Il Telegrafo del 16 luglio 1938
Volontà disciplina e sacrificio dei legionari della "Valanga"
Azzurro come il mare nostro, immenso tanto da sembrare l'Oceano, dalle coste verdeggianti e ridenti al pari di quelle incantatrici del golfo di Napoli, il Tana ci e' davanti colla ricchezza delle sue acque. Sulla verde penisola di Gorgora', a poche centinaia di metri dalla citta' sorta all'ombra della Vetta Mussolini - citta' che piu' di residenza coloniale puo' sembrare una moderna stazione balneare - la strada e' fiancheggiata dalle ordinate fila di tende dei legionari senesi.
In attesa che si approntino le imbarcazioni per poter portare le Camicie Nere al di la' della immensa distesa liquida, nel Goggiam, in attesa che il 97.o battaglione, forte di tre quarti dei suoi elementi possa - primo esempio nella storia del tempo di si' numerosa massa di uomini navigante sulle acque del Tana - attestarsi sull'altra sponda ed indi proseguire verso mescenti, ove avra' sede e presidio per la stagione delle grandi piogge, gia' in corso; in attesa che legionari e quadrupedi, armi e materiali varchino quelle che gli etiopici chiamano il "piccolo mare", i militi della "Valanga" vivono giornate riposandosi e, tuffandosi con ebbrezza nelle limipde acque del lago, riconfortano corpi e spiriti, gli uni e gli altri provati ma non vinti dai disagi, dai sacrifici e dalle fatiche degli ultimi scorsi giorni.
Con la coscienza dei forti, che sanno di aver corrisposto in pieno alle aspettative di chi in loro fidava, col sereno orgoglio di uomini che messi di fronte ad ostacoli imprevisti e quanto mai impervi, hanno, con indomita volonta', superate le prove piu' dure, i figli di Siena godono ora un riposo piu' che meritato, suggono la linfa di questa terra fata, si ubriacano al sole amico e si abbandonano felici all'amplesso delle onde del Tana, di quelle stesse che domani li condurranno la', nel Goggiam, nella regione ove gia' il battaglione servi' ed opero', scortando autocolonne nel periodo in cui la clemenza degli elementi permetteva il transito anche sulle piste camionabili e carovaniere.
Giacche' oggi, con l'inizio della stagione torrenziale, il viaggio sulle piste e' cosa sempre ardua, molto spesso difficile, non raramente impossibile.
Quando le strade mancano
Il lettore avra' certo occasione di osservare quei grafici riportanti la odierna situazione stradale dell'Impero, per ultimo quello comparso un mese fa, circa, sulle colonne del nostro giornale. Ed avra' compreso, il lettore, qual miracolo sia avvenuto in Africa Orientale: in meno di due anni, tutti, o quasi, i grandi centri del Nord Etiopia sono stati collegati da una rete stradale si' perfetta che consente il traffico di ogni genere di autoveicoli.
Migliaia di chilometri di autovie gia' pavimentate a bitume; vecchie strade militari gia' cilindrate e pronte a ricevere il rivestimento di asfalto; migliaia di chilometri di piste che conoscono gia' il lavoro del piccone e che ben presto si apriranno definitivamente al traffico e porteranno sviluppo e progresso alle Regioni piu' lontane. Abbiamo detto che si e' operato un miracolo e crediamo di non aver esagerato.
Contro ogni limite delle umane possibilita', si e' lavorato e costruito. Gli italiani soltanto, e soltanto gli italiani di Mussolini, potevano, come hanno voluto e potuto, raggiungere tale risultato. Il pretendere di piu' sarebbe pazzia. Cosi' nel campo delle strade come in ogni campo delle meravigliose realizzazioni in terra d'Africa Romana.
Detto cio' non sembrera' strana se aggiungeremo che, data la vastita' dei territori sui quali si spande la luce del Littorio, molti piccoli centri, varie ocalita' e molte zone piu' o meno importanti dal punto di vista politico, o militare, o agricolo, o commerciale, siano a tutt'oggi prive di vie di comunicazione che consentano il sicuro collegamento con i grandi centri.
Le vecchie piste, riadattate alla meglio dalle prime colonne di occupazione, sono transitabilissime da ottobre a giugno; ma appena Giove Pluvio riversa sull'altopiano il suo liquido furore, le umili, volenterose carovaniere si confondono e si perdono tra la fanghiglia dei piani ove sono tracciate. Lungo una di queste piste il 97.o si e' trovato a vivere la piu' dura e piu' bella giornata della sua permanenza in Africa Orientale.
Giornate dure perche' si e' dovuto lottare contro l'impervio terreno, contro l'uragano, contro la piena dei torrenti ed anche, perche' non dirlo? contro lo spettro della fame; giornate belle perche' malgrado tutte le avversita' citate, il Battaglione ha dato una superba manifestazione di dedizione al dovere e di spirito di sacrificio: le impronte che le chiodate scarpe dei legionari hanno lasciato nella piana del Tana, presso Mai Daber, sono pagine di oscuro silente e forse mai compreso valore.
Avuto il cambio sull'Ambaciara, lasciata non senza rimpianti la bella Siena d'Etiopia, la Valanga si e' portata a scaglioni al passo di Groinber, ove, formatasi una colonna autocarrata, si e' sostato per pochi istanti, proseguendo poi verso Ifug, prima tappa sulla via del Goggiam.
Il cielo minaccioso ha salutato la colonna in partenza con i primi goccioloni; poi si sono aperte le cateratte e l'uragano e' precipitato su uomini e macchine. Il terreno ora, che gia' la colonna si e' avventurata sulla pista inoltrandosi nella piana, si fa viscido, poi limaccioso, infine si viaggia addirittura in un mare di fango. Le ruote dei "34" e delle "Alfa" girano su se stesse: e' impossibile procedere oltre.
Ma cosa puo' essere realmente impossibile per la massa umana che nel nome ha tutta la travolgente forza del suo spirito?
Chi puo' vincere sulla volonta' di centinaia e centinaia di uomini quando l'ordine e' di andare avanti?
"Si va avanti! Giu' dalle macchine! Tutti a terra! A forza di braccia"
A forza di braccia i legionari strappano le macchine alla morsa del terreno, le trascinano per metri, per chilometri. Sotto lo scroscaire della pioggia, impantanati fin su al ginocchio, allegri come ragazzi, forti come ciclopi, i militi, attaccati, avinti alle corde, alle sponde, ai cofani, si trascinano dietro i mezzi meccanici. Un chilometro all'ora, cinquecentro metri, cento metri...nuovamente fermi.
"Forza ragazzi! Uno strappone e siamo fuori!". Dai, tira e strappa, la colonna ritorna all'asciutto. Grondanti di acqua, coperti di fango fino alla cintura i legionari riprendono posto sugli autocarri.
Solo le faccie sembrano no aver subito gli effetti dell'uragano. Coperti da caschi, i volti, arrossati dalla fatica, sono lieti e sorridenti, giocondi e soddisfatti. Quelle che bagna le fronti, che fa luccicare le guancie, che imperla le barbe incolte non e' acqua caduta dal cielo; e' il sudore, l'acqua santa della volonta'. (continua)
Dino Corsi