Il Telegrafo del 15 agosto 1942
Eroismo e fede animano ognora i nostri combattenti

Da una corrispondenza del nostro collaboratore Dino Corsi, operante sul fronte russo, stralciamo i seguenti brani certi di far cosa gradita ai nostri lettori che troveranno in essi ancora una prova dell'elevatissimo spirito e della fede incrollabile che animano ognora i nostri combattenti:
Curiosa questa guerra che si combatte lungo un fronte di migliaia e migliaia di chilometri e che, purtuttavia, si perde sul terreno attraverso una serie infinita di episodi e sembra sfuggire chi di essa va in cerca. Dov'è il fronte?, vien fatto sovente di domandare; e qualche persona è sempre pronta a rispondere; ieri, o due, o tre o cinque giorni fa, era qui, proprio in questo paese; oggi è assai più avanti, verso nord-est, o verso sud-est. I nostri avanzano...
Avanzano tanto celermente i nostri che sino ad oggi non ci è stato possibile raggiungerli. E' naturale che se così è stato, così doveva essere. Ma il legionario viaggiante ormai da venti giorni su questi tentativi di strade, di mari di polvere, or oceani di fanghiglia, il legionario, che forse aveva pensato in cuor suo di menar le mani appena giunto alla stazione ferroviaria di M., questo legionario, paziente sempre anche nei momenti più duri, è impaziente allorchè vede ritardare l'ora dell'azione, e non riesce a comprendere la necessità di queste soste, l'utilità di itinerari apparente destinati ad allungare il percorso e tutte le altre mille ed una cose che rendon lento lo spostamento lungo retrovie pressochè sprovviste di rete stradale per una grande unità guerriera.
Dicevamo dunque, dunque, che stiamo inseguendo la guerra; proprio così, infatti. Da venti giorni transitiamo laddove la battaglia ha infuriato e da venti giorni, sempre per un pelo, ci vediamo sfuggire l'occasione di prender parte a qualcuno degli spettacoli di masse che si svolgono sull'intero il proscenio delimitato da due singolari "laterali": il Baltico e il Mar Nero.
Resta inteso, però, che quando queste note saranno lette, cioè tra una quindicina di giorni o giù di lì, anche noi avremo fatto il nostro ingresso in scena e già recitate alcune di quelle "battute" che i legionari "M" hanno mandato a memoria durante le "prove" effettuate in Africa Orientale, in Spagna, sul Fronte occidentale, in marmarica, in Grecia e nei Balcani. Ciò è ormai certo, come è certo, del resto, che sino al momento in cui scriviamo della guerra, di quella vera per davvero, non abbiam visto che le spalle; la fronte no. Ammenochè non si voglia - e noi proprio non lo vogliamo - dare importanza eccessiva ad un modesto, meschino è meglio detto, attacco aereo subito una sera fa e che narriamo volentieri perchè a lieto fine.
Eravamo accampati nei giardini pubblici di M., un paesino di tremila abitanti (non diciamo anime perchè vattelapesca dove hanno l'anima questi paesani che han fatto della Chiesa un sito granario e seppelliscono i morti ponendo sulle tombe una grande stella rossa al posto della Croce), a carattere industriale e minerario. Vi eravamo giunti, a M., la mattina, dopo un breve viaggio lungo un pista seminata di rottami di ogni genere e carri armati fatti fuori. La giornata, tutta, era trascorsa tranquilla; la sera - un tramonto rapido come quelli africani e poi il celere progressivo imbrunire - aveva lasciato il posto ad una notte fatta apposta per definire una volta per sempre la vecchia questione sul preciso numero delle stelle visibili ad occhio nudo. Sotto le tende non si dormiva; si canticchiava, si narravano storie d'amore e di guerra. In una nei pressi della nostra, un legionario delle montagne abruzzesi raccontava le straordinarie avventure dei briganti dal cuore di bimbo.
Il nostro orecchio, teso nell'ascoltare le prodezze del bandito d'Abruzzo, seguiva con interesse il racconto. La voce del legionario giungeva tenue, ma distinta. Eravamo arrivati al punto in cui "il brigante dal cuore di piccirillo baciò la Croce e puntò lo schioppo contro il malcostumato marchese...", quando: Pim! Pum! Ciff Ciaff...un rosario di scoppi lontani e vicini e su nel cielo uno spettacolo pirotecnico mai visto.
Brusìo, mormorio nel campo. Nessun segno di confusione. Molta curiosità. L'ufficiale di guardia gridò: Aerei nemici! Smontate tutte le luci! Un bello spirito, di rimando, rispose: Silenzio! Sennò quelli ci sentono!
Le lame lucenti delle cellule fotoelettriche duellarono nello spazio in cerca dell'insidia. Le batterie antiaeree, le nostre batterie tessevano nell'aria una rete d'acciaio. D'un tratto il cielo fu un immensa sfera luminosa; l'apparecchio avversario - si trattava di un solo bombardiere - aveva gettato i suoi razzi illuminanti, il nostro campo fu come avvolto da un manto di luce; per alcuni istanti il chiarore ci accecò.
- Cerca noi, mormorò qualcuno.
- Cosa vuoi che cerchi a quest'ora, rispose un altro, la farmacia?
Che l'aereo russo non cercava affatto la farmacia fu subito dimostrato. Appena spentosi il fulgere dei razzi, uno, due, tre sibili. Poi gli scoppi vicini. Tanto vicini che il solito bello spirito di prma urlò: Chiudete le tende, sennò entrano le schegge.
L'apparecchio si allontanò, poi lo sentimmo rimbombare vicino, quasi sopra le nostre teste. A questo punto, però, le schermaglie delle lami lucenti vibrò tutta una serie di stoccate e al bombardiere fu serrato in una morsa di luce. Tentò di fuggire gettandosi in picchiata, ma le lame aventi per elsa le fotoelettriche si erano infisse nella carlinga e calarono con lui. Le batterie ripresero il fuoco. Pochi colpi e lo spettacolo pirotecnico finì con l'ultima colossale fiammata, che tracciò un arco tra il cielo e la terra.
Ilracconto è finito. Tutto qui? domanderà il lettore. Tutto qui, rispondiamo noi. E per oggi, francamente, non abbiamo nulla di più emozionante da narrare. Speriamo in seguito.
Il seguito verrà assai presto. Proprio stamani ne abbiamo avuto conferma. Era da poco suonata la sveglia ed il campo era tutto una distesa di più o meno candidi asciugatoi; gli uomini, a dorso nudo, prima ancora di sorbire il caffè, sbandieravano le salviette attorno alle faccie gocciolanti dell'acqua della vicina fontana; le vedette, che avevan prestato servizio per le ultime ore della notte e le prime del mattino, ricevano il cambio dai camerati incaricati del servizio diurno e noi stavamo tranquillamente sbocconcellando l'ultimo residuo di pagnotta dentro la gavetta, quando un portaordini percorse velocemente lo schieramento delle tende gridando: Comandanti di plotone e di squadra a rapporto!
Via di corsa verso il Comando di Compagnia. Il Centurione G. M., comandante il nostro reparto anticarro, accolse gli ufficiali ed i sottufficiali con la più consolante delle notizie. Oggi partiamo per andare in linea.
Tutti gli occhi si posarono sulla grande carta del settore e seguirononcon attenzione l'indice del comandante che indicava le tappe del percorso: Qui siamo noi... Qui un bivio ... Andremo a destra ... Prenderemo questa pista ... Raggiungeremo X...., poi B., e ci fermeremo qui, a Z..., in attesa di ulteriori ordini. Capito? ... Leveremo subito il campo.
Provvedete alla sistemazione dei carichi e delle macchine. Alle nove rancio. In mezz'ora si distribuisce, si mangia e si lava la gavetta, ribattè. Non voglio gavette sporche nelle borse tattiche. Borraccie e bidonin pieni d'acqua. Provvedere subito. ALle nove e mezzo partenza. Alle nove in punto. Ognuno mi risponderà dei propri uomini, macchine e materiali. Capito? ... Via, al lavoro!
Un attimo e poi su e giù per l'accampamento risuonò l'ordine ormai tradizionale. Disfare le tende, affardellare gli zaini!

Dino Corsi