Il Telegrafo del 27 marzo 1941
A non piegar l'insegna Siena insegna...

...e dice ai figli suoi in armi: Vincete! Vincete come vincesro i vostri padri, vincete come vinsero i vostri fratelli, vincete come voi stessi vinceste ieri e riaffermate ancora una volta la vostra Fede, che unita alla volontà di ardire e combattere, vi farà degni degli avi di tutte le epoche gloriose.
In piedi, i nero fiammti soldati dell'era novella, hanno giurato fede all'Idea, hanno giurato di vincere, si sono detti pronti a morire. stretti intorno ad una tricolore fiammeggiante fiamma di combattimento, gli "assaltatori" del 97.o han detta la parola che in sè è manifestazione di dedizione, di disciplina e di eloquente esaltazione dello spirito legionario: Giuro!
In quel giuramento non formale, gridato da mille voci di mille uomini coscienti di se stessi, del presente e del futuro, in quel spontaneo grido di assoluta dedizione al dovere, prorompente dai petti di chi è pronto a tutto dare e osare, è la viva forza degli "assaltatori" del 97.o.
Quel vecchio sempre ventenne 97.o - emanazione della "Fedelissima" Legione Senese - che oggi come ieri - coorte di entusiasmo e di ardire - anela il "via" che lo getti allo sbaraglio sulla via di quel mondo da conquistare e da redimere colla umana forza delle armi fasciste, è ancora una volta in piedi; forte nei ranghi per lo spirito dei componenti, più che forte di un Fede che è nel contempo dottrina ed incitamento, saprà dire di qual tempra sono i pugnali e come pulsano i cuori legionari.

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In caserma, in questa tediosa vita presidiaria, tanto necessaria quanto poco compresa da chi deve viverla, il 97.o si è riunito, amalgamato, istruito, perfezionato per la guerra.
Gran bella famiglia, quella dell'Unità Legionaria Senese! Gran bella famiglia! E, naturalmente, tutti maschi. Non i soliti maschi del "caffè del centro" o da "pubblico passeggio"; non gli omuncoli usi alle abitudini sedentarie di un tempo che fu; ma uomini, uomini veri, maschi nel più virile dei sensi e nella più veritiera delle espressioni.
Scernere tra i reparti i migliori, sarebbe impresa da Titani. Il 97.o (che noi, nostalgicamente, vorremmo ancora chiamare 'Valanga') è un perfetto amalgama di uomini, squadre, plotoni e compagnie. Tutti bravi, tutti belli e tutti brutti, come dice il comandante (che vuole gli uomini belli esteriormente e brutti - brutti nel senso di arditi - interiormente), il quale, pur non dicendolo mai, è come un padre dei figli diligenti, orgoglioso dei suoi legionari. E, il Comandante, scusi l'immodestia, può davvero esserne orgoglioso.
Tra i tanti figli di questa singolare quanto perfetta famiglia, prendiamo ed illustriamo per primi i componenti il "Plotone esploratori". Sono una "banda irregolare" : reduci tutti, dalle Guerre d'Africa o di Spagna, costituiscono la punta d'assalto di un battaglione di assaltatori. Abbiamo detto "banda irregolare", perchè loro, gli esploratori, come i vecchi "arditi" sono oggi le irregolarità nei confronti della vieta disciplina, come saranno domani i primi ad osare e a morire.
Il plotone esploratori, estremità appuntita del tagliente dardo legionario, sarà fra breve l'ardimento umanizzato e la volontà vivificata in chi, primo oggi a far cagnara, sarà domani primissimo a tutto dare per la Vittoria.
La prima compagnia del Battaglione, che ha nelle sue fila rudi rurali di Rapolano, Poggibonsi, Sinalunga e Torrita di Siena, è uno dei forti reparti che danno lustro all'unità legionaria.
Silente, la prima, opera da brava e fa onore all'ordine precedenza che le è stato sulle consorelle. Ragazzoni robusti, petti quadrati, muscoli solidi, fede entusiasmo e volontà; reparto di umili lavoratori, che saranno domani gli artefici più validi della nostra Vittoria.
La seconda è...la seconda..."Bella forza!" diceva giorni fa uno della prima, "con quel comandante!". Noi, qui, non vogliamo parlare del Comandante (e meriterebbe tanto di parlare di lui), ma dei militi. Sono, le Camicie nere della seconda, ("Seconda a chi?", par di sentirsi chiedere da un certo Centurione), parte di Torrenieri e parte di Piancastagnaio, più tre del Vivo, ragazzi diversi nel temperamento, ma comunque tutti uguali nella e per la dura disciplina guerriera. Quelli di Piano, naturalmente, sono un pò diciamo così...pianesi: irrequieti, esuberanti...
Ma il Comandante di compagnia (benedetto questo grand'uomo) li ha imbrigliati e, con polso ferreo, li tiene oggi in mano, in attesa di lanciarli domani sui sentieri della guerra. E la seconda compagnia, Torrenieri, Piano, il Vivo, è...la seconda...e solo la seconda.
Logicamente dopo la seconda viene la terza. Che roba!...Sono in primo piano quelli di Abbadia San Salvatore: è tutto detto! Cari, bravi, generosi e...sono "badenghi". Sono i figli della nostra montagna, sono volontari di tutte le guerre, sono gli arditi delle miniere, sono gli eroi del lavoro, come lo furono, eroi, della guerra di ieri e lo saranno domani.
Gli ascianesi, sempre della terza, affiancati ai camerati della montagna, portano nella bella compagnia l'impronta di una zona nostrana tra le più laboriose e la più fascisticamente a posto.
E nella "terza", poi, vi sono - fiaccole ardenti di entusiasmo - i "tre moschettieri". Tre senesissime "sagome", tre "tipi": uno dal petto azzurrato, l'altro, vecchio legionario, oberato dall'intemperanza, e l'ultimo, infine, secco come un merlo, che attende il fuoco per riscaldar gli ossi della sua persona.
Ultima, in ordine di citazione, prima in ordine di merito (...apriteci le porte che passano i mitraglier...) viene la quadrata, la ferrea, la...(basta con gli aggettivi e collo spirito di corpo) compagnia mitraglieri. Ragazzi - magari di trent'anni e più - quadrati, svegli, energici e, modestia a parte, belli, belli, si: proprio belli, i mitraglieri! Belli di quella bellezza quasi bestiale - faccie nere e rudi - che fa intravedere la Guerra e fa dire alle donne: "Quelli cono uomini".
E sono, i mitraglieri, la colonna del Battaglione, gli "assaltatori" che, uniti ai camerati delle altre compagnie, protesi in una gara di ardimento, scriveranno, se necessario col sangue, pagine di eroismo.
E gli "assaltatori", la "prima", la "seconda" e la "terza" - fiamme dello stesso ardimento - appoggiati dal fuoco delle "Breda", voleranno all'assalto per realizzare l'odierno, il nostro, il mussoliniano imperativo: Vincere!

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Il Battaglione, succintamente tratteggiato nelle righe che precedono, ha avuto l'onore di mostrarsi al popolo di cui è pura emanazione.
La "Milizia" ha dimostrato in una radiosa primaverile mattinata, quella che è la "Guardia armata della Rivoluzione". Pronta, la "Guardia", a ben operare sui fronti della Guerra, come ha figurato - in Siena e per Siena - in una manifestazione di disciplina, preludio alle più belle manifestazioni guerriere.
Siena, attraverso le donne fasciste, prendendo ad araldo la femminile gentilezza delle più gentili creature di nostra terra, ha offerto agli "assaltatori" del 97.o la fiamma di combattimento.
Se la fiamma che arde, che divampa, che strazia e vivifica nel petto il cuore dei legionari potesse manifestarsi in una forma tangibile, il cielo di Siena sarebbe oggi colorato da un vermiglio bagliore, che ai luminosi meriggi della Primavera guerriera, aggiungerebbe l'alba radiosa di una prorompente, combattiva Estate.
Ma gli "assaltatori" hanno avuta la fiamma di combattimento. Ed oggi è questa la sola fiamma che per essi arde e simboleggia la Vittoria.
Sulla fiamma, dono di madri, spose, fidanzate e sorelle, sta scritto:
A non piegar l'insegna
Siena insegna

E c'è, sull'alto dell'asta, uno straccio rosso, un serico straccio rosso, un brano di quella bandiera che gli esuli senesi, gli ultimi difensori della Repubblica, portarono in Montalcino a sventolare sulla Rocca per dire al mondo di allora cosa e come fanno i figli di Siena.
Ed i figli della vecchia ghibellina Repubblica, forti del retaggio di gloria che a loro viene dal serico lembo di un giuramento, inquadrati sotto le insegne del Littorio, memori della romana origine della loro Città, ripetono, come giuramento, il verso che a caratteri d'oro orna la "Fiamma" del Battaglione:
A non piegar l'insegna
Siena insegna

E oseranno i Legionari, e moriranno, ma, vivi, l'insegna non si piegherà.

Dino Corsi