Il Telegrafo del 17 luglio 1941
Giornate di guerra dei legionari senesi dal fronte giulio
Il motto degli avi che in Montalcino tennero alte le insegne della repubblica ghibellina e della patria libertà, quel motto che le donne senesi scrissero a lettere d'oro sulla nera fiamma di combattimento da loro offerta ai legionari nella primaverile mattinata di un'artdente vigilia guerriera, la frase che simboleggia il valore delle nostre genti è stata per mesi e mesi, è e sarà sempre l'espressione viva delle virtù militari dell'unità volontaria che dalla città lupata è espressione di forza e di volontà combattiva.
"A non piegar l'insegna Siena insegna". Il motto, divenuto il credo dei legionari, si è affermato in tutta la sua grandiosità. L'insegna non si è piegata; e l'insegnamento della terra madre è sttao appreso ed applicato dai figli soldati.
I legionari del 97.o, inquadrati nei ranghi della "Ardita ed ardente" Divisione "Bergamo", hanno vissute da attori le fulgide giornate della breve campagna sul fronte giulio. Han dato, le camicie nere senesi, il loro modesto quanto valido contributo alla redenzione della Dalmazia. Prima, durante e dopo il combattimento, nelle opere di guerra e di pace, sempre a nessuno secondi, i figli di Siena han mantenute tutte le promesse, realizzate tutte le speranze e, servendo con dedizione assoluta la Patria, onorata la città nostra e tenuta alta l'insegna della loro fede fascista, della loro passione italica e del loro ardore glorioso.
Noi che avemmo la ventura grande di appartenere ai quadrati reparti degli "assaltatori" senesi, noi che questi reparti abbiam dovuti lasciare per servire altrove la Patria, noi che col pianto alla gola abbiam preso commiato dalla falange dei fratelli legionari, noi oggi consideriamo che il miglior saluto nostro alla bella famiglia che ci ebbe fra i suoi figli sia quello di rievocare, seppur succintamente, la vita e le opere del Battaglione in guerra.
La Settimana Santa fu per i legionari senesi Settimana di Passione. Passione che tormentava gli animi e faceva palpitare celermente i cuori. 6,7,8,9...e via. Giornate di aprile. Primavera di guerra. Nella notte tra il 5 ed il 6 il primo ordine. Sotto il diluviar della pioggia, tra il brontolio dei tuoni e il saettar dei fulmini, i reparti lasciano i campi e gli accantonamenti per prender posizione sulla linea di confine.
Pattuglie di arditi, volontari tra i volontari, si spingono avanti a riconoscere il terreno. Piove a dirotto, il fondo è erto, sassoso e cosparso di roveti che formano un naturale sbarramento di reticolati nuovo genere; qua e là un precipizio, un pendio scosceso, mille ostacoli ovunque; e la notte è nera. Impossibilmente nera. Ma chi se ne frega! Ogni legionario ha nel cuore una fiamma che illumina la via; quante, quanta luce in quella notte di tempesta!
Le pattuglie giungono ovunque devono; i reparti si attestano sulle posizioni assegnate. Si scavano trincee e si costruiscono ripari e piazzole per le armi automatiche. Lo schieramento è difensivo e lo srà per alcuni giorni. Si lavora tra il fango, nell'ossessione delle tenebre più profonde; il vento eglido taglia le carni; il nevischio, che cade misto alla pioggia, acceca; no si vede ad un metro di distanza, ma si sente; si sente il picchiettar degli attrezzi, l'ansimar degli uomini è come una musica solenne che esalti il lavoro, si sentono gli scatti delle "Breda" leggere e pesanti nell'atto del caricamento.
Poi il silenzio. Ore lunghe, interminabili, di attesa. Acqua, nevischio, poi neve. Ma su tutto, sopra a tutto, la gioia, la gioia grande che da l'avvicinarsi del momento tanto atteso.
L'alba trova le Camicie nere irrigidite al posto del dovere. Pronte a tutto. E la giornata del 6 non finosce più. Siamo in guerra, ma tutto è calmo sul fronte. Il campanile di Casta è lassù, sul saliente montano che si erge a minaccia di Fiume, invitante col suo candore e col giocondo squillare dei bronzi. Più in là i casermone dei "graniciari", poi il forte, l'osservatorio, le ridotte nemiche...
Gli uomini fremono nel desiderio dell'attacco. Ma non si può, non si deve attaccare, l'ordine è preciso: schieramento difensivo. E le mani non stanno ferme sul calcio del moschetto, e le dita palpano rumorosamente le bombe ed accarezzano la canna della mitragliatrice.
Ancora una notte di attesa, ancora un giorno, il sette, un altro, l'otto....Si rettificano le posizioni secondo il movimento del nemico. I reparti sono in moto continuo: Jussici, Mattuglie, Cobri, quota 327, Giordani, Ruccavazzo, Rifugi Rossi, quota 729. Quote, villaggi, borgate. Su e giù, in lungo e in largo. E sempre il freddo, la pioggia, la neve. Verrebbe voglia di mandar la disciplina a quel paese e varcare la linea dell'assurdo confine ed andare a scovare i serbi che non si decidono ad attaccare. Ma il nove le cose cambiano. Nell'aria c'è davvero odor di polvere. Si mormora che abbandoneremo lo schieramento difendivo e passiamo all'attacco. Dapprima si mormora, poi se ne ha la certezza.
Tutto il fronte è in movimento. Le artiglierie divisionali si portano in posizione avanzata, quelle di corpo d'armata si piazzano in prossimità di queste. La ricognizione aerea entra in azione nel primo mattino. E nel pomeriggio le prime puntate oltre confine. Le pattuglie di esplorazione di aprono il varco attraverso i reticolati e sono incontro al pavido nemico, affrontano le avanguardie serbe, le sgominano e tornano coi loro carichi gloriosi e sanguigni.
Le messi verdeggianti rosseggiano qua e là di sangue italiano, di sangue senese. Gli esplaratori del 97.o tornano e portano il corpo esanime di un eroe: Ettore Neri. Nel campo non si piange: si affilano i pugnali per la vendetta. Il nome del caduto è scritto su tutte le case del Carnaro, sottolineato dai versi che sublimano il sacrificio dell'intrepido legionario:
"Partì cantando come il Duce vuole,
morì ridendo colla faccia al sole"
Ancora una notte di veglia trepidante: di tanto in tanto un allarme, una sparatoria. Si va avanti? Non i va?...Non ancora, ma andremo presto, prestissimo.
Dieci aprile: Giovedì Santo. Pronti all'attacco. In attesa di ordini. I legionari mordono il freno. Il prolungarsi dell'attesa è un tormento inenarrabile..."Stanotte?" si chiede con ansia, "no, domani", ci sentiamo rispondere.
Scende la notte, l'ultima di attesa, ed il fronte si anima. Ombre che vagano, carriaggi che passano, rombar di autocarri, scalpitare di cavalli, lento incedere di pattuglie, portaordini che vanno e vengono...L'atmosfera è quella del combattimento. Lo sentiamo. Finalmente l'alba! Le ore scorrono lente nell'ansia del momento. Nessuno pensa a mangiare, nessuno pensa alla posta...sguardi e cuori sono oltre lo sbarramento che ci preclude la via. Andiamo? Si, questa volta andiamo!
I guastatori del genio aprono il varco nella barriera di fili di acciaio e i legionari irrompono oltre confine. E' la liberazione, la fine di un incubo.
I mitraglieri della "97.a" appoggiano l'avanzata del Battaglione che procede bersaglierescamente malgrado la rabbiosa reazione avversaria; le artiglierie di tutti i calibri accompagnano i balzi degli assaltatori, i morati lanciano i loro messaggi di distruzione. Una, due, tre ore di fuoco intenso. Sinfonia vibrante di scoppi e miagolii di proiettili. Viva la guerra! Vien fatto di gridare nell'ebbrezza del momento.
La reisistenza del nemico si fa sempre più debole. E' giunto il momento dell'attacco decisivo: l' "A noi" echeggia potente, i pugnali ballano al sole e volano le bombe a mano. Avanti! Il Battaglione è lanciato: nulla può fermarlo, nessuno lo fermerà.
Un balzo, un altro ancora: ecco Castua. Castua finalmente è italiana!
Il campanile candido si anima e le campane squillano a festa. E' il Venerdì Santo, ma il buon Dio perdonerà il buon campanaro che volle salutare l'ora delle redenzione tanto sospirata.
Castua liberata è superata rapidamente. A passo forzato il battaglione marcia all'inseguimento del nemico. Per ore ed ore si va attraverso la campagna: ovunque sono le trace della precipitosa fuga dei serbi che, coi pugnali legionari alle spalle, tutto abbandonarono, armi e munizioni, vettovaglie e indumenti, per poter salvare almeno la pelle.
Si pernotta all'addiaccio: tre ore di riposo. Poi, partenza. Convergiamo su Fiume. Obbiettivo Sussak. La mattina del 12 la città che fu sentinella d'Italia è attraversata dalle formazioni legionarie che, varcato il ponte divisorio, dilagano nella zona urbana già jugoslava. Nessuna resistenza. Ma occorre inseguire, agganciare il nemico in fuga.
Avanti giorno e notte. Per tanti giorni, per tante notti. Monti e valli, pietraie e fango, sotto la pioggia, sotto la neve, col sole, col vento, sempre pieni di baldanza, i legionari procedono sulla via della vittoriosa conquista. Si mangia quando si può, ci riposiamo quando è possibile e si cammina, si cammina sulle orme di un esercito in disfatta.
Giornate di fatiche e privazioni, giornate di fatiche e di stenti, ma anche luminose giornate di soddisfazioni impagabili e di un'intensa, orgogliosa, gioia.
Il 97.o al completo di tutti i suoi effettivi, porta a termine la marcia superando ogni sorta di ostacolo e vincendo tutte le avversità.
La fine delle operazioni di guerra trova i legionari senesi ancora protesi in avanti ed anelanti nuove e più dure prove, e vede erigersi in alto, nella luce del trionfo, l'insegna che mai si piegherà.
Dino Corsi