Il Telegrafo del 23 ottobre 1942
Senesi combattenti in Russia
Fronte Russo, ottobre
Era notte profonda. La luna nel suo primo quarto ci aveva regalato una fettuccia di tenue luce, che era apparsa nel tardo pomeriggio e scomparsa tra i bagliori rossastri del tramonto. Oscurità completa sulla steppa sterminata, tra le alte erbe mosse da una leggera brezza, e poste sul cammino a rendere ancor più difficile il nostro andar di notte.
Eravamo diretti ad un caposaldo avanzato sul Don. Da quasi un'ora si procedeva nell'oscurità trainando a braccia i cannoncini anticarro. Gli autocarri ci avevano condotti sino a sei chilometri dalla linea del fuoco e siu erano fermati, impossibilitati a procedere a fari spenti lungo la scassata pista ed attraverso i campi erbosi. Silenzio assoluto nella colonna in marcia. Gli uomini, ansanti nello sforzo richiesto dal traino dei pezzi sul terreno, che lentamente ma continuamente saliva, non avevano voglia, nè modo, nè tempo di parlare. Un breve alt, la sosta necessaria per riprender fiato, per riscandare coll'alito caldo le dita che incominciavano a risentire il rigido effetto della brezza ottobrina e per riconoscere il terreno davanti a noi. Una voce sussurrò: "Almeno si potesse fumare..." Imperiosa, quella del comandante, rispose: "Silenzio! E avanti".
Ancora poche centinaia di metri e nella notta risuonò l'interrogativo di una vedetta:
- Chi va là?
- Truppa in marcia, fu risposto
- Altolà!, intimò la sentinella, farsi riconoscere.
Fu sussurrata la parola d'ordine: il nome di una città dalla "ci" iniziale; il fante - che si trattava di un fante della "Ravenna" - rispose colla controparola: un nome di uomo ancora dalla "ci" iniziale. Udimmo chiaramente la risposta; e dal modo con cui fu pronunciata la consonante, che per i senesi e nutrimento della parola, capimmo subito che la vedetta era di casa nostra; se non proprio di Siena, al massimo dello Stellino, della Costafabbri o dei Due Ponti. E, passando vicini alla sentinella, chiedemmo, certi di aver risposta affermativa:
- Sei di Siena?
- Anche a occhio! esclamò il fante.
- Di dove?
- Della 'hiocciola. Sto al pozzo di San Marco. E tu di che contrada sei? Proprio così ci chiese: "Di che contrda sei?", perchè anch'egli aveva riconosciuto il senese di primo acchito.
- Io so' del Nicchio. Sto vicino alla 'hiesa de' Pispini.
- Dov'andate?
- A quota X... E' lontano?
- Macchè! Siete bell'e arrivati. C'è la mi' 'ompagnia là. Fra dieci minuti smonto. Ci si vede lassù. Te sei coll'anticarro dei battaglioni "M", vero?
- Si.
- Io so' al seondo plotone. Vieni a cercarmi...o sennò vengo io. Ce l'hai da fumare? ... Si? ... Benone, Dio bonino! Io c'ho un agvettino di cognacche ... mi so' arrangiato stamani quando so' di 'omandata alla spesa: al magazzino c'era un caporale di fori porta Ovile, e con lui qualcosa si sgrana sempre...Addio a poi.
Ci rivedemmo dopo un'oretta. Il fante di San Marco venne a trovarmi nella trincerotta che avevamo scavato vicino al nostro pezzo; portò il "cognacche", noi tirammo fuori un pacchetto di "nazionali" e fino all'alba, senza nemmeno sentire il bisogno di dormire, rimanemmo in conversazione. Argomento unico: Siena. Entrambi avevamo tante cose da dirci. Tutte quelle piccole cose che gli altri, i non nati all'ombra del Mangia, non comprendono e non compenderanno mai.
Parlammo, s'intende, di Palio, delle "citte", di amici e conoscenti comuni, bollammo qualche cronico imboscato, rievocammo le mostre dei vini, con tanta nostalgia perchè in Russia la vite non alligna, e ci commuovemmo un tantino quando il discorso cadde sulle bellezze della città dei sogni, quando le labbra incominciarono a mormorare come un una prece di adorazione: "Ma quanto sarà bello il Domo... tutto bianco e nero... E la Torre?... La torre che sembra l'anima di Siena salente al cielo... Ma non parliamo della Fortezza, a quest'ora di notte: pare il paradiso, da dove guardano le 'ose più belle del mondo: Siena, S. Domenio, la 'ostaccia, l'Amiata, San Giovanni... e tutte le 'olline... e le 'ose... Un ne parliamo più! Se no si sta troppo male..."
Era la prima volta che incontravamo un senese, che parlavamo con un senese, senza tener conto, s'intende, dei pochi comprovinciali che ci sono continuamente vicini perchè appartenenti ai nostri battaglioni. E proprio quella notte si maturò in noi il proponimento di dedicare una delle nostre ore di libertà alla compilazione di un "pezzo" riservato esclusivamente ai senesi combattenti in Russia. Ed eccoci al lavoro.
Quanti sono i figli di Siena operanti al Fronte Russo? Chissà. Forse cento, forse più. Sfuggono ad un preciso calcolo perchè suddivisi nei vari reparti e sparsi un pò ovunque nel settore della grande ansa del Don.br>
Un nucleo, forse più numeroso, è formato dagli autieri. Di alcuni di questi il nostro giornale pubblicò tempo fa una bella fotografia ripresa a Voronesch, sulla base di quello che fu il monumento a Stalin. Gli autieri, contrariamente a quanto il profano di cose di guerra può esser portato a pensare ed a credere, sono in Russia autentici combattenti in primissima linea. Sono loro che alimentano le arterie del fronte e danno vita a tutto il corpo guerriero; sono loro, instancabili, insonni, legati alla macchina ed alla pista coperta di polvere, o di fango e ben presto di neve, che fanno giungere sin sulle linee più avanzate gli alimenti per i corpi e per le armi: loro che viaggiano sempre, anche quando la strada è battuta dal fuoco nemicoe che molto spesso si spingono sul terreno della battaglia per raccogliere e portare in salvo i feriti coi loro autocarri, o per impugnare il moschetto, fanti fra i fanti.
Tra i vari autoreparti quelli ove prestano servizio i senesi sono numerosi e numerosissime le macchine condotte da gente della Balzana. Ragazzi allegri, pieni di salute, esuberanti di spirito, i nostri concittadini e comprovinciali si distinguono, si fanno amare e stimare da tutti.
Ci scriveva giorni fa il sergente maggiore T...: "...ma la più grande soddisfazione, oltre a quella che deriva dal compiere con fede e volontà il nostro dovere, deriva dal fatto che tutti, tutti indistintamente, abbiamo una salute di acciaio e della stima che noi senesi godiamo da parte di tutti i superiori e camerati. In definitiva, si può affermare che qui, al X... autoreparto, Siena spopola!".
Ed hanno un sistema speciale per farsi riconoscere. Il caporale A..., quello che vedemmo un giorno di sfuggita per un solo istante, e che ci ammonì di non comprare le "sarage guisciole" perchè "fannò veni' lo storcibudello", ci ha indicato per iscritto il modo migliore per individuare le macchine condotte dai senesi: "...e quando appiccicata al parabrezza vedi una cartolina colla Torre o col Duomo, o il figurino o la comparsa di una contrada, oppure in una parte qualsiasi della macchina ci è scritto Bruco, o Oca, o Istrice, puoi aprire lo sportello a colpo sicuro: in cabina c'è uno di Siena".
Ma non sono soltanto nelle cabine degli autocarri, i senesi. Molti prestano servizio alla sussistenza, particolarmente nelle squadre panettieri. Sono qua ormai da sedici mesi. Hanno impastato acqua e farina in Ucraina, confezionato pagnotte a Stalino ed ora informano e sfornano lungo le sponde del Don, contenti della loro fatica, fieri del contributo che danno alla vittoria, allegri sempre e sempre col pensiero rivolto alla loro indimenticabile città. Il caporale B... , vecchio nostro amico... di palcoscenico, scriveva un giorno: "...il pane che facciamo non sarà speciale, ma ti garantisco che dentro c'è tutta la nostra buona volontà. E poi, se non siete contenti, venite voi a farlo: noi verremo a fare la guerra. Vedrai che sapremo combattere come voi, ma voi chissà cosa ci farete mangiare..." E passando dal faceto al serio, concludeva: "...noi qua si ricorda sempre Siena e puoi immaginare con quanto amore. Scrivilo sul giornale, ci farai un grande piacere, che stiamo benone, siamo contenti e desideriamo soltanto esser bravi soldati per servire la Patria e fare onore alla nostra città".
Ed eccolo accontentato il nostro caro B... E con lui tutti i panettieri e gli altri senesi della sussistenza - anche quelli che qualche volta battezzano il vino della razione - che stanno benone, sono contenti e desiderano soltanto esser bravi soldati per servire la Patria e fare onore alla nostra città.
Un paio di mesi fa, a tergo di una ricevuta di un vaglia, compilata in un ufficio di Posta Militare, leggemmo due parole di saluto. Il sergente M.M., vecchio e noto sportivo senese, ci indicava con questo mezzo la sua presenza in Russia. Gli scrivemmo per ricambiare i saluti e chiedergli carta da scrivere. Rispose inviandoci un pacco di cancelleria accompagnato da una breve lettera. A chiusura di questa un motto: "Cor Magis Tibi Sena Pandit". Ai camerati, coi quali dividemmo carta ed inchiostro, spiegammo il significato del "Cor Magis... ". Spontaneamente un legionario esclamò: "Se tutti i senesi sono come il vostro amico e come voi, mai sentenza più giusta fu scolpita sulla pietra!". E, sia detto francamente, al nostro animo di senesi questo riconoscimento fu assai gradito, perchè tornava a tutto vantaggio della città della Lupa.
Nella Divisione Celere, sia gtra i piumati del 3° e sia nel Reggimento artiglieria, ancora senesi. Ce ne dà notizia il Tenente C...: "Comando una sezione e tra i serventi ho sette od otto ragazzi della Provincia, artiglieri di tempra e soldati disciplinatissimi. Essi mi ricordano il tuo paese e la tua, che è un pò anche mia, città. Per loro e per Siena ho battezzati i cannoni della sezione "Provenzano" e "Cecco": un guerriero e un poeta nostrani; due nomi che rispecchiamo tutta la eroica poesia che in questi giorni pervade gli animi dei combattenti". Il Sottotenente Z..., comandante un plotone del 3° Bersaglieri, così si è espresso recentemente in un breve suo scritto: "Che gioia, caro Corsi, a comandare questi ragazzi che sanno essere diavoli e santi. E quanto più grande gioia vedere come i nostri comprovinciali si distinguono tra tutti in tutto. Purtroppo sono pochi i senesi al 3°, ma, come si dice da noi, nella botte piccina ci sta il vino buono..."
E nelle varie divisioni di fanteria, nei reggimenti di artiglieria, nei reparti guastatori, nelle sezioni genio, tra le fila della sanità, ovunque insomma, Siena ha la sua rappresentanza di giovinezza e di cuori.
Artisti ed artigiani, professionisti ed operai, contadini ed impiegati, ricchi e poveri, usciti dall'Ateneo e dalle botteghe, venuti dalle solatie campagne e dalle vecchie contrade, discesi dalle verdi colline e risaliti dai piani delle valli, i figli di Siena, al pari di cento e mille loro fratelli operanti in Egitto e in Balcania, operano sul fronte russo ed aggiungono nuove luminose pagine al grande libro delle tradizioni guerriere ed eroiche della fiera città ghibellina, che nei secoli e da secoli continua ad insegnare "...a non piegar l'insegna".
Da nord a sud, lungo le contese sponde del grande fiume dei cosacchi, sono nei ranghi dell'Esercito della vittoria i soldati senesi.
Tutti lieti, tutti sani, tutti sereni rivolgono il loro pensiero ai cari ed alle case lontane e combattono da bravi, a nessuno secondinella dedizione e nell'offerta di se stessi alla Patria.
Vorremmo poterli citare per nome tutti, questi camerati; vorremmo poter, attraverso una serie di nomi, di fatti e di episodi, lumeggiare come merita l'opera dei concittadini e comprovinciali, ma mancano il tempo e lo spazio. Del resto ciò non ha eccessiva importanza. I nomi sono quelli dei gloriosi soldati d'Italia, i fatti e gli episodi s'inquadrano negli epici avvenimenti che ad oriente preludono il sorgere di un'alba di totale vittoria del bene sul male, dello spirito sulla materia.
Lungo le piste passano veloci gli autoreparti: e qualche macchina ha sul parabrezza una cartolina raffigurante qualcosa che Siena ricorda; lavorano i panettieri cantarellando uno stornello del Palio o una romanza campestre del senese; in un ufficio di Posta Militare un sottufficiale bolla la corrispondenza diretta al fronte e pensa, forse, al vecchio "Roburrone"; due pezzi d'artiglieria dai nomi di un guerriero e di un poeta antichi, brontolano e vomitano acciaio; una schiera di piumati centauri corre e corre alla battaglia, con in testa un tenentino che, magari, urla ai suoi bersaglieri: "Sotto regazzi, facciamo vedere chi sono i Senesi!"; e più qua e più là, dove si lavora e si combatte, dove si prodiga assistenza ai feriti e si si soffre goiiosamente per il sangue versato ieri, tante voci risuonano, in un idioma che è un canto, in un accento che è musica.
Qui, in un campo legionario, è ancora un senese; e scrive di senesi. E davanti, laggiù dietro a quella collina dall'alto della quale fa capolino il diroccato campanile di una chiesa, sono ancora i figli di Siena. Questi non scrivono. Per loro - i più buoni, i più bravi, i più nobili - qualcuno scrisse su una bianca croce: "Nato a Siena il X... X... Morto per la Patria il X... X...
Ci giunge all'orecchio la voce di un camerata di Castelnuovo Berardenga, nostro commilitone; canta una musica che infiamma e fa fremere:
"Squilli la fe' - S'armi e vince l'onore - In te dolce fiore - Siena gentil..."
Dino Corsi