Il Telegrafo del 21 luglio 1942
Con un battaglione "M" verso il fronte russo (I parte)

Dal nostro collaboratore Dino Corsi oeprante con un Battaglione M sul fronte russo riceviamo una serie di impressioni di viaggio attraverso l'Europa che rivelano da quale fede e da quanto entusiasmo siano animati i legionari per il compimento del loro dovere verso la Patria.

Dal fronte russo, luglio
Dopo giorni e settimane di or lento or veloce andare attraverso paesi, regioni e Stati d'Europa, la tradotta ci ha fatta raggiungere la destinazione da tanto sognata. Fermi nelle immediate retrovie del fronte russo, che sarà ben presto il fronte della vittoria, in attesa di prendere posto sugli automezzi che ci porteranno al posto di combattimento, riassumiamo brevemente le impressioni salienti di un viaggio che, effettuato negli attuali momenti ed in circostanze tanto entusiasmanti, acquista una suo valore e significato particolari, per nulla simili a quelli di comuni viaggi d'altri tempi; più comodi, assai più comodi se si vuole, ma tanto meno belli e suscitatori di emozioni e commozioni.
Partito dalla sua ultima sede piemontese, il Battaglione "M" al quale abbiamo la fortuna di appartenere, si ebbe il generoso, entusiata, fraterno saluto di paesi e delle città italiane attraversate fino al suo giungere alla frontiera del Brennero. E lassù, sulle alpi dal puro candido di cime nevose l'arrivederci cordiale e l'augurio, auspicio di vittoria, della Patria simboleggiata dal Tricolore ondegggiante alle prime brezze del mattino e dai giiosi suoni degli ottoni dei camerati legionari della confinaria. Poi la corsa oltre il divino suolo d'Italia, il vero inizio del viaggio verso il naturale campo d'azione dei battaglioni "M": il fronte russo. Laddove, vittoriosa, continua la marcia trionfale iniziatasi in un lontano nel tempo quanto vicino nei cuori Ottobre rivoluzionario.
Dire l'emozione, il patema d'animo, il turbine dei pensieri ed il lavorio delle pupille nell'atto di lasciare, forse per sempre, il Paese del sole, il nostro benedetto Paese, è cosa un pò difficile. Mai, al momento di lasciare l'Italia, provammo ciò che sentimmo lassù al brennerp in quel primo mattino di questa estate opima di fortuna patria quanto di dorate messi. Piangemmo noi? Piansero i nostri camerati? Non sappiamo. Ma se lacrime vi furono, furono - si scusi il paragone - le lacrime della novella sposa che lascia la casa avita per andare verso la tanto sospirata felicità.

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Il Tirolo ci venne incontro con una festa di luci, colori e caratteristici costumi. Fummo colpiti dall'ordine perfetto, disciplina e pulizia di ogni abitato, borgata, paese, città. Impressione questa che permarrà in noi, per tutta la durata del viaggio in Germania.E sempre, durante questo periodo, avemmo sotto gli occhi le prove evidenti di un'organizzazione interna che può ben dirsi perfetta.
Dilungarci in particolari sulla Nazione amica non è nelle nostre possibilità; la rapida corsa attraverso il territorio tedesco ha però concesso - ed ha concesso a tutti quelli che come noi si sono protesi per ore e per giorni oltre l'apertura della tradotta a mangiarsi con gli occhi tutti i particolari afferrabili - di valutare la potenza del fronte interno germanico.
Ovunque si lavora. E tutti lavorano, uomini e donne. Gli sfaccendati per le vie non esistono; durante la giornata le strade di ogni piccolo o grande centro appaiono semideserte; la gente, tutta la gente, è al lavoro per la guerra vittoriosa. Nei campi, nelle officine, nelle case, negli uffici.
Nei campi è un fervore operoso caratterizzato dai canti delle donne e dei fanciulli, che compongono la quasi totalità dell'esercito della terra in sostituzione degli uomini che fan forti le Armate; nelle officine, in quei mastodontici cantieri che impressionano colla loro mole e assordiscono coi mille rumori si forgiano i mezzi per la vittoria e con serietà, fede e volontà acciaiata si combatte una delle più dure ed utili battaglie; nelle case, donne - le poche indispensabili al buon andamento della famiglia, giacchè la quasi maggioranza sono un pò ovunque impegnate, in vece dei maschi - si prodigano in mille modi per rendersi ancora più utili alla Patria e rubano minuti ed ore alle faccende domestiche per contribuire, più o meno efficacemente, al potenziamento della Nazione. Negli uffici, che non abbiamo visitato ma soltanto intravisti, immaginiamo una grande centrale di intelligenza, che coordina, predispone e dirige.
Su tutto questo, su questa alacre quanto diciplinata attività, le'ntusiasmo più genuino, la certezza nel trionfo finale, la cieca fiducia nel grande Capo. Tutto, in Germania, parla della guerra, perchè per la guerra e solo per questa, oggi là si vive. Bocche che si schiudono nel sorriso o si aprono in un canto, occhi che brillano, braccia che si stendono nel romano segno di saluto: questo per gli uomini.
Ed anche le cose sembrano sentire la grandezza del momento presente; i campi dan prodotti abbondanti, le fabbriche moltiplicano la produzione, i treno corrono più veloci e tutto, dal casolare di campagna al palazzo della gran città, dai boschi di abeti ai fiumi, dalle levigate strade agli storici monumenti, tutto par soffuso di un calore festoso. Ovunque; da ovunque par di sentire dire, ripetere, gridare con gioiosa fermezza: Vinceremo! Vinceranno la Germania e l'Italia!
L'Italia, per i tedeschi, non è l'alleata; è la nazione sorella; i soldati italiani, - le Camicie nere in special modo - sono gli idoli del popolo amico. Da Norimberga, la nostra tradotta, durante una lunga sosta, è stata ssalita dall'entusiasmo popolare, che ha voluto gridare ai soldati di Mussolini l'onore delle genti d'Oltralpe. Descrivere quelle ore è impossibile, dire soltanto in minima parte degli episodi di gentilezza e delle prove di affetto è impresa da titani. Se non temessimo di offendere la proverbiale serietà dei germanici, diciamo addirittura che nei pressi della stazione, la storica città sia impazzita. Proprio così: impazzita. Come Siena nei giorni del Palio.
Dappertutto, però, come a Norimberga. Più o meno, a seconda della durata della sosta. E dappertutto noi piccoli uomini, investiti dal grande onore di portare il nome d'Italia per le vie del Mondo, sentiamo pulsare vicino a quello di Roma il cuore di Berlino, confusa alla nostra anime di italiani sentiamo quella degli uomini e delle donne del Fuhrer, nei nostri spiriti ardenti di soldati sentiamo alitare lo spirito dei camerati tedeschi. E fummo contenti. Per noi si, ma maggiormente per la Patria amata alla quale dobbiamo la riconoscenza senza limiti per averci dato la gioia e l'orgoglio di essere italiani; uomini cioè che nel nome del Duce vanno per il mondo a farsi amare, a combattere e a vincere.

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A notte inoltrata varcammo quella che fu la frontiera tedesco- polacca. Nessun segno del passaggio dall'una all'altra terra, nessuna saliente particolarità stava a dimostrare la non indifferente variante. Soltanto a giorno pieno avemmo la sensazione del cambiamento, lo stesso panorama - pianure, campi di segale e patate, boschi folti di abeti - lo stesso ordine, la stessa disciplina, ma altri volti, altri idiomi, freddeza e diciamolo pure, un non so che di tristezza che ci colpì.
Tracce della guerra lampo - se si eccettuano le ferite ancor vive nell'agglomerato di Varsavia - pochissime ed insignificanti. La popolazione ha sentita gravare su di se la dura mano della sorte per essa voluta da governanti inetti quanto vanagloriosi. Risvegliatasi bruscamente al rombar delle cannonate, la Nazione polacca vide interrotto ancor più bruscamente il suo ambizioso sogno di conquista; e tutt'oggi è pervasa dal malessere cagionato dal non grato risveglio. Ma inquadrata mirabilmente ed umanamente diretta da un saggio vincitore, la Polonia rivive e lavora; e lavorando ripara in parte al mal fatto e va pian piano rendendosi degna della nuova Europa.
Man mano che ci allontaniamo dalla Germania l'aspetto esteriore del paese cambia. E cambia in peggio. Le strade asfaltate divengono rare, l'ordine edilizio è trascurato, le campagne, pur razionalmente coltivate, lasciano intravedere l'incuria se non addirittura l'abbandono del passato. Sembra, avvicinandosi alla Russia, di assistere al prologo della ttragedia che tra non molto saremo chiamati a vedere.
Pur sempre peggiorando le condizioni di vivibilità, di urabnistica ed agricole, inoltrandoci nella parte della Polonia che vide per quasi un anno il dominio di Mosca, assistiamo al rifiorire della vita morale. In queste regioni, che sentirono il radente taglio della falce e i duri colpi del martello, la gente è contenta, allegra, e dimostra come può la sua felicità per l'avvenuta liberazione dal giogo staliniano. E qua, dove ancora il ricordo della guerra è vivissimo, dove traccie di battaglie si possono osservare ovunque, dove più che altrove la terra sanguina, è qua che il popolo fa festa al nostro passaggio; perchè vede in noi gli amici dei suoi liberatori ed i nemici del suo secolare oppressore.

(continua)

Dino Corsi