Il Telegrafo del 2 novembre 1941
Vigilia di ardimenti

Da un campo "M", ottobre
Al Centro Controllo, ove ci presentammo giorni or sono per l'esame psico-morale, avemmo la prima impressione di essere dei privilegiati, dei favoriti dalla sorte e pensammo, in piena sincerità, che talvolta la più umile offerta riceve la più grande degnazione.
Al Centro Controllo, punto di partenza di ogni legionaria volontaristica aspirazione, i corpi e gli spiriti, sottoposti a scrupoloso esame, ricevono conferma della loro capacità a servire la Patria in armi nei ranghi di quella perfetta unità guerriera che sono i battaglioni "M", i reparti del Duce. Ed il superare il severo e scrupoloso controllo, l'aver conferma delle qualità che ognuno accesamente anelava, in sè, è cosa che procura gioia immensa e causa di legittimo orgoglio.
Studenti davanti agli esaminatori, non tremavamo come tremammo ieri nel comparire di fronte al Centurione medico che sottopose, più del nostro corpo, il nostro morale ad un esame scruploso e severo.
Dopo la visita medica, quando già il grigio-verde fresco, fresco di magazzino, era tornato a coprire le nostre membra rivelatesi ancora perfette, il medico, vecchio legionario dal petto azzurrato dai segni del valore e portante sulla divisa militare il vermiglio della volontà squadrista, rivolse ai neofiti quelle domande che costituiscono il più sicuro banco di prova per ogni uomo, degno di essere e di sentirsi tale nell'attuale clima guerriero.
- Pronto a tutto?
- Proprio a tutto?
- Sempre?
- Anche a rischio della vita?
- In Patria, lontanto, oggi, domani?
Una sola risposta: Signorsì!
Poche righe, velocemente tracciate da mano decisa sulla cartella personale dell'esaminando, poi, come un premio, come una promessa di ogni personale soddisfazione, la frase tanto attesa: "assegnato ai battaglioni M"
Battaglioni "M"! Camicie e fiamme nere della nostra passione rivoluzionaria guerriera! Milizia audace di tutte le guerre della Patria rinnovellata!...Ma in più, l'inenarrabile orgoglio, l'emme mussoliana sulle mostrine: quella sigla del color di sangue che, vicina, vicinissima, ai nostri colli, è come l'abbraccio del Capo che ci stringe in un paterno amplesso per dirci il Suo amore, la Sua fiducia in noi, la Sua certezza nella vittoria.
Ed i legionari del Duce, gli arditi dalla "M" sanguigna degni dell'amore del Condottiero e della sua fiducia: e per lui e con lui faremo della Vittoria certezza.

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Al campo legionario la vita è fervida. Immenso paese di tende mimetizzate sorgente nei pressi di una lussureggiante pineta che si estende, lungo la costa del Tirreno, l'accampamento del battaglione "M" è una fucina di operosa attività ed una scuola di fede fascista e guerriera.
Trentini, triestini, abruzzesi, umbri e toscani, in un gara di entusiasmo, si prodigano incessantemente a superarsi per sempre più e sempre meglio renersi degni della fiducia in loro riposta, per giustamente potersi fregiare del distintivo di onore mussoliano.
Noi, giunti da poco sul campo, novizi in questa scuola di lavoro e di ardimento, beviamo la linfa della bellezza italica che da ovunque straripa, respiriamo a pieni polmoni l'ossigeno che è fede emanante da ogni tenda e ci sentiamo pervasi da una gioia tanto grande, da un senso di intima soddisfazione e da riconoscenza profonda cerso il Capo che la penna non può dire.
Come sempre, come in tutte le nostre giornate di vita militare e guerriera, in questo campo che è l'espressione più vivida dello spirito legionario, abbiamo, in seno alla grande, simboleggiata dal battaglione, una piccola famiglia: la tenda. E questo piccolo nostro agglomerato familiare di cuori e di spiriti è quanto di meglio potessimo desiderare: tre triestini; una triade di figli della città che soffuse di grandezza eroica i sogni della nostra infanzia, che fece palpitare di amor patrio i nostri cuori infantili, che, bambini, ci fece comprendere la bellezza del sacrificio a pro di ogni idea che avesse per base la libertà e la giustizia.
Tre "matt", questi triestini, che fanno pensare a quanto e come la italianissima città sia sempre stata unita alla Patria; tre ragazzi che incantano con la loro suggestiva pronunzia gli ascoltatori; che si fanno amare e stimare attraverso la serietà dell'attuale comportamento e la fede, permeata da disciplina, che traspare da ogni loro atto; tre legionari che, nella loro Trieste, onorano l'Italia tutta.
Gli altri della famigliola, oltre a chi scrive, sono toscani. Un pistoiese di Monsummano ed un senese di Castelnuovo. vecchi legionari, camicie nere pronto a tutto dare. Questa è la nostra tenda.
Ma al di là vi è il campo. Quel campo circoscritto da un limite metrico, ma senza limiti ideali, giacchè la volontà che crea l'atmosfera dell'accampamento supera ogni materiale barriera per dilagare lontano e raggiungere, sulle fronti di guerra, i camerati che lottano e muoiono, quei camerati che i legionari dei battaglioni "M" raggiungeranno domani sul campo del dovere e seguiranno nei cieli della gloria eterna.
Oggi - 28 ottobre - il Comandante del Campo ha parlato ai legionari. Poche parole, sintesi perfetta del travaglio rivoluzionario che, sorto dall'analito irredentista, si afferma oggi attraverso l'ampio respiro guerriero.
Di fronte al Comandante - squadrista e combattente - i militi hanno gridato la loro fede e ripetuta, con le note della canzone della giovinezza eterna, la promessa di tutto osare, dopo aver tutto offerto, per la vittoria immancabile.
Gli arditi del battaglione mussoliniano, l'avanguardia acclarata della Rivoluzione, attendono con ansia il giorno in cui il Duce consegnerà loro la fiamma nera di combattimento: viatico per la battaglia e per la vittoria.

Dino Corsi