Il Telegrafo del 2 ottobre 1942
Azione squadrista dei Battaglioni "M" (II^ parte)
Ecco la seconda parte della corrispondenza:
Durante le ore trascorse in attesa dell'alba, confusi nelle trincerette e nei ricoveri, fanti e legionari fraternizzarono gioiosamente. Gli uni sapevano che gli altri avrebbero ricacciato il nemico al di là del Don; ed i secondi, attraverso un'esperienza maturata in due, tre e quattro guerre, comprendevano cosa avesse significato la resistenza dei fanti, che, cari, inarrivabili ragazzi, sembrava volessero farsi perdonare di non aver fatto di più. Loro che avevano fatto l'impossibile!
In questa atmosfera di reciproca comprensione, di affettuoso cameratismo, di certezza nel successo, l'attesa fu breve. Volarono le ore e da oriente venne la luce ad indicare ai legionari la via da percorrere.
Alle quattro del mattino le artiglierie di tutti i calibri iniziarono il tiro di preparazione. Una tempesta di ferro e di fuoco si scatenò sulle posizioni nemiche ad aprire i varchi per l'avanzata. Alla cinque in punto i battaglioni partirono all'offensiva.
Colla serena tranquillità dei forti i legionari balzarono oltre la linea dei nostri trinceramenti e si gettarono nella folta boscaglia entro la quale il nemico tendeva le sue insidie. Fu commovente il momento in cui i reparti di assalto passarono oltre l'estremo schieramento dei fanti. Dalle labbra dei soldati uscirono parole e frasi di augurio. Più di un legionario si sentì cingere da due braccia fraterne, baciare sulle guance e si vide ammirato da occhi lucenti di commozione.
"In bocca all'orso!" gridò una voce. Cento, mille, quelle di tutti i fanti fecero eco ed aggiunsero: "Viva la Milizia! Vincete battaglioni emme!"
Nati, come disse il Capo, in un clima di battaglia e di vittoria, i battaglioni "M" non potevano non vincere.
In due colonne convergenti verso l'unico obiettivo, i militi dalla rossa sigla mussoliniana dilagaromno nel groviglio della vegetazione e vincendo le asperità del terreno raggiunsero il margine della boscaglia. Le prime sporadiche resistenze erano state travolte nell'impeto del balzo iniziale.br>
In vista del paese conteso il nemico sferrò la sua rabbiosa reazione. Mortai, armi automatiche e fucili aprirono il fuoco contro le nere formazioni. Caddero i primi legionari. Un centurione, comandante di compagnia fu colpito mentre guidava i suoi plotoni.Spirò sorridendo come a dire agli uomini la sua certezza nel successo.
Il sacrificio dei Caduti, le piaghe dei feriti, il rabbioso tentativo di resistenza furono tanti motivi di incitamento.
Incuranti del fuoco sempre più micidiale, traendo esempio e forza e ardimento dal sangue generoso che man mano arrossava la via dell'avanzata, i militi si gettarono contro le posizioni nemiche. Tutte le armi, tutte le energie, tutti i cuori furono scagliati nell'ondata distruggitrice degli assaltatori.
Brillarono al sole ormai alto le lance dei pugnali, l' "A noi!" degli eroismi della trincea e della piazza risuonò solenne e terribile sulle sponde del Don, ed oltre lo sbarramento di ferro e di fuoco passarono, insanguate ma trionfanti le schiere dei legionari. Nulla, nessuno avrebbe potuto fermarli. Nulla e nessuno li fermò.
La marea legionaria dei vivi e dei morti tutto travolse colla sua furia fatta di sacro ardimento.
Ed i rossi, duramente provati, abbandonarono il campo e fuggirono - quelli che lo poterono - oltre le acque del fiume.
Alle otto e trenta, dopo sole tre ore e mezzo di azione, il paese era in nostre mani. In saldissime mani.
Il Tricolore d'Italia si elevò al cielo a sancire il diritto della conquista. Le fiamme nere di battaglia presero il posto degli stracci rossi. Ancora una volta, tra Roma e Mosca, era l'Eterna a cantar vittoria.
E la vittoria fu cantata dai battaglioni nelle vie della conquistata piazzaforte nemica. Tutti, tutti i canti solenni della Patria, e quelli arditi, spigliati, menefreghisti della Rivoluzione echeggiarono nelle strade del villaggio, che più non costituisce una minaccia per il nostro schieramento ma è invece una sicura base di partenza per le prossime immancabili azioni offensive.
Nel pomeriggio le fanterie, portata avanti la linea nella scia della nostra avanzata, vennero a dare il cambio. Tra fanti e legionari si rinnovarono ancora le manifestazioni di cameratismo ed entusiasmo; e quando sull'imbrunire, giunti gli autocarri e riformatasi la colonna, i battaglioni si accinsero a partire, i camerati dell'Esercito gridarono quale più bel saluto agli arditi della Milizia: "Tornate presto!"
"Torneremo prestissimo, fu risposto, e per andare di là!". Un braccio teso accennò le acque del fiume che, placide e limpide, sembrano invitare ad un guado audace.
Al canto degli uomini si aggiunse quello dei motori. E la colonna si mosse nella notte.
Solo nelle macchine di testa era silenzio. Su questi autocarri, recanti le spoglie dei Caduti, sventolavano i gagliardetti dei battaglioni. E le nere fiamme ardevano del sacro fuoco che aveva consunti gli Eroi.
Come in giorni lontani oper le vie d'Italia, qua sulle sponde del Don la gioventù di Mussolini tornava dalla spedizione dopo aver disfatto un covo rosso e sostituito un tricolore al vessillo della negazione.
Gli stessi cuori di ieri, le stesse volontà, gli stessi ardimenti. E come ieri, come sempre, in testa a tutti, ideale avanguardia del sacrificio, la schiera di coloro che vivranno in eterno, come Roma, come le glorie della Patria.
Dino Corsi