Il Telegrafo del 16 dicembre 1942
Storie di gatti, di topi e di un legionario finto tonto
Fronte russo, dicembre
G... è un paese rivierasco che specchia le sue casette, la chiesa ortodossa dal campanile a forma di minareto e la macchia verde di un boschetto di roveri nelle acque del Don. Il paese è disabitato da varii mesi. Le nostre trincee passano su un altura a poche centinaia di metri dal villaggio, da dove si dominano il piccolo centro urbano e le linee avversarie sulla opposta sponda.
Recarsi a G..., percorrere cioè il breve tratto di steppa in leggera discesa che va dalle ridotte alle prime case, è proibito. Nessuna disposizione, invero, vieta di avventurarsi nell'abitato, ma la proibizione è dovuta al fatto che sulla riva orientale del Don i russi vegliano continuamente, sempre pronti ad accogliere con il non gradito "ta-pum" dei moschetti a cannocchiale, collo sgranare di nastri e nastri da mitraglia e, infine, colla sempre fastidiosa pioggia di bombe dei loro mortai chi di noi si prendesse la briga di fare una passeggiatina tra le strade di G...
Fino a poco tempo fa la cosa era diversa. Si andava al paese; di notte, magari, ma si andava. Squadre e pattuglie han continuato un buon mese a fare incursioni tra le case semidistrutte dai tiri dell'artiglieria al fine di racimolare materiali varii, come infissi, legname, vetri ecc., atti ad una sempre migliore sistemazione dei rifugi invernali costruiti a ridosso delle trincee. Ma dài oggi, dài domani, i russi si accorsero del giochetto e giù botte da non dirsi. Per un solo uomo che si avvicinava al villaggio eran centinaia di colpi di tutte le armi a salutare il malaugurato, che messo al bivio tra il tornarsene a mani vuote a da quasi assoluta certezza di prendersi una buona razione di piombo caldo, propendeva per la prima soluzione e rientrava al proprio rifugio mormorando la frase divenuta ormai di prammatica: Disco chiuso.
Permanendo la chiusura dell'eccezionale disco, a G... è scomparso ogni segno di vita umana. Non diciamo animale perchè qualcosa di vivo e vitale esiste ancora nel villaggio: i gatti.
Quanto siano i felini domestici vaganti tra macerie e ruderi e componenti la massa corale che concerta di notte al chiar di luna sbizzarrendosi in tutta una sinfonica scala di miagolii, non potremmo dirlo perchè non abbiamo mai avuto possibilità e desiderio di contarli, ma il fatto certo è che a G... ci sono dei gatti. E per la nostra storia questo soltanto è importante sapere, dopo aver saputo che se a G... vi sono i gatti, nelle trincee non mancano i topi.
Forse perchè spaventati dalla vicinanza dei loro divoratori, i topi, tutti i topi della steppa - e sono migliaia e forse milioni - si sono rifugiati nei nostri sotterranei alloggi e la fan da padroni incontrastati tra zaini e pagnotte, tra coperte e gallette. Roba da non dirsi! Sfacciati, i topolini, fino al punto di venire a passeggiarti sulla faccia - mentre riposi -, di rintanarsi al calduccio nelle tasche del tuo pastrano, e, magari, di fare addirittura il nido dentro una delle scarpe di riserva, da te gelosamente riempite di paglia per meglio preservarle all'umidità.
E ti guardano, le bestiole, furbescamente e par ti pungano quando i loro occhietti simili a capocchie di vecchi spilli sembrano dire: I gatti non ci sono, qui comandiamo noi.
I soldati si sono dati da fare costruendo trappole su trappole, ma, si sa, son...trappole. Astuti e fini, i topi hanno imparato il giochetto: mangiano il formaggio, lasciano il loro segno, e proseguono liberamente l'andirivieni indisturbato.
Tra i più accaniti cacciatori di ratti è un legionario. Un soldato di quelli che non parlan mai, dall'aria assonnata e distratta e dall'aspetto non troppo intelligente. Taciturno e solitario per natura, è con noi eccezionalmente espansivo. Da permanente fu al 5° Bersaglieri e questo fatto ci ha permesso di entrare nelle sue confidenze. Perciò ieri, mentre in baracca si discuteva sul modo migliore per spengere la molesta schiera dei roditori e lui era intento a confezionare con filo spinato da reticolati un nuovo tipo di trappola - il dodicesimo, per la storia -, ci venne fatto di voler prendere cordialmente in giro il nostro vercchio bersagliere e gli dicemmo, sforzandoci ad apparire seri e convincenti: - Ma perchè non la pianti con codesti lavori?... Oramai la fine dei topi è decretata. Dall'Italia è arrivato un vagone di gatti.
- Davvero? - chiese lui con aria stupefatta - davvero?... E li daranno pure a noi?
- Certamente - rispondemmo. - Occorre prelavarli al Comando Compagnia: due gatti per plotone.
- Ci vuole il buono di prelevamento? - chiese ancora.
- No, senza buono... - Era assai difficile mantenersi serii, ma ci sforzammo per continuare nello scherzo, che stava prendendo una piega divertentee imprevista. Lui riprese:
- Allora vado io a prenderli? Posso andar subito?
- Ma si! Vai subito! - La risata a stento contenuta era lì lì per scoppiare. Ma resistemmo, noi e tutti i presenti, fino a che non lo vedemmo scomparire lungo il camminamento: se ne andava col suo consueto procedere barcollante, col moschetto a travolla, l'elmetto calcato sugli occhi, il bavero della pelliccia rialzato e sul collo, a mo' di sciarpa, un sacchetto vuoto, il sacchetto per i gatti!...
Dato sfogo alla propria allegria, ci attaccammo al telefono. Volevamo continuare lo scherzo, portarlo fino in fondo.
- Pronto?... Pronto?... Comando Compagnia?... Sei tu P...? Qua primo plotone... No, nessuna novità, tutto a posto... Volevo dirti questo: verrà da te F..., a prelevare due gatti... Non ridere: gli abbiamo fatto credere che ne sono arrivati un vagone dall'Italia... Come dici? Hai in trappola due topi vivi?... Benone!... Si, si!... Consegnali i topi, vedrai la faccia che farà!... Grazie...
Passò un quarto d'ora, mezz'ora; il legionario doveva esser prossimo al ritorno. D'un tratto, al di là del Don cominciò la musica: "ta-pum, ta-pum"... E giù sventagliate di mitraglia. Il concertino durò qualche minuto, poi tornò la calma. Una vedetta gridò: Sparavano verso G... C'era qualcuno nel paese: ho veduto un uomo attraversare di corsa la piana davanti alle case: era dei nostri, il grigioverde spiccava sulla neve. Speriamo non l'abbiano beccato!
- Non mi hanno beccato, ho la pelle dura io!
Ciò dicendo...quello del prelevamento fece il suo ingresso nel rifugio. Imbrattato di neve sino al ginocchio, ansante e sudato, ma col faccione sorridente e tutto soffuso da un'aria sorniona che mai avemmo supporto in lui. Depose delicatamente a terra il sacco, nel cui interno qualcosa si muoveva e, guardandosi intorno, borbottò: - Ecco i due gatti. Anche col disco chiuso il vagone è arrivato a G... Si possono prelevare ancora: ci sono gatti e proiettili per tutti. Ma non vi consiglio andar laggiù perchè voi non siete come me duri di pelle... e di testa.
Si chinò a slegare il sacco e ne trasse due gattini: uno bianco e l'altro nero. Ce li mostrò tenendoli per la collottola e disse ancora, a noi, soltanto a noi questa volta: - Non paiono la bandiera di Siena?
Vincemmo la tentazione di abbracciarlo: ma quel giorno rimanemmo senza vino, perchè la nostra razione la offrimmo a lui, al vecchio bersagliere del Quinto.
Dino Corsi