il suo splendore, perpendicolarmente alle nostre teste. E' mezzogiorno: la pista non è che un nero acquitrinio e oguno deve farsi, per proprio conto, la propria strada. Bisgona andare avanti, fino a che le tenebrenon ci raggiungano, fino a che Gorgorà non appaia alla nostra vista.
Qualche motore cede, uno si impanna, un altro stride fragoroso. E' un brontolare continuo nel silenzio della pianura. Ma che succede ora? Tutti i militi sono a terra.Il "34" ha un sobbalzo, come di ultimo respiro, e si arresta. Di andare avanti non vuol sapere.Slittano le ruote nella fanghiglia e girano a vuoto.Due cavi di acciaio sulle sponde, sessanta braccia che tirano, tirano disperatamente. Forza ragazzi, che un lampo, sulla sinistra verso Ifag, promette la pioggia. Bisogna uscire dalla pianura ad ogni costo prima che il temporale si avvicini e ci raggiunga. E per ore e ore ansimando, slittando, arzighegolando per la piana senza strada si va verso la nostra destinazione mentre il cielo è tutto nero. I prossimi colli sono raggiunti, si sale e si scende. I fari illuminano la cavalcata che ha del fantastico. Un guado è presto sorpassato. Alcune lucciole, vaganti come fantasmi, si avvicinano, si allontano, roteano fra gli arbusti. Si ritrova la pista, finalmente! Scivolano le macchine con nuovo ardore. Ancora due chilometri, un chilometro, le prime gocce. Come un cannone, brontola il tuono. Ma la meta è raggiunta; dieci ore circa ci hanno portato da Azozò a Gorgorà.

Gorgorà


E' bella, ridente, anche se appena al suo sorgere. Piantata su una piccola penisola, con a ridosso alcuni colli, ove tra massi imponenti dei sicomori proiettano la loro ombra, Gorgorà attende il momento di assurgere a quell'importanza che posizione e fertilità delle terre vicine le danno diritto. I militi tutti, la conoscevano da tempo, per le numerose scorte effettuatevi. Sulle spumeggianti e iridescenti acque del Tana, riposano ora tranquilli, attendendo di raggiungere, via lago, Bahar-Dar e Mescentì.

La visita di S.E. Teruzzi


I legionari sono tutti a nuovo. Sembrano tante reclute avviate appena al reggimento. Scarpe, caschi, divise, brillano al sole del mattino. Fra poche ore S.E. Teruzzi sarà in visita a Gorgorà. Bandiere e festoni ovunque. E autocarri, automobili che passano, carichi di persone, sulla strada pulita e inghiaiata.
"Gorgorà fascista saluta alla voce il legionario d'Africa e di Spagna" sta scritto su un telone vicino al nostro accampamento. Il 97° battaglione, con le sue fila serrate e compatte, protenderà i suoi pugnali simbolo di forza e di disciplina, di abnegazione e di fede. Sarà questo, il saluto più bello e certamente più gradito per il rappresentante dell'Italia fascista e guerriera.


Bruno Minucci