Il Telegrafo del 1 dicembre 1942
La lana del popolo è giunta ai soldati italiani
Fronte russo, novembre
Domenica di primavera in una cittadina costiera ligure, ove permanemmo circa un mese per seguire un corso di perfezionamento sulla conoscenza e l'impiego di alcune armi moderne. Sono le dieci del mattino, e noi, unitamente ad altri camerati, ci troviamo nel salone del Dopolavoro Comunale ad assistere alla cerimonia della consegna della lana per i soldati, effettuata a cura del locale Fascio femminile.
Davanti ad un grande tavolo, dietro al quale si prodigano donne e giovani fasciste, sfilano e depositano la loro offerta uomini, donne e bambini. Sono vecchi che giungino carichi del gentile fardello di indumenti e candidi foicchi! donne venute dai monti, uscite dalle ridenti villette della marina e dalle casupole dei pescatori, recanti piccole e grandi quantità di lana, doppiamente preziosa perchè al valore materiale unisce quello incalcolabile dell'affetto materno; fanciulle e ragazzi cinguettanti in dialetto, che par vadano ad una festa, tanto in essi tutto è gioia e serenità nell'atto di deporre sul tavolo l'offerta dei familiari che essi, i piccoli, hanno voluto rappresentare in questa gara di solidarietà e patriottismo.
Assistiamo a tutta una serie di significativi episodi, che ci dicono il pregio inestimabile di ogni donazione, anche della più modesta, che ci illuminano sul significato di ogni gesto, apparentemente materiale quanto invece sublimamente rispecchiante l'interiore palpito di petti italiani.
Ma la nostra ammirazione per i partecipanti alla nobile gara diviene addirittura commozione, ed un groppo ci serra la gola, e gli occhi si sforzano a contenere le lacrime, quando una donna sulla cinquantina - una popolana dal pallido volto affilato e rivelante l'interno dolore, sul quale però due pupille corvine brillano di orgoglio e sembrano unire il loro splendore a quello argenteo di una medaglia al valore che nobilita le gramaglie di un lutto recente - depone sul tavolo un grosso gomitolo di lana e dice con voce ferma: "Mio figlio è in Russia. Volevo preparargli un maglione per l'inverno che verrà, ma non avevo lana; perciò ho fatta filare quella del materasso... Ora però il mio ragazzo non avrà più freddo, mai più... Prendetela, questa lana, servirà ad un altro soldato, ad uno dei tanti nei quali rivedo il mio ragazzo che è in Russia, che resterà sempre lassù".
Ha detto "lassù" accennando il Cielo. E non piange.
Nemmeno una stilla di pianto esce dai neri occhi della mamma dell'Eroe, non un singhiozzo ha interrotto il suo dire. La donna accarezza il grosso gomitolo, così, con lieve ed affettuoso tocco di mano, come in giorni lontani sfiorava la testina ricciuta del piccolo suo, ed esce volgendo un amorevole sguardo materno a noi e agli altri militari che ci sono vicini.
Anche noi usciamo e ci portiamo in fretta sul molo. Abbiamo bisogno di vedere il mare, per affogare nella sua azzurra immensità la nostra emozione, per non piangere.
Fine d'autunno in Russia
Siamo sul Don e già i reparti hanno provveduto alla sistemazione della linea difensiva. Camminamenti - chilometri e chilometri di stretto fossato - collegano trincee e ridotte e caposaldi ai rifugi che gli uomini si sono scavati nel terreno ed hanno... autarchicamente forniti di ogni possibile conforto. Ora può nevicare, può scendere quanto vuole il termometro: abbiamo la casa.
Ma non sempre potremo vivere nei ricoveri, non sempre pe tufacee pareti potranno ospitarci. La guerra ha le sue dure esigenze. E non sarebbe guerra, e non sarebbe bella, se dovessimo cangiarci definitivamente in talpe e trascorrere i mesi della cattiva stagione sempre rintanati nei rigufi sotterranei. Anche le trincee, particolarmente queste, e le ridotte, e le postazioni recalmeranno la nostra presenza: la presenza di alcuni quando il fronte sarà calmo e di tutti quando farà caldo anche nel soffiar della tormenta.
E si potrà vivere in trincea, si potrà combattere, si potrà sempre assolvere per intero il compito affidatoci, si potrà attendere vincendo, la primavera, e si potrà guardare con fiducia all'avvenire sol perchè dalla Patria è giunta la lana del Popolo.
La lana è giunta a vagoni, a treni, a convogli.. La generosa offerta degli italiani, trasformata in caldi indumenti, è già sistemata negli zaini dei soldati e consente ai combattenti di attendere con serenità il precipare della stagione.
Il corredo invernale - soltanto quello recentemente distribuito, senza cioè tener conto degli indumenti, anche pesanti, in dotazione normale - è singolarmente il seguente: quattro paia di calzini e due paia di calzettoni, due ventriere, due farsetti a maglia e un maglione accollato, quattro paia di mutande, un paio di guanti ed uno di guantoni, un passamontagne ed un pastrano di pelliccia. Tutto di lana, tutto "grave" e quanto mai adatto alla bisogna per la quale fu manufatto. E tutto reso possibile mercè la cosciente generosità degli italiani, che con sublime slancio offrirono alla Patria la lana pei soldati, la lana per la vittoria.
Inverno al fronte orientale
Il freddo è giunto improvviso, repentino, senza farsi precedere da nessun segno premonitore.
Il novembre si è presentato bellissimo. Giornate solatie e luminose, aria calma e temperatura primaverile; tutto insomma ha coinciso a far fiorire le più rosee speranze nell'Estate di San Martino.
Ma uno dei giorni scorsi, all'alba, il cielo si oscura. A metà mattina le nubi si frangono e fino a sera è una pioggiarella insistente, e uggiosa, senza interruzione. Colla notte, però, il tempo pare volgersi nuovamente al bello.
Cessa la pioggia, sembrano diradarsi i nuvoloni e qualche lucente stella occhieggia e par ammiccare a mo' di promessa.
Intanto la linea è posta in allarme. Le pattuglie segnalano movimenti insoliti e minacciosi, il nemico dimostra velleità offinsive, le artiglierie al di là del fiume rombano senza interruzione, un attacco in forze è previsto nel corso della notte.
Vengono triplicate le vedette, tutte le postazioni hanno i serventi intorno alle armi pronti ad aprire il fuoco, le trincee si animano di umano formicolio e la pattuglie, rinforzate, si irradiano ogni dove a prevenire eventuali sorprese. La nottata si presenta per tutti insonne ed emotiva.
Sono le sei del pomeriggio. Già da oltre due ore l'oscurità regna sulla linee, quando un leggero venticello viene spirando da Nord. Par cosa da nulla, appena un pò di frescura autunnale; invece di lì a mezz'ora è la tormenta.
A turno gli uomini corrono dalle trincee ai rifugi, disfanno affrettatamente i fardelli e ritornano al posto del dovere imbacuccati negli indumenti di lana.
La tempesta infuria. Mai nella nostra esistenza abbiamo assistito ad un simile scatenarsi di elementi avversi. Per ore ed ore il vento muggisce ed a momenti domina col suo ululato il deflagrare della granate; la neve gelata, prima di rivestire il terreno di un cristallino lenzuolo, sferza e taglieggia le faccie. Coi nervi tesi sino allo spasimo, accecati dalle raffiche di nevischio, le membra semi intorpidite dal gelo, si conta il volgere delle ore, si serrano i denti e si rimane fermi al posto di combattimento. Dire lo sforzo al quale vengono sottoposti corpi e cuori durante la prima nottata invernale, trascorsa in linea in attesa del nemico, sarebbe impossibile e del resto inutile, giacchè ciò rientra nella normalità della vita del soldato al fronte russo.
Al mattino, quando rientriamo nei nostri ricoveri, il termometro segna 25 sottozero. I pastrani di pelliccia sono trasformati in cappe di ghiaccio, tutto il corpo è preso da un lieve torpore, ma il primo contatto coll'inverno, col vero inverno russo, è stato brillantemente superato, mercè l'elevato sentimento del dovere della truppa, lo spirito di sacrificio dei combattenti italiani, il fisico eccezionale della nostra razza ed anche - e principalmente - in virtù delò gesto di solidarietà umana e patriottismo compiuto in un giorno di primavera, da tanti uomini, donne e fanciulli italiani, che si privarono del superfluo, forse del necessario e magari dell'indispensabile per offrire la lana ai soldati.
Ogniqualvolta, durante la nostra operosa giornata, usciamo dal rifugio, ed attraverso il camminamento ci portiamo allo scoperto laddove il dovere chiama, rialziamo il bavero della pelliccia, serriamo il collo del maglione, calchiamo il passamontagne e ci aggiustiamo i guanti. La lana, col suo tepore, ci accarezza e ci ricorda la mano di una mamma italiana, che in una cittadina ligure, in un lucente mattino di aprile, sfiorò con amore il gomitolo di lana filata per la maglia del figlio soldato. Quel figlio eroico che è in Russia e non più ha ormai bisogno di indumenti; perchè lui non teme il freddo e non paventa la bufera, ricoperto com'è di gloria e riscaldato dal fuoco che l'orgoglio e il dolore fanno divampare nel cuore della sua buona mamma.
Dino Corsi